Buongiorno a voi tutte e tutti, care compagne e amiche, cari compagni e amici.
Un saluto, un abbraccio alle decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori che stanno manifestando oggi insieme a noi a Cagliari, a Napoli, a Palermo, a Roma.
Un ringraziamento ai rappresentanti dei sindacati internazionali che stanno sostenendo la nostra mobilitazione anche attraverso la loro presenza, importante, alle nostre inziative:
grazie a Uni Europa, a Uni Global, a Effat, a Iuf.
Grazie a Cgil, a Cisl, a Uil, alle tante categorie, alle migliaia di lavoratrici e di lavoratori della conoscenza, dell’edilizia, dell’industria, del pubblico impiego, dei servizi, dei trasporti, alle tante pensionate e ai tanti pensionati che ci stanno manifestando la loro vicinanza e la loro solidarietà e che sono qui, in piazza, al nostro fianco.
Questa giornata è nel culmine di una stagione, una stagione che ricorderemo a lungo, come avanzamento, come momento di crescita, di ritrovata unità delle nostre forze e dei nostri progetti.
Ma la ricorderemo anche, questa stagione, come punto di non ritorno.
Perché adesso abbiamo deciso di dire basta
Basta perché da qui non si torna indietro
Basta dopo anni di rinvii e di prese in giro
Basta dopo i comunicati fasulli e le proposte umilianti
Basta vedere milioni di lavoratrici e di lavoratori sfruttati per una miseria
Basta vedere un paese che tratta chi lavora come una fastidiosa incombenza, una variabile di conto economico, un costo da ridurre all’osso, e lo fa proprio sulla pelle e sulle ossa dei più deboli.
Costoro, la classe di imprenditori più inaffidabili, più in malafede, più irresponsabili che l’Italia repubblicana da sempre ricordi, sono arrivati a concepire un grottesco attacco in grande stile alla democrazia, con la complicità di chi al Governo i lavoratori li disprezza, li ignora ma poi mostra il vero volto torvo e autoritario della conservazione, irridendo al diritto di sciopero, mettendo in campo addirittura la precettazione, calpestando i diritti e la Costituzione.
Costoro pensano che difendere i loro interessi corrisponda a svilire la personalità e l’umanità di chi lavora. E non solo lo pensano: da anni stanno cercando di fare a pezzi, distruggere, strappare il tessuto della convivenza sociale, la dignità, le regole elementari della contrattazione, il diritto alle regole e le regole del diritto.
E non solo lo pensano: quando si sentono messi alle strette reagiscono in modo scomposto, farneticano di numeri che non esistono, parlano di un'economia immaginaria, di un paese che non esiste neppure in cartolina.
Ma poi arriva il conto, che viene presentato loro con la forma e con la forza di cui è capace il sindacato.
Vengono convocati, vengono confrontati, vengono avvertiti per mesi, per anni, che la rappresentanza non arretra, che la pazienza è scaduta, che la sabbia nella clessidra è finita, e non c’è più tempo per girarla all’infinito. E qui mostrano il loro volto, la loro incultura, o meglio la loro vera cultura, che è fatta di pura violenza antidemocratica.
E cosa fanno? Mettono in atto delle condotte scellerate, alimentano la precarietà per aumentare i profitti, aggirano la legalità per sottrarsi a regole e controlli, questo ci dicono puntualmente ogni anno i dati ufficiali.
Ignorano doveri fondamentali, calpestano diritti fondamentali, prendono in giro la Costituzione.
Si nascondono con la complicità del Governo, strumentalizzano, provocano e perdono tempo.
E quel che è più grave pensano, davvero costoro pensano, di farla franca, di uscirne indenni, di averla vinta.
Hanno avuto la pretesa di convincerci a tutti i costi, anche a noi. E non ci sono riusciti e non ci riusciranno.
Hanno provato a blandirci, a dividerci, a prenderci per stanchezza.
E non ci sono riusciti e non ci riusciranno.
Sono arrivati a minacciare, come è accaduto in questi giorni di mobilitazione, in questo giorno di sciopero, e hanno pensato, hanno davvero creduto che il tempo, l’attesa, il rinvio fossero la normalità.
E ancora oggi, dopo che abbiamo chiamato alla rivolta delle coscienze, alla mobilitazione generale, alla lotta, ancora oggi credono di arrivare indenni a primavera.
Credono di avere una strategia, invece mettono in campo solo stratagemmi.
Ma davvero, costoro ci credono così sprovveduti?
Viene fatto di pensare che sottovalutino la nostra intelligenza, la nostra tenacia, la nostra passione democratica e civile.
La nostra storia dice chi siamo, e nella storia si ricordano le nostre conquiste, una per una.
Tutto quello che abbiamo ottenuto ce lo siamo presi lottando, con la forza di chi vuole cambiare e costruire, non di chi difende un presente di sotterfugi e iniquità.
E dunque non abbiamo paura, anzi! La loro arroganza, la loro violenza, la loro grettezza ci rendono solo più forti.
Più forti perché noi crediamo nella civiltà dei rapporti. E nella civiltà del lavoro.
Nella dignità del lavoro.
Nell’umanità del lavoro.
Forse non avevano capito che più loro coltivano l’ignoranza più noi studiamo, giorno e notte.
Più loro tergiversano e provano a disperderci, più noi avanziamo uniti.
Forse non sapevano che chi hanno di fronte ha un patrimonio di idee e di lotte, ha una cultura democratica, ha una determinazione alla vita, alla dignità, alla resistenza, senza quartiere.
No, forse non sapevano chi hanno davanti.
Adesso, oggi, ora lo sanno.
Adesso, oggi, ora diciamo basta.
Basta intimidazioni, derisioni, ricatti, misfatti.
Basta persone, donne, giovani trattati come numeri, come cose, come animali da fatica.
Basta concessioni, basta connivenze, basta silenzi, basta menzogne, basta rinvii, basta alibi.
Alibi per questi inaffidabili, in giacca e cravatta, ma pur sempre inaffidabili!
E così, oggi, siamo chiamati alla mobilitazione, alla lotta, allo sciopero, siamo in piazza in rappresentanza di oltre cinque milioni di lavoratrici e di lavoratori, dobbiamo ricordarcene e ricordarlo più spesso, di settori essenziali, strategici, di prospettiva, per l’intera economia nazionale.
La nostra storia, dicevo: la nostra coerenza, la nostra serietà, la nostra resistenza dicono chi siamo.
Siamo le lavoratrici e i lavoratori che nel pieno dell’emergenza sanitaria, garantendo un servizio fondamentale per l’intero Paese, siamo stati costretti a continuare a prestare attività come se nulla stesse accadendo, che di frequente ci abbiamo rimesso la salute se non addirittura la vita, nostra e dei nostri familiari.
Siamo le lavoratrici e i lavoratori che, ancora, negli anni della pandemia siamo stati collocati ininterrottamente in ammortizzatore sociale, perdendo salario, perdendo potere di acquisto, venendo costretti a stare tra l’incudine e il martello dei tagli alle retribuzioni e dell’inflazione.
Siamo le lavoratrici e i lavoratori che quando il Governo ha ritenuto dal 2022 di cessare le misure straordinarie indispensabili per gestire la situazione di crisi siamo stati licenziati, brutalmente, dall’oggi al domani, in barba a promesse e proclami di solidarietà e responsabilità.
Siamo le stesse lavoratrici e gli stessi lavoratori grazie ai quali le aziende, i grandi gruppi, le multinazionali - del commercio, della distribuzione, della ristorazione, dei servizi, del turismo - nel corso di decenni, hanno potuto gestire trasformazioni, cambiamenti, riorganizzazioni, hanno potuto edificare, definire e consolidare la propria presenza nel nostro mercato, hanno potuto assicurarsi utili eclatanti, senza poi trasformarli in investimenti sulle strutture , sugli organici, sulla formazione, sulle persone.
E adesso siamo le lavoratrici e i lavoratori ai quali da tre, quattro, cinque anni vengono negati il rinnovo del proprio contratto nazionale di lavoro e incrementi salariali dignitosi; dignitosi abbiamo detto: perché chi lavora in mancanza di una corresponsione dignitosa, lavora con amarezza, con senso della pura sussistenza, non certo con dedizione e passione.
Come siamo le lavoratrici e i lavoratori ai quali, in spregio a qualsiasi forma di riconoscenza, di gratitudine ma soprattutto di rispetto per il tanto dato e il poco ricevuto, le Associazioni datoriali vogliono sottrarre diritti e tutele, vogliono peggiorare le condizioni di lavoro, vogliono rendere ancora più precaria l’occupazione.
Rendiamoci conto! Costoro pensano di tutelare la continuità e la vita delle loro imprese, rendendo precario, discontinuo, incerto proprio il lavoro, che è la continuità e la vita stessa delle imprese. Sono folli! Sono folli e per questo vanno fermati!
Ecco, dunque, chi siamo! Ecco chi sono le migliaia e migliaia di lavoratrici e di lavoratori che oggi protestano, che oggi scioperano, che oggi sono in piazza.
Per ripristinare regole e diritti, per porre un argine all’arbitrio, e innanzitutto per una questione di rispetto!
Il rispetto, avete sentito bene. Il rispetto, chiesto e dovuto per questi milioni di persone che lavorano, non è una nostra impuntatura d’orgoglio o un semplice passaggio formale.
Chi ha rispetto, chi dice di rispettare il lavoro dovrebbe rispettare innanzitutto le regole di convivenza e i valori comuni, o che dovrebbero essere comuni, dell’onestà, della coerenza, della parola data.
Chi ha rispetto, chi dice di rispettare il lavoro dovrebbe sapere che la contrattazione e i rinnovi contrattuali non sono una fastidiosa incombenza rituale, ma una conquista della civiltà, del diritto, della democrazia, e dovrebbero rappresentare un momento di discussione e di crescita comune.
Chi ha rispetto, chi dice di rispettare il lavoro dovrebbe rispettare per primi i lavoratori!
Rispettare le donne e gli uomini che ogni giorno mettono a disposizione braccia e fatica, impegno, ingegno e competenze per generare crescita e valore.
Rispettare gli impegni presi
Rispettare le pattuizioni
Rispettare le regole
Rispettare le consuetudini di contrattazione
Rispettare le persone! Le persone innanzitutto!
Ma lo abbiamo visto, lo avete visto, purtroppo questi imprenditori – ed è vero, si fa fatica a chiamarli tali – si ammantano di una retorica del sacrificio e della fatica, ma vivono da anni solo sui sacrifici e sulla fatica altrui.
Come potremmo aspettarci, dunque, che capiscano cosa è il rispetto.
Sono in primo luogo queste le ragioni della nostra mobilitazione!
E lo dobbiamo far sapere, lo dobbiamo spiegare, lo dobbiamo dire a gran voce che ci sono dei responsabili e quali sono le loro colpe, i loro sbagli, le loro mancanze, le loro negligenze, i loro errori, le loro imperizie, le loro disattenzioni, i loro sotterfugi, le loro sottovalutazioni che sono gravi, che sono molteplici e che sono reiterate nel tempo.
E allora, abbiamo già cominciato a farlo e continueremo a farlo fino a quando non modificheranno le loro posizioni, fino a quando non torneranno a più miti consigli, fino a quando non capiranno che questa volta hanno proprio sbagliato.
Continueremo a fare nomi e cognomi, continueremo a far sapere che sono Confcommercio, Confindustria, Confesercenti, Agci, Aica, Ancc, Angem, Confcooperative, Federalberghi, Federdistribuzione, Federterme, Federturismo, Fipe, Legacoop (per citarne solo alcune), e ancora Autogrill, Conad, Coop Alleanza 3.0, Camst, Carrefour, Dussman, Elior, Eurospin, Esselunga, H&M, Lidl, Marriott, McDonald’s, My Chef, Sodexo, Starhotels, Zara (elenco evidentemente molto parziale ma piuttosto esemplificativo), continueremo a dirlo che sono queste le associazioni datoriali e le imprese:
- Che da anni impediscono il rinnovo dei contratti nazionali
- Che si rifiutano di retribuire in modo adeguato i propri dipendenti
- Che si ostinano a imporre rapporti di lavoro part time, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno, nessuna festività esclusa e spesso pure h24
- Che pretendono di cancellare diritti e tutele, conquiste di decenni di lotte e di negoziazioni
- Che reclamano, senza vergogna, il continuo peggioramento delle condizioni di lavoro di milioni di lavoratrici e di lavoratori
A loro imputiamo di essersi voltati dall’altra parte, di non aver avuto, di non avere il senso del limite, di essere intenzionati a rendere il lavoro dei propri dipendenti ancora più insostenibile di quanto già non sia.
Non è normale, non è giusto, non è civile, essere costretti a mobilitarsi, a protestare, a scioperare per questi motivi, perfino il 22 dicembre.
Non è degno di un paese democratico.
Eppure questi irresponsabili, nel silenzio colpevole e assordante della politica e delle istituzioni, ci stanno inducendo a fare anche questo.
Noi, di certo, non avevamo cercato il conflitto a tutti i costi. Noi avevamo cercato di farli ragionare.
Sta scritto ed è documentato in decine di pagine e in centinaia di ore di studio, di approfondimento, di discussione: dal lato nostro abbiamo lavorato per evitare il peggio, abbiamo ascoltato con pazienza, abbiamo fatto proposte su proposte.
Davvero no, compagne e amiche, compagni e amici, questo attacco contro la democrazia, contro i diritti, contro il Paese tutto, questo attacco ingiustificato, scellerato, miserabile contro il lavoro e l’umanità non l’avevamo cercato, e non l’abbiamo dichiarato noi!
Ma se è lo scontro quello che vogliono, allora eccoci!
Eccoci nei territori, eccoci nei presidi, eccoci nelle piazze.
Eccoci insieme, ecco i nostri volti e le nostre storie, ecco le nostre bandiere!
Loro penseranno che anche quest’anno è andata, che va bene così, che in fondo hanno avuto ragione.
Si sbagliano! Si sbagliano, perché questa volta andrà diversamente.
Gretti, menefreghisti e insensibili, facciano pure il loro brindisi di fine d’anno, nell’inconsapevolezza e nell’irresponsabilità di chi pensa che gli anni sono tutti uguali.
Ma noi, tutte tutti noi, brinderemo all’inizio del nostro nuovo anno di lotta e di rinascita!
Brinderemo con chi passa il Capodanno in un albergo, in un posto di guardiania, in un ospedale, in una strada, in un ristorante a lavorare, a proteggere, ad accudire, per far vivere un momento di comunità a tante persone che ci conoscono, che riconoscono il valore e la dedizione del nostro servizio e la nostra dignità umana.
Brinderemo con le donne, con tutte le donne, per rompere i silenzi, i soprusi, le violenze di genere.
Brinderemo – con amore e riconoscenza – con le vedove e i vedovi, le orfane e gli orfani di chi sul lavoro ci ha messo tutta la sua passione, ci ha creduto per assicurarsi un futuro, e quest’anno sul lavoro ci è morto. A loro il pensiero e il nostro saluto, con la certezza che nessuna morte per lavoro ha senso, e la speranza che nessuna morte sul lavoro sarà stata vana.
E brinderemo con gli ultimi, con gli esclusi, con i deboli, con gli anziani, con coloro che avevano un’occupazione e sono entrati in povertà, con gli emarginati, con i migranti, perché grazie alla nostra lotta tutte e tutti loro diventeranno un giorno più felici, più forti, parte di un Paese migliore, inclusivo, democratico.
Brinderemo con i giovani, con le ragazze e i ragazzi che studiano e si impegnano e discutono di democrazia, di mafie e di legalità, di tecnologie, di sostenibilità, di parità, di futuro brinderemo con l’augurio che possano scegliere di non andare via, di non emigrare in cerca di quella dignità, quel riconoscimento, quella serenità che meritano di trovare qui, nel paese che tutte e tutti, con ostinata passione, continuiamo ad amare.
Noi, tutte e tutti, siamo oggi più che mai pronti a scrivere una nuova pagina nella storia di questa bellissima associazione di coscienze, di progetti, di solidarietà che è la rappresentanza, che è il sindacato, che è Filcams, Fisascat e Uiltucs, che è Cgil, Cisl e Uil.
Noi detestiamo, noi vogliamo cambiare questo presente perché noi siamo, tutte e tutti, per la democrazia e per l’umanità.
E siamo arrivati fino a oggi, in mobilitazione: forti, orgogliosi, coesi, determinati.
E non ci siamo mai arresi e non ci arrenderemo mai, perché siamo certi che si può lottare, che si deve lottare, che si può vivere diversamente, che insieme si può cambiare.
E ancora a tutte e a tutti, compagne e amiche e compagni e amici di lotta, di una vita, di un paese da costruire insieme, buona mobilitazione, buona giornata di sciopero, buon lavoro e per un 2024 che sarà senz’altro di conquiste!