1. Contro il razzismo
Vogliamo dedicare l’inizio di questi nostri lavori a Samb Modou e Diop Mor, i due ambulanti senegalesi uccisi dal Killer di estrema destra Gianluca Casseri, per ribadire l’impegno della Filcams nella lotta contro ogni forma di razzismo e per la costruzione di una società multietnica e multiculturale.
Quanto accaduto a Firenze, e pochi giorni prima a Torino, offrono la realtà di un fenomeno molto preoccupante, che può descrivere un pericoloso salto di qualità nella cultura e nel sentimento politico del Paese. Torino e Firenze rappresentano due comunità fortemente inclusive, dove la cultura dell’integrazione e dell’inclusione sono stampate nel dna della loro storia. Basterebbe citare l’esperienza di Giorgio La Pira, sindaco di una Firenze aperta all’Europa e al mondo, che tra i banchi del mercato di S. Lorenzo esprimeva nei commenti dei commercianti nativi lo smarrimento e l’incredulità per un gesto lontano mille miglia proprio da quella civiltà politica che ha fatto la storia della città, della regione, come di Torino e di tante altre città e regioni d’Italia.
La grande partecipazione che ha caratterizzato le manifestazioni svolte sabato conferma la dominanza del sentimento di rigetto verso le forme di razzismo e di emarginazione, e questo indubbiamente ci consente di guardare con fiducia al nostro impegno.
Occorre, tuttavia, che la nostra riflessione su quanto accaduto scenda un po’ più in profondità, avendo il coraggio di guardare oltre il gesto di una persona squilibrata, oppure, come pare nel caso di Firenze, armato di un lucido disegno criminale.
Per questo è necessario ricondurci alle parole del rappresentante fiorentino della comunità senegalese “possibile che nel 2011 uno muoia per il colore della sua pelle?”
E’ fuori dubbio che sul terreno del multiculturalismo la nostra società è regredita e questo non per colpa di qualche pazzo scatenato o farneticante combattente per la razza pura. Siamo di fronte alle conseguenze di politiche perseguite per lunghi anni, i contenuti e gli effetti delle quali ci consegna questa regressione e colloca l’Italia anche su questo, nei posti più bassi della graduatoria dei paesi più civili.
Siamo di fronte, innanzitutto, a responsabilità gravi della destra politica e sociale. La politica verso il fenomeno dell’immigrazione, condotta in questi anni dai governi di centro destra, non ha fatto altro che istigare l’idea che il diverso di colore, invadendo e configgendo con gli interessi dei nativi, andasse prima rinchiuso negli appositi recinti e successivamente respinto a domicilio.
La xenofobia in questo Paese non nasce certamente oggi, ma il clima di paura e di intolleranza cresciuto anno dopo anno, cavalcando fin troppo strumentalmente il problema della sicurezza nelle città, ha trovato nelle leggi volute dal centro-destra (Bossi-Fini) e da tanti altri provvedimenti che hanno visto protagonisti sindaci di città importanti, la vena a cui alimentarsi e dalla quale far esplodere le manifestazioni più virulenti, come quelle di cui stiamo parlando.
Salvo, naturalmente, continuare a considerare i migranti limoni da spremere nel mercato del lavoro, per poi buttarli via, nelle fasi di pesante crisi, come quella che stiamo vivendo.
Occorre, tuttavia, che la nostra riflessione aggredisca anche l’indifferenza e la sottovalutazione, anch’essi prodotti delle politiche condotte in questi anni, ma che sarebbe sbagliato e limitativo attribuire solo al nostro campo politico avverso.
Dobbiamo affrontare le ragioni che anche a sinistra hanno prodotto una grande amnesia storica, che ci ha fatto dimenticare come lo stesso nostro Paese è stato a suo tempo protagonista di grandi flussi migratori, anche dalle terre che più di ogni altre oggi tendono ad espellere il diverso di colore.
Spesso, è stato più il tempo dedicato a rincorrere la destra sul suo terreno, ad esempio quello della sicurezza prevalentemente come problema di ordine pubblico, che non a costruire un progetto in grado di affrontare e risolvere, come già fatto in altri paesi occidentali, i temi della cittadinanza per i nati in Italia, quello del diritto di voto amministrativo, per non parlare dei diritti sociali e sul lavoro.
Non dobbiamo dimenticare che nelle stesse città “più a sinistra d’Italia”, abbiamo vissuto momenti di forte contraddizione, come a Firenze, all’epoca del provvedimento sui lavavetri, o a Bologna, con i controversi provvedimenti del sindaco Cofferati sulla presenza degli immigrati nelle strade della città.
Come Filcams, pertanto, dobbiamo confermare l’impegno a fare di questa problematica, uno dei tratti distintivi del nostro lavoro, anche per la presenza diffusa e crescente dei migranti nel settore, a partire dal lavoro domestico.
Dopo la pausa natalizia, torneremo a riunire la consulta dei migranti per formulare un programma di lavoro che impegni la categoria a tradurre nella nostra realtà settoriale gli obiettivi della Convenzione Internazionale ONU sulla protezione di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, convenzione che nessun paese dell’UE ha ancora sottoscritto e ratificato.
Anche le piccole cose hanno un loro significato, ci identificano come un punto di riferimento nella battaglia contro le discriminazioni, come lo è stato nell’impegno che abbiamo messo per respingere una delle brutture del Ccnl separato del TDS, che prevedeva l’allungamento dell’apprendistato di un anno per i migranti, sul quale l’UNAR è successivamente intervenuta per chiedere ai firmatari di quel atto discriminatorio di modificare il testo (peraltro superato dai successivi provvedimenti del Governo in materia di apprendistato).
2. La manovra del Governo ed effetti sul terziario
Sulla manovra del Governo sono noti i giudizi della Cgil, riconfermati in occasione dell’ultimo Direttivo della scorsa settimana, quindi, ciò mi esime di ripeterli.
Possiamo dire che, rispetto alla prima versione della manovra, quella votata dal Parlamento contiene qualche modifica, che rende lievemente meno eclatante l’iniquità che avevamo denunciato fin dall’inizio, e solo perché il sindacato ha da subito denunciato con forza l’ingiustizia sociale che in essa vi era contenuta.
Ma quelle modifiche non spostano di granché l’asse dell’iniquità da noi denunciata, che resta sostanzialmente quella di partenza e che non può a nostro giudizio essere giustificata dalla gravità della situazione, perché gli stessi saldi potevano essere realizzati facendo scelte diverse, che mettessero le mani in altre tasche, che facessero pagare di più chi fino ad oggi aveva pagato meno o per niente.
Vale per tutti l’esempio delle frequenze televisive. Impossibile da spiegare e giustificare un così sfacciato regalo a chi, peraltro, è il principale responsabile della situazione in cui siamo, mentre continua l’accanimento verso pensionati e pensionandi. Lo abbiamo detto per tutte queste settimane e se si è aperto uno spiraglio non è perché era evidente che fosse cosa di puro buon senso, né di destra, né di sinistra, ma solo perché le dinamiche del rapporto tra PDL e Lega hanno fatto si che questo spiraglio si aprisse, a conferma che non esistono governi tecnici e non possono esistere, dal momento che la fonte di legittimazione del loro agire è sempre la volontà parlamentare.
In ogni caso, la manovra passerà e noi continueremo nel combattere gli aspetti negativi, ragion per cui, Cgil-Cisl-Uil hanno confermato il programma delle mobilitazioni, che prevedono presidi ed altre iniziative.
Qui vogliamo concentrarci prevalentemente su alcune conseguenze che la manovra avrà nei nostri settori.
Quella più eclatante riguarda il provvedimento sulle liberalizzazioni, che dà il via libera alle aperture totali, sia in materia di orario, che di siti distributivi.
La misura appare ancor più vessatoria per il settore, perché è sostanzialmente l’unica sopravvissuta del pacchetto delle liberalizzazioni, letteralmente demolito dall’azione delle lobbie ed è quella più lontana come efficacia, dagli obiettivi che la manovra si è prefissata. Per questo essa si presenta come un vero e proprio regalo alla lobbie della Grande Distribuzione Organizzata, che hanno usato la manovra come vero e proprio cavallo di troia.
Significativo, a questo proposito, appare il comunicato di Confcommercio, apparso nei principali quotidiani nazionali ieri, su pagine intere a pagamento, con il quale l’associazione dei commercianti, pur con toni educati, spara a zero sulla misura, denunciandone i pericoli, oltreché l’inutilità e la sua distanza da quanto avviene in Europa.
Potrebbe parlare quel comunicato al posto nostro, per dimostrare che la nostra non è né posizione ideologica, né pretestuosa.
Mettere in relazione l’andamento dei consumi con la liberalizzazione degli orari è operazione puramente mistificatoria, soprattutto in una fase di crisi profonda degli stessi consumi. Non è il servizio distributivo che manca, tanto più dopo i tanti interventi operati dai comuni e dalle regioni, che hanno allargato in questi ultimi anni la regolamentazione, verso nuove aperture, domenicali e festive.
Si tratta di un provvedimento che non avrà alcun effetto concreto sulla dinamica dei consumi, tanto più a fronte di una manovra che toglie con l’altra mano quote significative di reddito tanto alle famiglie, quanto ai singoli consumatori.
Qui sta il paradosso più grande: da un lato il governo aumenta le tasse e l’Iva, riducendo inevitabilmente la propensione al consumo, per non parlare degli effetti che la mancata crescita avrà sull’occupazione, dunque, sulla produzione del reddito complessivo; dall’altro, consente le aperture totali, non si capisce bene per fare che cosa. Chi andrà a comprare? Con quali nuove disponibilità?
Siamo ancora di fronte alle teorie strampalate, che hanno caldeggiato in questi anni la liberalizzazione. La più strampalata in assoluto è che questo provvedimento creerà nuova occupazione. Ma dove? Quale? E’ la stessa Confcommercio a confermare che quel provvedimento rappresenta un costo per le imprese, che non potrà essere compensato con l’aumento dei prezzi. L’unica possibilità, dunque, è ricorrere al solito armamentario della flessibilità estrema. Probabilmente, cominceremo a vedere qualche part-time a 8 ore, che l’ultimo Ccnl separato TDS si è inventato.
La verità è che la liberalizzazione rischia di distruggere vera occupazione, quella impiegata nella piccola e media distribuzione, che non reggerà l’urto della liberalizzazione.
Ovviamente, a pagare per tutti saranno i dipendenti, uomini e donne, donne soprattutto, che subiranno un ennesimo colpo alle già difficili condizioni di vita e di lavoro. Sappiamo bene e lo abbiamo detto per l’intera campagna che abbiamo condotto la scorsa primavera, che liberalizzazione e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro non sono compatibili. Su questo non possiamo che ribadire con ancora più forza quanto già affermato nel corso di tutte le nostre iniziative.
Adesso ci troviamo di fronte ad un provvedimento che difficilmente potrà tornare indietro. Proveremo in questa ultima settimana a mobilitare tutti i livelli possibili per chiedere di correggere il decreto, che rischia di vanificare e annullare tutti gli sforzi fatti sul territorio per negoziare e concertare con comuni e associazioni datoriali i calendari delle aperture.
Si tratta di un colpo grave al ruolo delle parti sociali e all’autonomia di regioni e comuni.
La prima verifica dovremo farla proprio con le Regioni, la cui titolarità viene messa in discussione, titolarità che si era esercitata fino ad oggi con l’elaborazione delle leggi regionali sul commercio, attraverso le quali abbiamo tentato con alterne fortune di reintrodurre una logica programmatoria in materia.
In secondo luogo, dovremo estendere tale verifica con l’Anci, con la quale lo scorso 29 aprile era stata raggiunta un’intesa con Cgil-Cisl-Uil, che salvaguardava le principali festività civili e religiose e rilanciava il ruolo della concertazione territoriale.
In terzo luogo, si tratta di verificare la possibilità di condividere con Confcommercio, Confesercenti e Lega Coop.ve una posizione comune, un avviso comune, che ci consenta di riaprire in qualche modo la questione.
Di questo abbiamo già interessato la segreteria nazionale della Cgil, affinché potesse verificare le disponibilità di Cisl e Uil a condurre insieme questa iniziativa.
Ci auguriamo che ciò sia possibile. In ogni caso, la Filcams non può dare per chiusa la partita. Significherebbe annullare di colpo uno degli aspetti più significativi della nostra piattaforma politica, che intreccia tanto la contrattazione, quanto le prospettive di sviluppo del settore.
Infatti, il provvedimento sugli orari va letto assieme a quello che liberalizza l’apertura di nuovi siti commerciali, scelta forse ancora più grave, perché si tratta di un vero e proprio colpo alla programmazione del settore, consegnato per questa via mani e piedi allo sviluppo scellerato dei grandi formati distributivi. Verrà così ad essere sconvolto il già precario equilibrio tra GDO e commercio di vicinato, con ulteriori conseguenze negative sulla sostenibilità sociale ed ambientale delle nostre città e delle nostre periferie.
Una scelta, lo ripetiamo per l’ennesima volta, che non ha riscontri in Europa, dove ta tempo si è innestata la retromarcia.
Auspichiamo che Cisl e Uil, così come Fisascat e Uiltucs condividano la necessità di lanciare una forte iniziativa sul tema, che sensibilizzi la politica e l’opinione pubblica. Se questo, però, non fosse possibile, è compito della Filcams assumere questo impegno, lanciando la seconda fase della campagna nazionale La Festa non si vende, perché al momento in cui i comuni inizieranno ad allineare le loro situazioni con quanto previsto dalla manovra, noi non potremo stare zitti. Anzi, dobbiamo da subito farci sentire, impegnando il gruppo dirigente nazionale a predisporre già per i prossimi giorni tutto il materiale possibile per spiegare bene ai cittadini-consumatori di cosa stiamo parlando.
Non sarà facile. Se questo provvedimento è potuto sopravvivere alla falcidia delle liberalizzazioni è anche perché interpreta un pensiero purtroppo dominante nel paese. E questo investe anche la politica, i partiti di sinistra. E’ impressionante il silenzio assordante che vi è stato sull’argomento. Nessuno ne ha parlato, tanto il PD, che è in parlamento, quanto gli altri partiti della sinistra che al momento sono fuori. E’ impressionante che le prime istituzioni che hanno preso posizione, regioni e comuni, sono quelle di centro-sinistra.
Il problema non sta solo nella cultura politica e sindacale dominante, che continua a leggere il mondo del lavoro nella direzione tradizionale. Sul tema specifico la nostra convinzione è che siamo culturalmente in minoranza ed è questo gap culturale che dobbiamo continuare a rimontare.
Il periodo che va da Natale a Befana è una prima occasione per diffondere la nostra posizione nei punti di vendita ed in questo senso proveremo nelle prossime ore a predisporre il materiale necessario.
Del provvedimento sulle liberalizzazioni vi sono poi due questioni che toccano il nostro settore, le farmacie e le libere professioni.
Nel primo caso abbiamo già espresso il nostro punto di vista con la nota inviata al momento della presentazione della manovra. Come al solito, e lo abbiamo denunciato in quella circostanza, ci si appella all’urgenza per tenere ancora scissa l’esigenza di una riforma della rete della distribuzione farmaceutica. Paradossalmente, ci siamo trovati in compagnia di chi ha fatto affossare quel provvedimento, ma le nostre perplessità sul decreto del Governo erano e sono relative alle mancate risposte su alcuni nodi strategici. Da tempo abbiamo segnalato come Filcams, sia al Governo che alle controparti, la necessità di un ridisegno normativo organico e complessivo della materia, che offrisse ampie garanzie di salvaguardia del ruolo sociale del presidio sanitario rappresentato dalla farmacia e quello della tutela professionale degli operatori.
Nulla di tutto questo è contenuto nella manovra, ispirata, anche in questo caso, a fare cassa, sotto forma di risparmio di spesa per le famiglie. Obiettivo nobile, ma non scindibile dal tema da noi segnalato.
L’altro aspetto riguarda l’abolizione degli ordini professionali, naufragato di fronte alla potente lobbie che li rappresenta.
Noi rappresentiamo la parte più debole del mondo delle professioni, quella che stenta a costruirsi una prospettiva professionale stabile e qualificata. La nostra iniziativa si è sviluppata nella duplice direzione di dare a queste persone, prevalentemente giovani, una maggiore copertura contrattuale (e con l’ultimo Ccnl abbiamo fatto nuovi passi in avanti) e di sostenere assieme alla Cgil ed ali partiti di sinistra un progetto di riforma degli ordini. Anche su questo dovremo dare continuità al nostro lavoro, ricordando che la politica dei due tempi, alla quale fa riferimento il governo, non è accettabile oggi, perché siamo di fronte ad un esecutivo tecnico, tanto più che le scelte compiute sono tutt’altro che tecniche.
Su tutti questi temi, la Filcams deve caratterizzare l’iniziativa e la mobilitazione sindacale dei prossimi giorni, con tutti i mezzi e le forme possibili.
Sono temi mediamente assenti nei commenti e se non li recuperiamo noi, non li recupera nessuno. Credo che sulle conseguenze delle liberalizzazioni nel settore, a partire dal commercio, dobbiamo prevedere di mettere in agenda una iniziativa che inauguri il nuovo anno e rilanci, come già detto, la campagna che abbiamo concluso la scorsa primavera.
Purtroppo, non è l’unico punto negativo della manovra con il quale siamo chiamati a dover fare i conti.
L’altro grave aspetto che ci riguarda è quanto contenuto in materia di appalti. La scelta di contemplare il costo del lavoro tra i fattori utili a determinare i ribassi di asta rappresenta una vera e propria istigazione a deregolamentare il settore degli appalti. Qui veramente sembra che chi ha pensato il provvedimento o non capisca nulla di appalti, oppure, sia stato ispirato dalla furia de-regolativa, contro la quale da anni ci battiamo. Quella che cerca di non applicare i Ccnl, quella che risparmia sul costo del lavoro e sulla sicurezza, quella che fa del settore degli appalti il luogo della irregolarità e della illegalità, per buona parte ostaggio della penetrazione malavitosa.
Anche qui c’è poco da aggiungere, se non che per la Filcams si tratta di riprendere il lavoro avviato già da un po’ di tempo, che si è proposto quale momento di confronto fra le categorie della Cgil e con la Confederazione e che deve assumere quali obiettivi, sia il tema delle regole, trasparenza, legalità, diritti, sia quello dello sviluppo, perché dentro la fase di recessione, quale quella prevista anche per il 2012, questo settore sarà uno di quelli che più rischia di subire una forte contrazione occupazionale.
Per concludere le considerazioni sulla manovra che riguardano più direttamente la categoria, non possiamo non rivolgere la nostra attenzione sui temi che riguardano il mercato del lavoro. Il Ministro del Lavoro ha annunciato che questa sarà la prossima tappa, che bisogna combattere la precarietà e che l’art.18 non può più essere un tabù. Se il buongiorno si vede dal mattino, ci pare vada a delinearsi una nuova rotta di collisione con il Governo.
Cosa c’entra la lotta alla precarietà con l’articolo 18?! Occorre che una categoria come la nostra svolga un ruolo determinante nel descrivere il senso di un vero e necessario intervento sul mercato del lavoro.
La nostra equazione è la seguente: l’intervento sulle pensioni a reso definitivo ed universale il meccanismo contributivo, ciò significa che la pensione i giovani devono costruirsela versando i contributi.
Qual è l’unico modo per versare i contributi? Ovviamente, lavorare! Ma per avere una pensione dignitosa quanti contributi occorre versare? Sicuramente non quelli che derivano da un impiego precario o a part-time, dato che il gettito contributivo si collocherebbe ad una discreta distanza dall’imponibile richiesto per una pensione dignitosa.
Nel mondo del terziario, dunque, il problema del mercato del lavoro è quello di fornire ulteriore flessibilità in uscita, oppure rendere più stabile il lavoro e renderlo stabile a tempo pieno, per disporre della necessaria base contributiva?
Se lo è in generale, nel mondo del terziario porre il tema dell’art.18 in relazione alla lotta contro la precarietà è totalmente destituito di ogni fondamento.
Il terziario necessità di maggiori tutele dentro la crisi, quindi, l’estensione degli ammortizzatori sociali e della semplificazione delle tipologie contrattuali in funzione di una maggiore stabilità.
Il Paese ha bisogno di maggiore coesione sociale, ha bisogno di unire le risorse non dividerle e riproporre in questa situazione del Paese il terreno di un conflitto così aspro, come quello che si scatenerebbe sulla vicenda dei licenziamenti, sarebbe da irresponsabili e, vogliamo aggiungere, molto poco tecnico come motivazione.
Per questo dobbiamo giocare d’anticipo e chiarire fin da subito che il problema del mercato del lavoro italiano non è come uscire, ma come entrarvi e come rimanervi, questo va detto con forza e va detto subito.
3. I tavoli contrattuali aperti
Cooperazione
Il negoziato per il rinnovo del Ccnl Coop giunge con questa settimana ad uno snodo decisivo.
Come ho già avuto modo di dire nella riunione del coordinamento di venerdì, si è trattato di una trattativa assolutamente anomala, almeno da un certo punto in poi, fuori dagli schemi tradizionali, che ci ha creato molte difficoltà, soprattutto nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori. Di questo tutto il gruppo dirigente ne è consapevole, assumendosi in prima persona la responsabilità di una scelta condivisa con le strutture e lo stesso coordinamento, quando la trattativa era giunta ad un passo dal patatrac.
Vorrei riassumere schematicamente la dinamica che ci ha visti impegnati a quel tavolo, giunti al limite della rottura.
La Cooperazione, che aveva impostato il negoziato con l’obiettivo di recuperare margini significativi nella differenza di costi con il contratto del terziario, aveva posto la pregiudiziale di allineare il Ccnl della Cooperazione almeno ad alcuni dei fattori di ulteriore squilibrio che l’accordo separato aveva aggiunto alle differenze già esistenti.
Per questo chiedeva di poter definire un’intesa sull’orario, sulla malattia, sulle deroghe, oltre ad un’altra serie di questioni.
Con questa impostazione, la trattativa non poteva che imboccare un vicolo cieco, poiché era impossibile per noi accogliere le richieste della Cooperazione, che avevamo già respinto al tavolo di Confcommercio.
A sostegno della nostra posizione abbiamo proclamato uno sciopero generale pienamente riuscito, che ci ha dato forza nel sostenere la coerenza di quella nostra impostazione.
Di fronte al rischio di una grave rottura del tavolo, o di un accordo separato o peggio ancora di una scelta della Cooperazione di confluenza nel Ccnl TDS, abbiamo condiviso con la Cgil la scelta di fermare le macchine, per verificare i margini di un riposizionamento del negoziato. Con la Cgil abbiamo chiarito che non è l’ipotesi della confluenza nel TDS che ci preoccupa, dato che questo sbocco rientrerebbe nella logica di una razionalizzazione dei contratti, quanto il contesto non certo favorevole per guardare a questa prospettiva, quello dell’accordo separato del TDS. Di tutti i momenti per affrontare il problema, abbiamo condiviso che non era questo quello più adatto.
Per questo abbiamo avviato un confronto serrato nelle sedi politiche, con la Lega e con la Cgil, per verificare l’esistenza della pre-condizione, ossia, la volontà della Coop di non sottoscrivere accordi senza la Filcams-Cgil.
Abbiamo al tempo stesso chiarito che non avremmo mai potuto concedere alla Cooperazione parti del Ccnl TDS che non abbiamo sottoscritto, in particolare, in materia di malattia e doppi regimi.
Di fatto, abbiamo determinato una sospensione del negoziato ufficiale, accettando di lavorare su un terreno molto più informale, ma molto più produttivo ai fini della ricerca delle possibili soluzioni.
Dopo quattro mesi di lavoro, siamo nella condizione di poter dire che gran parte delle condizioni per imboccare la strada della sottoscrizione di un accordo sono state individuate, non senza qualche sofferenza, ma con sufficiente coerenza con le nostre posizioni.
Abbiamo spazzato via dal tavolo il tema della malattia, concedendo solo una disponibilità al secondo livello di affrontare il tema della morbilità, sulla base di una verifica attenta dell’organizzazione del lavoro e delle condizioni di lavoro. La stessa posizione che avevamo portato al tavolo Confcommercio e che non fu sostenuta adeguatamente da tutte le organizzazioni sindacali.
Sulle deroghe, abbiamo dovuto necessariamente sintonizzarci con la novità dell’accordo del 28 giugno, cogliendo l’occasione per porre al tavolo un tema importante, quello delle regole. Infatti, la nostra posizione è che al secondo livello il processo derogatorio deve fondarsi sulla definizione di regole con le quali gestire la contrattazione di secondo livello, onde evitare la possibilità di sottoscrivere accordi separati. Inoltre, diversamente dall’accordo del 28 giugno, abbiamo affermato la temporaneità del processo derogatorio.
Lo scoglio più grosso riguarda l’orario di lavoro, sul quale la Cooperazione ha preteso fin dall’inizio del negoziato una modifica strutturale, che portasse l’orario settimanale a 40 ore per i nuovi assunti e definire per questa via il nuovo, futuro Ccnl della Cooperazione.
Quando abbiamo capito che il Ccnl sarebbe passato per una mediazione su questo punto, abbiamo cominciato a ragionare sul possibile compromesso, che mantenesse una significativa coerenza con le nostre posizioni di partenza.
L’ipotesi alla quale stiamo lavorando e che abbiamo discusso venerdì nel coordinamento, ci fa dire che il compromesso è sostenibile, poiché può consentirci di rilanciare su aspetti importanti della nostra stessa piattaforma.
La prima questione resta la nostra contrarietà a qualunque intervento di natura strutturale. Per questo abbiamo respinto ogni ipotesi di modifica strutturale dell’art.92 sull’orario e abbiamo proposto alla Cooperazione di condividere una sperimentazione sulle 40 ore per i nuovi assunti, da effettuare nella vigenza di questo contratto, che avesse uno scambio esigibile in termini di consolidamento occupazionale. In definitiva, abbiamo proposto alla Cooperazione di restituire ai nuovi assunti, che nella sperimentazione godrebbero temporaneamente del trattamento sulla maturazione dei Rol simile a Confcommercio, un beneficio in termini di stabilizzazione occupazionale, da realizzare attraverso l’abbassamento delle percentuali previste dal Ccnl per i contratti flessibili.
Stiamo cercando di fare il nostro mestiere, stiamo cercando di fare il Ccnl, stando dentro una situazione molto complessa, cercando un compromesso sostenibile, che non ci metta in contraddizione con le nostre posizioni.
Auspichiamo nei prossimi giorni di poter raggiungere un’intesa sui punti più dirimenti, per rendere possibile dopo le feste natalizie la conclusione del negoziato.
Non vi è dubbio che questo Ccnl segna uno spartiacque tra la storia contrattuale che abbiamo vissuto in coop fino ad oggi e quello che ci aspetta per il futuro. Nella crisi che stiamo vivendo e che pare non ci abbandonerà troppo facilmente, il problema è capire se e come potrà vivere la istintività della cooperazione, nel momento in cui essa è sempre più chiamata a misurarsi con le sfide competitive di un mercato distributivo, sempre più monopolizzato dalle grandi catene distributive. E’ ovvio che tanto più la Coop.ne assumerà come riferimento la GDO, quanto meno sopravvivranno i margini per una esperienza come quella conosciuta fino ad oggi.
Il nostro tentativo di salvare il contratto coop è legato a questa scelta, provare a dimostrare che una risposta diversa dalla GDO può esistere, ma è chiaro che non può essere ricercata solo sul terreno contrattuale, perché presuppone politiche aziendali e strategie di sviluppo realmente innovative, a partire dalla valorizzazione del fattore lavoro. E perseverare su modelli organizzativi fondati sulla dilatazione continua dei regimi di flessibilità non è più compatibile con i processi di ristrutturazione degli assetti sociali e previdenziali che si vanno perseguendo nel Paese.
Per questo, appena conclusa la vicenda contrattuale, dovremo riprendere l’iniziativa sul ruolo della cooperazione, riproponendo la sfida già lanciata a Firenze due anni fa con La Coop seni ancora tu?
Vigilanza privata
Sul CCNL Vigilanza privata come avete appreso dalle note ricevute in questi giorni, non vi è nulla di nuovo rispetto alle notizie già negative del precedente C.D. I prossimi incontri si svolgeranno nel mese di gennaio, per cui è di fatto confermato che una tornata contrattuale è saltata.
Qualora, anche in quegli incontri, non si verificasse una svolta, il gruppo dirigente nazionale sarà chiamato a fare una valutazione per assumere iniziative di carattere straordinario.
4. L’iniziativa dei prossimi giorni
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vPresidio unitario il 24 dicembre
vSciopero del Pubblico Impiego 19 dicembre (oggi)
vRapporti con Cisl e Uil (Fisascat e Uiltucs)
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La campagna per le elezioni delle Rsa e Rsu
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Uni Comerce – Uni Europe
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Legalità
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vAmbiente
Vertice di Cancun – 2012 scadenza protocollo di Kyoto
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vSicurezza
Assemblea nazionale Filcams Rls-Rlst
Amianto – Casalmonferrato
5. Campagna Tesseramento 2012
Materiale per la comunicazione
Il dipartimento organizzazione