Grazie per aver raccolto l’invito a riunirci, a essere insieme, anche in giorni difficili come questi.
Grazie a tutte le delegazioni Uiltucs, Fisascat e Filcams, a chi ha organizzato e reso possibile la nostra assemblea e la nostra giornata di confronto.
Grazie a Effat e Uni Global Union per il sostegno e la vicinanza. Grazie a Ruben Cortina, presidente di Uni Global, per essere qui con noi.
Essere insieme oggi è importante, è urgente ed è necessario.
Perché non è più il momento di diversivi tattici, di aperture interlocutorie, di giri di parole.
Ora possiamo finalmente dirlo! E dobbiamo dirlo!
È di tutta evidenza, siamo pronti! Siamo pronti alla mobilitazione!
Filcams, Fisascat e Uiltucs: pronte alla mobilitazione!
Migliaia di delegate e di delegati: pronti alla mobilitazione!
E con noi, centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori: pronti alla mobilitazione!
Sono le stesse lavoratrici e gli stessi lavoratori che, anche nel pieno della situazione di emergenza sanitaria, hanno continuato a fare il loro mestiere, come se nulla stesse accadendo, come se tutto fosse dovuto anche quando non era affatto dovuto.
Queste persone, ricordiamolo, hanno garantito attività e servizi fondamentali per l’intero paese. E in tanti si sono ammalati, o hanno addirittura perso la vita per il covid (anche oggi, a loro e alle loro famiglie va il nostro pensiero e la nostra vicinanza).
Tra loro, tra noi, ci sono le stesse lavoratrici e gli stessi lavoratori che tra il 2020 e il 2022 sono stati ininterrottamente in ammortizzatore sociale, facendo enormi sacrifici e subendo perdite salariali insopportabili.
E ancora, sono pronti alla mobilitazione con noi oggi quelle stesse lavoratrici e quegli stessi lavoratori che dal 2022, dopo che il governo ha pensato e deliberato di non rinnovare le misure indispensabili per fronteggiare la crisi – blocco dei licenziamenti e ammortizzatori in deroga – sono stati cacciati dalle loro aziende dopo anni, talvolta dopo decenni di lavoro e di dedizione.
Con buona pace di chi dice che l’Italia, grande paese industriale del G7, e grande sistema di servizi, si baserebbe su un patto di mestiere e di fiducia tra lavoratori e datori, dipinti come un’unica e concorde famiglia.
Ma di cosa stiamo parlando? Centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori del commercio, della distribuzione, della ristorazione commerciale e collettiva, dei servizi, del terziario, del turismo… siamo noi, tutte e tutti noi a sentirci ormai traditi e oltraggiati.
Ma sia ben chiaro: proprio perché siamo offesi, mai saremo umiliati.
Perché noi crediamo nella rappresentanza come asse portante della democrazia e del diritto, e non smetteremo di crederci e di lottare.
Proprio noi che non vediamo da anni, da troppi anni, rinnovi contrattuali – lo dice bene il nostro slogan - che ci spettano, incrementi salariali che ci spettano, diritti e tutele che ci spettano e per i quali abbiamo lavorato, per i quali lavoriamo, per i quali stiamo lavorando 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno, spesso 24 ore su 24, nessuna festività esclusa.
In quale altra democrazia avanzata – sempre che non vogliamo dire “cosiddetta democrazia” e “cosiddetta avanzata” – sarebbe possibile questo scempio delle relazioni, questo arbitrio delle condizioni, questo sfruttamento delle prestazioni verso chi porta e sostiene sulle proprie spalle buona parte dell’economia del paese?
Quella che poniamo è ormai una questione di civiltà, di basi e di garanzie stesse della convivenza: due, tre, quattro, cinque anni, senza rinnovi contrattuali non hanno alcuna giustificazione.
E se vogliamo davvero sentirci parte dell’Europa – “andare in Europa” come dicono i telegiornali – ricordiamoci e ricordiamo a tutte e a tutti che essere in Europa non vuol dire distogliere lo sguardo dai migranti, dalle ultime e dagli ultimi, non vuol dire proporre una deregulation selvaggia del lavoro, pilotata dai grandi cartelli multinazionali, essere in Europa oggi vuol dire promuovere l’inclusione sociale, la sostenibilità, l’integrazione, la civiltà delle relazioni, il riconoscimento di regole e diritti fondamentali a tutte le categorie del lavoro, la presenza di regole e contratti aggiornati, vigenti, validi, trasparenti!
Ecco perché siamo qui. E siamo qui insieme. Non solo per riflettere, per discutere o per dire. Ma per fare, agire, lottare, mobilitarci!
Non sono più accettabili ritardi, dilazioni, indugi! No e ancora no!
Non ci sono scusanti, alibi, attenuanti. Non possiamo aspettare altro tempo! No e ancora no!
I contratti nazionali, tutti e 15 i contratti nazionali in discussione, devono essere rinnovati! Si, e ancora si alla mobilitazione, si ai diritti, si alla democrazia!
E di questo si dovranno convincere anche loro, le nostre controparti, che litigano, si dividono, bisticciano, si rappacificano, e poi si azzuffano e si accapigliano di nuovo e poi si riconciliano, e così per mesi, per anni, con una messa in scena che è diventata cosa nota, ripetitiva e grottesca.
Addirittura vanno in competizione tra loro, rispetto a chi rivendica e ottiene di più, a chi oltraggia e insolentisce di più, a chi nuoce e sfregia di più, a chi ritarda di più a rinnovare i contratti nazionali, a chi definisce arretramenti più importanti, a chi negozia di più al ribasso. Ecco, queste sono le nostre controparti!
E così, per chiarezza, lo sappiamo, lo si sa, è ormai risaputo, chi sono i responsabili dei mancati rinnovi, hanno un nome e un cognome; sappiamo con precisione quali sono le associazioni datoriali, le imprese, le multinazionali, i grandi gruppi, le catene, le società attente e sollecite più a preservare la loro reputazione nel rapporto con i clienti che non con i propri dipendenti.
Appaiono sui social media con foto patinate dei loro resort, alberghi, ristoranti, aziende balneari, studi professionali blasonati, supermercati. Si affidano ad agenzie specializzate in algoritmi, in reputazione del brand, in promozione e marketing.
Ma nascondono, o credono di nascondere, la realtà dei loro retrobottega, delle cucine, dei magazzini, degli appalti, delle cooperative, del lavoro nero, dei contratti “pirata”, delle condizioni di lavoro irregolari, quando non addirittura infamanti, a cui costringono quelli che non considerano neppure lavoratori, ma semplici prestatori d’opera, o inservienti se non addirittura servi.
Ed è li che li troveremo e li staneremo uno per uno, mostrando, denunciando, controinformando, facendo vedere ai cittadini, ai clienti, alle pubbliche opinioni che la loro immagine di un’Italia che attrae e cresce funziona solo come narrazione di convenienza, e di facciata.
Ma la realtà, come sappiamo, come sapete bene, è più potente e rivoluzionaria della pubblicità e del marketing. Da oggi dunque le leve del discorso, della narrazione, della verità e della denuncia le prendiamo in mano noi, e non faremo sconti a nessuno!
E allora, lo abbiamo già fatto, e lo abbiamo fatto anche bene, diciamo anche che abbiamo ormai imparato a farlo: se non ci saranno sviluppi, sostanziali, concreti, reali, già nei prossimi giorni, già nelle prossime settimane, rispetto alle trattative, avremo modo e cura, contestualmente al piano della mobilitazione, di muoverci anche sul piano della comunicazione, delle campagne sulla reputazione, sulla credibilità, sulla totale assenza di responsabilità di chi si è prefisso il solo scopo di osteggiare il rinnovo dei contratti e di peggiorare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori dei nostri settori. Perché si sappia, perché l’opinione pubblica sappia, perché il paese sappia che cosa sta succedendo dalle “nostre parti”.
Il tema è in realtà uno, centrale, ineludibile, sempre lo stesso: la qualità dell’occupazione, la sostenibilità delle condizioni di lavoro, diremmo noi l’umanità smarrita di un lavoro al quale non c’è verso di dare dignità e valore.
Dignità e valore: questo lo si è fatto e lo si fa in fabbrica, senza arretrare, grazie alla tenacia della rappresentanza. Lo si è fatto e lo si fa nella pubblica amministrazione, nella sanità, nell’edilizia, ancora grazie al presidio e alla incisività della rappresentanza.
Bene, allora diciamo che il valore della rappresentanza, della nostra rappresentanza, è doppio perché mobilitarsi è urgente proprio là dove è più forte l’arbitrio, dove vengono calpestate le regole, dove il XXI secolo non è ancora arrivato – o ha fatto in modo di arrivare solo a vantaggio di alcuni. E questa è una deriva di imbarbarimento che va fermata.
Noi, nella diversità delle posizioni e dei valori, gli imprenditori vorremmo considerarli rispettabili, perché li consideriamo un interlocutore e una controparte, “la” controparte anzi. E arriviamo a dire che se c’è crescita economica per tutti ben venga, se c’è guadagno onesto ben venga, se si creano posti di lavoro e avanzamento sociale ben venga.
Ma dove sono, oggi, questi imprenditori? Se ci sono, non si fanno vedere, ma senz’altro si dovrebbero preoccupare da chi si fanno rappresentare! Gente che invece che esprimerli come categoria responsabile davanti al paese li rende inattendibili e condannabili sul piano etico.
Si sveglino, allora, gli imprenditori, se ancora esistono si facciano vedere e sentire: perché noi lo diciamo forte, questa “gente” va fermata, il bullismo contrattuale di questi soggetti deve essere arginato, questi devono essere rimessi al loro posto, e se non lo faremo noi, se non lo facciamo noi, statene pur certi che non lo farà nessun altro.
E se tra gli imprenditori c’è qualcuno che ancora accetterà di farsi rappresentare così, allora possiamo dedurne che non lo fa per pigrizia, ma per comodo quando non per tacita complicità. I fatti parlano chiaro. Anni di fatti e di atti mancati e irresponsabili.
Ma la festa della tracotanza e dell’arbitrio è finita, lo si sappia.
Siamo venuti a Bologna non per contarci, perché lo sappiamo già quanti siamo, e sappiamo ora per ora quanto costa al paese e quanto ci costa il loro snervante rimpallo di responsabilità
Siamo venuti a Bologna perché la nostra esperienza quotidiana diventerà parola, e immagine, e video, chiederemo a delegate e delegati, lavoratrici e lavoratori di partecipare a questa grande mobilitazione dei cuori e delle coscienze, renderemo visibile e denunceremo ogni giorno quello che loro nascondono, ignorano e occultano.
È esattamente questa la discussione che affrontiamo oggi, sono questi i temi della nostra assemblea di oggi, sono queste le problematiche irrisolte che ci stanno spingendo alla mobilitazione.
E se fosse, se servisse, se servirà e avrà un senso, la nostra mobilitazione passerà dalla denuncia permanente, dalle attività sui territori, dalla contestazione puntuale degli abusi allo sciopero.
Lo diciamo qui e ora, perché chi ci ascolta non si faccia illusioni. La nostra non è una riunione di consuntivo, non è una attivazione di fase interlocutoria.
Siamo qui perché le condizioni, i modi, le azioni, i luoghi della mobilitazione adesso li decidiamo noi.
E soprattutto il tempo. Il tempo stavolta ce lo siamo ripresi, non per tenere le posizioni ma per lottare e per avanzare!
Il tempo, il tempo di vita, il tempo di lavoro, il tempo di dignità che ci è stato sottratto, da adesso sarà nelle nostre mani!
A questo siamo pronti, ogni donna e ogni uomo della rappresentanza, ogni lavoratrice e ogni lavoratore!
È una storia che conoscete e che da decenni si ripete. I diritti e le conquiste non vengono mai acquisiti “per gentile concessione” della controparte. Devono essere strappati, conquistati palmo a palmo, con tenacia e anche con sofferenza.
Così hanno sempre fatto le lavoratrici e i lavoratori che ci hanno preceduto, per generazioni. E così faremo noi.
A ogni svolta storica c’è sempre qualcuno che, per calcolo o per ignoranza, scambia la nostra tempra per acquiescenza, la nostra capacità di dialogo per moderazione. Si pensa forse che facciamo proposte per cercare scorciatoie e compromessi.
Beh, se questo è quello che hanno capito, o fatto finta di capire, hanno capito male, molto male!
Perché la misura è colma.
Perché la pazienza è finita.
Perché il dialogo sta diventato scontro, e lotta.
Perché noi siamo arrabbiati. Molto.
Perché siamo oltraggiati. Molto.
Perché ormai non abbiamo più né la pazienza, né la volontà di concedere il beneficio del dubbio.
Anche se noi potremmo e sapremmo insegnare come si deve comportare un’impresa e un imprenditore, perché abbiamo una storia e una cultura consolidata e antica, questo non è il nostro compito.
Noi non faremo né i precettori né i pedagoghi dei nuovi barbari: ci pensino loro, prima che sia troppo tardi, a farsi spiegare dai loro consulenti che così si rischia di arrivare a un punto di non ritorno, che un sistema senza civiltà delle relazioni si incancrenisce, si avvita, si impoverisce. Che un’Italia in cui un lavoratore su quattro lavora in proroga o in precarietà totale non può resistere a lungo.
Ma noi sappiamo che ce la faremo compagne, compagni, amiche, amici.
Anzi, ne siamo assolutamente certi.
Perché loro procedono separati, scomposti, si contraddicono perfino dentro una stessa riunione, in un modo che risulterebbe patetico se non fosse gravissimo sul piano del merito professionale e del diritto.
Noi invece procediamo uniti, composti. È vero, discutiamo tra noi ma siamo qui a Bologna per parlare con una voce sola, a nome di 7 milioni di lavoratrici e di lavoratori, con le loro famiglie – pensateci, parliamo di oltre 15 milioni di persone! Un cittadino su quattro.
Questa non è una campagna o un’azione di negoziazione. È una missione che il paese ci affida, è una mobilitazione per salvare i valori e le prerogative non solo del lavoro, ma della democrazia.
Il 2023 deve essere l’anno di rinnovo dei contratti.
In gioco ci sono:
La nostra voce
La nostra forza
La nostra tenacia
La nostra volontà
Il nostro coraggio
I nostri valori
La nostra ragione di esistere stessa
In gioco c’è il lavoro
In gioco c’è il paese.
Il momento è arrivato: prendiamoci quello che ci spetta.
Prepariamoci alla mobilitazione!