Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini delle terribili alluvioni che dal maggio di quest’anno hanno flagellato la Romagna e l’Emilia. E adesso vediamo un nuovo paesaggio di devastazione, di acqua, fango e detriti che ha portato con sé danni ingentissimi e vite spezzate, in Toscana.
In altre sedi si ragionerà sulla colpevole inazione e negazione dei fatti, che per anni ha ignorato il cambiamento climatico in corso. E si dovrà anche dare conto dell’incuria rispetto al dissesto idrogeologico di tanti territori del nostro paese, bellissimi ma fragili e abbandonati a sé stessi.
Per adesso, oltre al cordoglio doveroso e alla solidarietà per le vittime, i loro cari, le loro famiglie, permettetemi di inviare un altrettanto doveroso abbraccio alle migliaia di lavoratori del soccorso.
Giorno e notte queste forze in campo stanno prestando la loro opera difficile e rischiosa, per mettere in sicurezza le persone più fragili, le famiglie, le collettività. La loro presenza è stata essenziale, e in queste ore apprendiamo di tanti atti coraggiosi grazie ai quali si sono evitate altre perdite di vite umane e altre devastazioni.
Grazie di cuore, sinceramente, a questa Italia della cura e della solidarietà, che ci assomiglia e ci incoraggia a sperare.
E purtroppo e ancora, dopo aver avuto negli occhi per mesi immagini strazianti di guerra in Europa, in Ucraina, altre immagini spaventose ci vengono dal Medioriente, dove è in corso una resa dei conti terribile che è costata la vita prima a persone inermi, a civili, donne, bambini tra il popolo israeliano e poi tra il popolo palestinese nella striscia di Gaza; e anche qui bambini, donne, famiglie, civili inermi che pagano il prezzo estremo della sofferenza e della vita per anni di conflitti e di tensioni irrisolte.
Credo che tutte e tutti abbiamo letto l’Odg confederale dello scorso 18 ottobre. C’è poco da aggiungere sul merito e sul metodo: tutte e tutti sappiamo e ribadiamo che il sindacato ha sempre rifiutato e combattuto nel nostro paese, anche a prezzo della sicurezza e della vita delle sue persone, la violenza terrorista.
Ma anche sappiamo che la guerra e le bombe vanno fermate, che le soluzioni vanno trovate in sede internazionale. Che le tante risoluzioni inascoltate portano e porteranno solo altro odio e altra violenza.
Riceviamo e accogliamo dunque il mandato a tutte le strutture dell’organizzazione a costruire e a promuovere iniziative. Il manifesto “Israele-Palestina” che è stato sottoscritto ci invita a “riprendere per mano la pace” e a fermare la violenza.
Tutte e tutti sapete che nei territori della rappresentanza queste parole dovranno innervarsi e trovare iniziative adeguate, per favorire il dialogo.
Il nostro paese accoglie milioni di migranti e di lavoratori da quella regione del mondo, il Medioriente, che vive di conflitti terribili. Pensiamo alla Siria, allo Yemen, alla Palestina e a tante altre situazioni di catastrofe umanitaria. A questi conflitti si accompagnano ingiustizie, soprusi, diseguaglianze sociali che sono altrettanta benzina sul fuoco dell’odio e della guerra.
E da lì nascono continuamente nuove fughe, e nuove migrazioni.
Questa storia, la loro storia, è anche nostra, ci riguarda e ci interroga ogni giorno. La rappresentanza sostiene e testimonia valori di coesistenza e di inclusione, nei luoghi di lavoro e in tutta la società civile. Possiamo e dobbiamo dire, in Italia e nel mondo, che alla violenza e alla morte c’è sempre un’alternativa.
A margine dell’assemblea di oggi, vi proporremo un ordine del giorno in tema, che costituisce l’avvio di un programma di lavoro che vi presenteremo in termini più complessivi e compiuti e di maggior organicità nel corso dei primi mesi del 2024; considerata la situazione riteniamo che non ci si possa limitare alla semplice predisposizione di un ordine del giorno ma che, anche, soprattutto, in questo ambito ci si debba muovere coerentemente sul piano dell’azione.
E ora, veniamo a noi!
Ci siamo, siamo ormai nel pieno della mobilitazione di categoria, anzi, nel pieno della mobilitazione delle categorie del terziario, che abbiamo annunciato e lungamente preparato.
Ci attendono mesi difficili, ma decisivi.
Noi crediamo, in assoluta buona fede, che i passi che stiamo compiendo non siano solo necessari, ma inevitabili e soprattutto giusti. Più volte abbiamo dichiarato che dalla qualità, dalla civiltà, dall’umanità del lavoro dipendono la dignità di milioni di persone e la democrazia nel nostro paese.
E lo possiamo dire: la nostra non è certo una mobilitazione improvvisata, estemporanea, dell’ultima ora. Abbiamo cominciato a ragionarne al nostro congresso, siamo passati per l’iniziativa “The New Order” alla Leopolda di Firenze, per l’assemblea unitaria intersettoriale delle delegate e dei delegati di Bologna, per la riunione dei nostri segretari generali di Torino, abbiamo affrontato la questione in diverse nostre assemblee generali e nel contesto di vari attivi settoriali e di comparto.
Alle controparti, alle associazioni datoriali, alle imprese sono stati ampiamente concessi tutti i tempi e i modi per ravvedersi, per rinsavire, per assumersi finalmente le proprie responsabilità.
Ebbene, da parte loro? Nulla di nulla, lo avete ben visto.
Forse costoro hanno pensato, per incompetenza o per un errato calcolo delle forze in gioco, che ci stancassimo, che procrastinare corrispondesse a logorare e a fiaccare la rappresentanza.
Bene, qualunque cosa abbiano pensato, o stiano ancora pensando, si sbagliavano: la loro inconcludenza ci rende più tenaci e meticolosi, ci rende più presenti, ci rende più determinati.
Se si illudevano di ingannarci e di farci arretrare, se pensavano che la rappresentanza di milioni di lavoratrici e di lavoratori si potesse ignorare, scavalcare, insultare, se pensavano che le poche briciole cadute dal tavolo della trattativa bastassero a placare la nostra fame di giustizia, ebbene se pensavano tutto questo, e qualunque altra cosa avessero pensato, si sbagliavano: ci hanno resi più forti! E adesso vedranno, adesso toccheranno con mano cosa ha generato la loro irresponsabilità e la loro mancanza di etica del lavoro.
I nostri comunicati, soprattutto quelli degli ultimi giorni ricostruiscono, ancora una volta, nel dettaglio la gravità della situazione.
Questa è una vertenza che – quante volte abbiamo provato a farlo comprendere! – per il numero di lavoratrici e di lavoratori coinvolti, per la portata, per le dimensioni, per le implicazioni, non ha precedenti né raffronti.
Quando non si rinnovano per un lasso temporale così rilevante tanti e tali contratti nazionali di lavoro, e la dilazione di anno in anno diviene la regola, non soltanto si mettono in discussione valore, funzione e ruolo della contrattazione nazionale, questione già di per sé allarmante, ma si compromettono interi assetti relazionali, essenziali per la tenuta economica e sociale del nostro paese.
Questo è il primo dato di sintesi rispetto a quanto accaduto tra la scorsa tornata contrattuale e quella corrente: il sistema relazionale del terziario nel suo complesso, sempre più frammentato, sempre più disarticolato, sempre più scompaginato, ha confermato, una volta per tutte, di non essere all’altezza della situazione.
Aziende, grandi gruppi, multinazionali - del commercio, della ristorazione, della distribuzione, dei servizi, del turismo - nel corso di decenni, contando innanzitutto sui propri dipendenti, hanno potuto gestire trasformazioni, cambiamenti, riorganizzazioni, hanno potuto edificare, definire e consolidare la propria presenza nel nostro mercato, hanno potuto assicurarsi utili frequentemente eclatanti.
E adesso, in una fase complessa, difficile, articolata, come quella attuale, nella quale avrebbero dovuto rivestire un protagonismo in primo luogo in termini di responsabilità sociale, e avrebbero dovuto riservare finalmente attenzione alle centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori che hanno concorso in modo determinante alla loro affermazione, hanno invece deciso, scientemente, di ripiegare, di abdicare al loro ruolo, mostrando le loro fragilità, le loro debolezze, ma soprattutto la loro grettezza.
La nostra non è retorica, è constatazione dei fatti: è stupefacente come in questi anni alla crescita culturale e di sensibilità umana di milioni di lavoratori, con cui abbiamo parlato e parliamo ogni giorno, abbia corrisposto una involuzione così drammatica della cultura e del linguaggio della classe imprenditoriale italiana e dei suoi rappresentanti.
Avremmo voluto misurarci con avversari in grado di seguire un ragionamento, di trattare su un piano di realtà condivisa, di articolare un pensiero. Avremmo pensato di poter ingaggiare nella lotta, in un gioco delle parti che è anche democrazia reale e crescita comune, interlocutori magari anche duri, ma leali.
Invece costoro hanno solo mostrato una totale mancanza di grammatica della civiltà e delle relazioni umane. Quando hanno proposto qualcosa, hanno balbettato quattro cifre e avanzato proposte alle quali loro per primi non credevano.
Noi non sappiamo dove fossero le loro donne e i loro uomini migliori, ma davvero possiamo dire che abbiamo visto in campo, nel loro campo, le peggiori comparse della storia degli ultimi venti anni delle relazioni sindacali. Li abbiamo visti sedersi ai tavoli della trattativa, per poi sfilarsi e sottrarsi ogni volta che si intavolava un ragionamento e una proposta.
Compagne e compagni lo diciamo con sconsolata franchezza, e crediamo che purtroppo sia esperienza comune: se ogni volta che ti siedi per discutere con questi hai l’impressione di essere l’unico adulto nella stanza, è evidente che qualcosa non va.
Abbiamo trovato, forse scontatamente, più maturità, sensibilità umana, volontà di migliorare il mondo nelle ragazze e nei ragazzi che studiano alle superiori, negli studenti universitari, nelle lavoratrici e nei lavoratori con cui ci siamo confrontati per anni, che non in queste figure sbiadite e assurde di figuranti improvvisati dell’imprenditoria selvaggia.
Per mascherare la loro inadeguatezza hanno tentato di affidarsi ai sotterfugi e alle astuzie tattiche.
Per evitare di dare risposte hanno preso tempo. E ancora tempo. E ancora tempo.
Ma il tempo, il loro tempo, è finito. Adesso comincia il nostro.
Perché è davvero evidente che in questo paese qualcosa non va. E se non ci mettiamo mano noi, non possiamo pensare, non possiamo più aspettarci che lo facciano loro.
È anche questo, soprattutto questo, che imputiamo a Confcommercio, a Confindustria, a Confesercenti, a Federdistribuzione, a Ancc, a Agci, a Confcooperative, a Legacoop, a Fipe, a Angem, a Federalberghi, a Aica, per citarne solo alcune.
E ancora… a Dussman, a Elior, a Conad, a McDonald’s, a Esselunga, a Lidl, a Zara, a H&M, a Coop alleanza 3.0, a Eurospin, a Autogrill, a Starhotels, a Camst a Marriott, a Carrefour, a Sodexo - elenco evidentemente molto parziale ma piuttosto esemplificativo.
A loro imputiamo di essersi voltati dall’altra parte, di non aver avuto - di non avere - il senso del limite, di essere intenzionati a rendere più insostenibili di quanto già non lo siano le condizioni di lavoro dei loro dipendenti.
Lo abbiamo precisato che lo avremmo fatto, che avremmo fatto nomi e cognomi, che avremmo dettagliato le ragioni sociali, i marchi, i brand di chi ha responsabilità precise, determinate, circostanziate, rispetto alla degenerazione della vertenza, sarà una parte dell’attività alla quale ci dedicheremo in questi mesi di mobilitazione, quella riconducibile a campagne di comunicazione in tema di reputazione datoriale e aziendale.
La comunicazione in termini complessivi, lo abbiamo detto, sarà, ancora di più nei prossimi mesi, una leva fondamentale nel rapporto tra di noi, nel rapporto con le delegate e i delegati, nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori;
Considerata la delicatezza della situazione, dovremo essere nelle condizioni di comunicare tempestivamente ed efficacemente informazioni e aggiornamenti e di fornire tutte le delucidazioni, le spiegazioni, i chiarimenti del caso su ogni singolo passaggio della vertenza, in coerenza con l’impegno che abbiamo definito, di affrontare la fase di mobilitazione in termini di partecipazione, condivisione e coinvolgimento i più ampi possibili.
È questa la traiettoria che stiamo tracciando verso il 22 di dicembre, la giornata che è stata individuata per lo sciopero di categoria; un venerdì, per consentire anche alle addette mense, a chi presta attività nella ristorazione collettiva di prendere parte, fattivamente, alla protesta, un’unica data che ci tenga insieme, che ricomprenda i diversi settori, i differenti comparti, che tenga insieme tutte e tutti noi.
Sciopereranno le lavoratrici e i lavoratori del commercio, della distribuzione, della ristorazione collettiva e commerciale, della filiera del turismo, in considerazione di uno schema di mobilitazione inevitabilmente progressiva che stiamo gestendo con la conseguente gradualità: estredalla rottura dei tavoli del terziario, passando per quello della ristorazione, arrivando al turismo, per poi procedere coesi verso lo sciopero.
Nell’ambito dell’impostazione unitaria definita, abbiamo inoltre convenuto con Fisascat e Uiltucs, per il prossimo 22 novembre, di prevedere un ulteriore “passaggio” intermedio, una sorta di iniziativa di ritorno rispetto all’assemblea delle delegate e dei delegati dello scorso luglio a Bologna che, mantenendone le modalità, sancisca, a tutti gli effetti, l’avvio della fase di mobilitazione e contribuisca a dare visibilità alle motivazioni a fondamento della dichiarazione di sciopero e alle nostre priorità, alle nostre richieste, alle nostre proposte.
In tutto questo c’è un tema centrale se non addirittura dirimente, e attiene al post mobilitazione, ai termini di riavvio dei negoziati, all’impostazione che la Filcams definirà rispetto alla ripresa delle trattative.
2024: certo non dichiareremo noi che il 2024 dovrà essere l’anno dei rinnovi dei contratti, perché, pur con notevole e ingiustificabile ritardo, avrebbe dovuto esserlo il 2023.
Non lo dichiareremo ma abbiamo visto che, per colpa grave e reiterata della parte datoriale, il 2023 è stato l’anno dei mali estremi, per cui passiamo ora, tutte e tutti, agli estremi rimedi.
No, non è il tempo delle dichiarazioni, è il tempo dell’azione.
2024: nella sostanza è questo l’obiettivo, è questo il fine che ci prefiggiamo con la mobilitazione, con la proclamazione degli stati di agitazione, con le dichiarazioni di sciopero, con le iniziative già programmate da qui ai prossimi mesi: riavviare le trattative a condizioni evidentemente differenti rispetto a quelle che ne hanno caratterizzato l’andamento fino agli ultimi incontri e che ci hanno costretto alla rottura.
È un tema che dovremo affrontare già nelle prossime settimane tra di noi, nel perimetro Filcams, nel rapporto con la Confederazione e, evidentemente, nel rapporto con Fisascat e Uiltucs.
Con questo spirito, e con questo senso di concretezza e di urgenza, affrontiamo, affronteremo i prossimi mesi.
Con lo sguardo rivolto, senz’altro, anche verso la prosecuzione della mobilitazione di iniziativa confederale, che è stata una prova d’orchestra, potente e ben accordata, del concerto di forze e di articolazioni che nei prossimi giorni andremo a mettere in moto e di cui beneficeremo anche rispetto alla nostra di mobilitazione, nei settori che più specificamente ci appartengono.
La manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma ne è stata ulteriore e tangibile conferma, gli scioperi proclamati per il 17 e 24 novembre e per il 1 di dicembre ne saranno la riprova.
La categoria fornirà come di consueto il proprio contributo, imprescindibile in termini di partecipazione, di presenza, di organizzazione, di rappresentanza, non come un elemento di raccordo o uno snodo fra i tanti ma come motore pulsante dell’Italia dei mille e nuovi mestieri che la Filcams interpreta, difende e rappresenta appunto.
Lo sappiamo bene, per come siamo fatti siamo tra i primi ad averlo compreso: la solidarietà, la vicinanza, le lotte, le rotture, le mobilitazioni, gli stati di agitazione, gli scioperi non si testimoniano solo su Twitter, su Facebook o sugli altri social, anche tra quelli rivolti ai più giovani; si scende in piazza, e ci si conta, ci si misura, e si sfida! E magari si vince pure, e lo si fa camminando fianco a fianco con le altre compagne e compagni, e con migliaia di lavoratrici e lavoratori di tutte le categorie.
È questo l’approccio con il quale ci apprestiamo ad organizzare la nostra partecipazione alle quattro giornate di sciopero programmate il 17 e il 24 novembre e il 1 e il 22 dicembre.
In questi momenti non si ragiona di “noi o loro”, “noi e loro”, e neppure di “noi con loro”. Si ragiona solo con un grande e orgoglioso “noi” che comprende e tiene insieme, come una ricchezza irrinunciabile e una forza, tutto il sindacato.
E con questo stesso spirito unitario, con questa cultura saremo in piazza per contrastare la nuova legge di bilancio, una delle peggiori e più antipopolari manovre che la storia repubblicana ricordi.
Diciamo solo e credetemi, senza alcuna volontà rivendicatoria, che ci aspetteremo, dove e come possibile, altrettanta e reciproca coesione e vicinanza. Perché anche i lavoratori di altre categorie capiscano che la nostra lotta è la loro, che il nostro avanzamento vorrà dire una rimodulazione e una ridefinizione di tutto, ma proprio tutto il lavoro in Italia.
E vogliamo puntualmente verificarle, poi, queste sintonie, e farne un momento di svolta anche nelle relazioni confederali e intersindacali.
2024, dicevamo.
2024 anno di verifica della forza e della tenuta della nostra proposta.
2024 come un punto di arrivo del lavoro di tutto questo anno, e punto di partenza di una nuova fase per la Filcams.
2024, anno della svolta.
Ci aspettano mesi difficili, abbiamo detto. Ma noi non facciamo rappresentanza perché è facile, la facciamo perché è difficile e appassionante, sacrosanta, giusta. La facciamo perché siamo arrabbiati ma fiduciosi e forti.
La facciamo perché ognuna e ognuno di noi vorrà poter dire, un giorno, di avere lasciato un segno. Di avere agito per cambiare la trama delle cose, di avere fatto la storia di un paese diverso.