Niente di nuovo, dice la Filcams Cgil, che di segnalazioni di questo tenore ne ha fatte parecchie negli anni: ma se la storia non è nuova, con il passare del tempo appare ispessita, inveterata.
"Quello che è emerso dall'indagine rispecchia effettivamente la realtà" dice un lavoratore stagionale della Riviera del quale, come per l'altro che abbiamo ascoltato, preserviamo l'anonimato. "Sono cose che sanno tutti".
Quello che la Guardia di Finanza ha squarciato è un piccolo velo, uno spicchio di quella realtà.
"Però finché nessuno parla nessuno fa niente".
Il lavoratore è giovane, e i racconti di una decina di anni di lavoro riferiscono di buste paga mendaci, dove appaiono soltanto una parte delle ore lavorate, per versare meno contributi, e di lavori a chiamata saldati in contanti.
"Anche in inverno a Rimini funzionano tutti in nero. Ci vogliono tante persone che segnalino la stessa cosa perché le irregolarità vengano prese in considerazione e perseguite".
E la polemica dei lavoratori che non si trovano, perché non avrebbero tutta questa voglia di lavorare? "Vogliono giustamente fare le otto ore previste dal contratto, e non 14, ricevere uno stipendio che rispecchi un po' il lavoro che fanno e non essere sottopagati. Questo in linea generale, se poi ci spostiamo sullo stagionale è risaputo che non c'è il giorno libero, e se proprio lo vuoi vieni pagato di meno. Lo devi pagare".
Tutto quello che già esisteva, che già accadeva e che accade ancora, è uscito da due anni di covid rafforzato. "Chi già pagava poco prima con la scusa della pandemia pretende di pagare ancora meno. Anche se i turisti stanno tornando, per quella che è la prima estate senza restrizioni, adesso vogliono recuperare quello che hanno perso, pagare di meno e guadagnare di più".
"Sono cinquant'anni che si verificano queste storie e tutti gli anni siamo lì a discuterne. Di controlli ne vengono fatti fa pochissimi, due o tre a campione", dice l'altro lavoratore che abbiamo ascoltato. Ha iniziato a lavorare nella ristorazione negli anni '70.
"Ti offrono 1300 euro per fare le colazioni, iniziare a lavorare alle 7, scendere in sala e uscirne alle tre e mezzo. Se hai un piccolo alloggio vai un paio d'ore a riposare e alle sei torni giù e fai fino alle nove e mezza, alle dieci e mezza di sera. Tutti i giorni così: è in quella cifra mensile sono compresi straordinari, permessi, tfr, tredicesima. Tutto in quel pacchetto da 300 ore al mese".
E poi mettono in regola quattro ore al giorno, a volte cinque o sei "e così la pensione che prenderai sarà bassa e la Naspi sarà la metà della metà".
Da quando ha cominciato a lavorare, quasi 40 anni fa, è sempre stato così, anzi, le cose sono peggiorate.
Poi è duro il lavoro del cameriere, "fai 25, 30 chilometri al giorno. Pensi, camminare 30 chilometri al giorno per 30 giorni".
Quando il lavoro è annuale non va tanto meglio. "Ho lavorato otto mesi consecutivi, mi doveva dare la tredicesima e non l'ho vista, dovevamo dividere le mance raccolte in un cestino e non le ho viste. Ho chiesto un permesso di qualche ora per andare al funerale di un familiare e me le hanno scalate dallo stipendio. Poi si lamentano che non trovano nessuno. Quelli che si lamentano vivono nella bambagia".
"Adesso dalla parte dei lavoratori c'è un dire basta, finalmente".
È questa la cosa che hanno in comune questi due lavoratori, oltre agli stessi trattamenti mortificanti ricevuti da un datore di lavoro all'altro: entrambi a un certo punto hanno detto basta, hanno abbandonato il mondo del turismo - il primo dopo una decina d'anni, il secondo molti di più. Tutti e due hanno trovato regolarità e stabilità altrove: nella loro terra, spostandosi di poco, un passo fuori dal mondo del turismo, il panorama è cambiato. Quel tanto che basta per vivere tranquilli.
È indispensabile un cambio di passo, maggiori controlli e verifiche da parte degli organi competenti e una nuova programmazione se non si vuole rischiare di impoverire sempre di più il mondo del lavoro nel turismo e di conseguenza la qualità dei servizi offerti.