7 maggio 2014

XVII Congresso Cgil, l’intervento di Franco Martini

“C’è una parte del mondo da noi rappresentato che non accetta per niente di gettare questo congresso alle ortiche delle nostre guerre intestine ed autoreferenziali. E’ una parte di mondo che pensa anch’essa che il sindacato e la Cgil debbano cambiare”. È quanto ha affermato nel suo intervento a Rimini, Franco Martini segretario generale della Filcams Cgil.

“La Cgil cambierà” prosegue, “deve cambiare, ma come? Per diventare che cosa? Basta con le parole vuote di contenuto, che non ci aiutano ad uscire dalle sabbie mobili nelle quali rischiamo sempre più di impantanarci!”

Parola chiave, confederalità, perché l’operaio metalmeccanico ed il dipendente della pubblica amministrazione e la cassiera dell’ipermercato e la donna delle pulizie dovranno imparare a parlarsi fra loro per condividere un progetto comune di valorizzazione del lavoro.

“Anche io sono convinto che esisteremo oltre Renzi ed ogni altro Presidente del Consiglio, ma noi chi? La CGIL quale? Il sindacato quale? Il sindacato” conclude Martini “che sotto lo stesso tetto sa praticare l'uguaglianza fra diversi, quale valore fondativo della Confederalità.”

XVII Congresso Cgil, l’ Intervento di Franco Martini – L’intervento integrale

“C’è una parte del mondo da noi rappresentato che non accetta per niente di gettare questo congresso alle ortiche delle nostre guerre intestine ed autoreferenziali.

E’ una parte di mondo che pensa anch’essa che il sindacato e la Cgil debbano cambiare, senza cercare nel consenso bulgaro al documento di maggioranza gli alibi per dire che tutto va bene; che anch’essa ha a cuore la democrazia e soffre di poca partecipazione; che non si sottrae alla sfida della necessaria innovazione politica ed organizzativa. Ma, soprattutto, non è disposta a sacrificare la Cgil, considerata –nonostante tutto- una delle poche fonti di speranza.

Se sapremo e vorremo leggere con attenzione ed intelligenza tutto ciò che ci ha detto questa parte di mondo, troveremo molte ragioni per rendere possibile l’incontro fra le grandi aspettative in esso presenti e una nostra rinnovata funzione nella società.

Naturalmente, a tutti noi è richiesta la volontà e la capacità di leggere questi messaggi con lenti non oscurate, perché le lenti oscurate si adottano quando dobbiamo osservare un’eclisse e noi non siamo di fronte all’eclisse della Cgil, né del sindacato.

Con il congresso della Filcams ci siamo concessi un piccolo peccato di presunzione, quello di offrire a tutta la Cgil un nuovo paio di occhiali per leggere la realtà. E quella che si offre alla nostra vista non è affatto una realtà deformata, forse, si, inedita, incomprensibile alle visioni paradigmatiche che hanno portato il sindacato ai giorni nostri. E’ la realtà di un mondo che non ha certo scritto la storia passata di questo sindacato, se non in piccola parte, ma sicuramente è quella (parte di mondo) destinata a scrivere molto della nostra storia futura, se decidiamo di volere un futuro.

Una delle espressioni che più recentemente ha voluto descrivere l’esaurimento della nostra funzione è quella di Matteo Renzi, quando sostiene che non è vero che lui non vuole parlare col sindacato, è che lui vuole parlare col sindacato che ancora non c’è! Il fatto è che quando ci spiega chi sono coloro che dovrebbero sentirsi rappresentati da questo sindacato, ci accorgiamo che non solo noi li abbiamo in casa, ma già da qualche anno sono diventati anche la maggioranza dei nostri iscritti attivi, sono qui, tanti, insieme a noi!

La domanda allora è semplice: ma è solo Renzi che non vuole vederli? Oppure c’è dell’altro che ci riguarda? Forse siamo anche noi un po’ strabici? La domanda diventa ancora più semplice: com’è possibile che, pur vivendo tutti sotto lo stesso tetto, non ce ne accorgiamo?!

Per questo a conclusione del Congresso è forse arrivato il momento di guardarci negli occhi e usare parole molto sincere, soprattutto a fronte della valanga di luoghi comuni, rovesciati sull’impegno delle centinaia e migliaia di nostri quadri. Questa parte della Cgil, che ha fatto fino all’impossibile per portare il messaggio del nostro congresso nei luoghi più impensati, raggiungendo luoghi di lavoro con pochissimi dipendenti, meritando umile rispetto da parte di tutti noi, non è più disposta a vivere in seconda fila, nell’oscurità ed in silenzio. Soprattutto, non è più disposta a cedere il copyright della Cgil ad altri, perché qui dentro siamo tutti uguali e dobbiamo esserlo in tutte le diversità che esprimiamo.

Da qui deve partire il vero cambiamento della Cgil. La Cgil cambierà, deve cambiare, ma come? Per diventare che cosa? Basta con le parole vuote di contenuto, che non ci aiutano ad uscire dalle sabbie mobili nelle quali rischiamo sempre più di impantanarci!

Per fare un esempio, nel pieno delle polemiche che hanno accompagnato questo Congresso, quando qualcuno ha paventato il rischio della scissione, si è detto, per fortuna e giustamente: “noi non ce ne andiamo, NOI siamo la Cgil!” Ma il vero problema, oggi, non è più stabilire CHI è la Cgil, ma cos’è la Cgil, cosa significhi oggi essere una Confederazione e se abbia ancora un senso! Il problema non è più stabilire chi sono gli azionisti di riferimento, ma cogliere lo spessore della crisi della confederalità che questo conflitto interno rischia di manifestare.

Così abbiamo dovuto subire la rappresentazione caricaturale di un conflitto interno, che sembrava riguardare il fatto che Camusso e Landini non si parlano, quando il vero problema è quello dell’operaio metalmeccanico e della commessa dell’ipermercato che non si parlano e forse neanche si conoscono, oppure, quello della donna delle pulizie in appalto ed il dipendente della pubblica amministrazione che si trovano a combattere due battaglie opposte! Ma è mai possibile che ci sciacquamo in continuazione la boccl'accordoon la contrattazione di sito e le categorie non sono in grado di gestire insieme una vertenza che riguarda l'appalto della mensa in un impianto industriale, oppure, le pulizie degli uffici in una scuola o in un Ministero?!

E se l’operaio metalmeccanico ed il dipendente della pubblica amministrazione e la cassiera dell’ipermercato e la donna delle pulizie non impareranno a parlarsi fra loro e condividere un progetto comune di valorizzazione del lavoro, non servirà a niente decidere come eleggere il nostro segretario generale, perché il tema della partecipazione e della democrazia è ben altro e molto più consistente.

L’esempio più clamoroso della crisi crescente della nostra confederalità è venuto proprio da come la nostra organizzazione si è posta di fronte all’accordo del 10 gennaio. Ne abbiamo discusso durante il congresso e le assemblee di valutazione dell’accordo, arrivando a coinvolgere solo una piccola parte degli oltre sei milioni di donne e uomini che formano il popolo del terziario rappresentato dalla Filcams. Oltre sei milioni di lavoratrici e lavoratori, gran parte dei quali che vivono di precarietà quotidiana e senza grandi orizzonti, ma soprattutto nella quasi totale condizione di discrezionalità dei diritti sul lavoro. Ma sapete qual è stata la domanda che in modo martellante ci veniva rivolta, mentre assistevano al delirio delle nostre polemiche? “Ma come fa un dirigente della Cgil a non capire che per quanti difetti possa avere quell’accordo, spalanca cancelli e portoni enormi alla democrazia dei nostri mondi dei lavori? Come fa a non capire che quell’accordo consente di cominciare a scrivere delle regole in un mondo del lavoro che fino ad oggi non ha mai conosciuto e non conosce cosa sono le regole della contrattazione e della rappresentanza?” Tant’è che siamo riusciti a portare sul rettilineo di arrivo il confronto con Confcommercio sulla rappresentanza, sperando di poterlo concludere subito dopo il congresso.

E la risposta è una sola: perché la Cgil rischia di diventare sempre più una organizzazione dove ognuno non sa più guardare l’erba del vicino, dove non si sente più coinvolto. Ma se quello che succede a te non è cosa che mi riguarda dov’è e qual’è il valore della Confederalità?! Se nel mio vicino di casa trovo indifferenza ed ogni tanto ostilità cosa me ne faccio del cambiamento estetico delle nostre modalità di convivenza. Conta la forma, ma soprattutto la sostanza! Sapete quale sarà il problema più grande che avrà la Filcams (con Cisl e Uil) una volta firmato l’accordo sulla rappresentanza, che finalmente darà il diritto di voto, anche per gli accordi di secondo livello (a dimostrazione che gli accordi possono anche essere migliorati?!). Che in tante situazioni, in alcuni settori non sapremo come farli votare!! 7-800 mila dipendenti degli appalti; oltre 1 milione negli studi professionali; più di 1,5 milioni nel lavoro domestico, per non parlare dell’80% degli addetti al commercio e al turismo. Come riusciremo a portare la democrazia sostanziale in questi mondi, una volta conquistata quella formale. In questi mondi la discussione sulla Rsu perfetta è linguaggio incomprensibile, perché spesso è grasso che cola se abbiamo le rsa!!

Ma il fatto che in questi mondi oggi non esistano regole e che una volta scritte dovremo inventarci un modo di essere e fare sindacato per poterle agire, farle vivere è un problema solo nostro o di tutta la Cgil? Oppure, qualcuno, qui dentro, pensa che questi mondi non abbiano diritto ad avere un sindacato e quello che oggi hanno, in realtà non è un vero e proprio sindacato?!

E se non vogliamo stare altri quattro anni a discutere di chi è la colpa, o di chi ha cominciato per primo dobbiamo sapere che il nostro problema non si risolve solo dandoci delle regole, perché il vero cambiamento di cui abbiamo bisogno è quello che deve avvenire nella nostra testa, è la nostra cultura sindacale che deve evolversi. La crisi della confederalità è innanzitutto una crisi di cultura sindacale.

E questo riguarda anche le proposte che noi facciamo per uscire dall’emergenza, quelle per la crescita, senza le quali questa parte di mondo sarà condannata a restare anche senza un futuro della contrattazione. Qui, il decreto sui contratti a termine non gli fa neanche il solletico, non gli basta! (Contratti di inserimento e 40 ore).

Per questo è importante aver rilanciato l’asse strategico dell’economia della cultura, della valorizzazione del vero patrimonio che segna la differenza tra il nostro Paese e tutti gli altri. Ed anche qui, dobbiamo essere chiari, non c’è nessuno che pensa che possa esistere un terziario avanzato senza una robusta industria manifatturiera. Ma il nostro essere confederali ci porta a dire ai compagni di Piombino: la Filcams è con voi, perché l’Italia ha bisogno di produrre le rotaie dei treni, mad io dovete essere con noi perché su quelle rotaie dobbiamo, insieme, sempre più far correre l’investimento infrastrutturale per la valorizzazione dei più grandi giacimenti di ricchezza naturale e culturale di cui dispone l’Italia! La Germania, nel pieno della crisi ha triplicato l’investimento culturale e ha contribuito con ciò ad una significativa crescita del PIL. La valorizzazione di un bene culturale può valere un minor taglio dei servizi in appalto o della sanità, oppure, una rivalutazione delle pensioni.

Questa non è poesia, come non è moralismo dire che dietro i luccicanti centri commerciali aperti la domenica e le feste comandate, c’è sempre una lavoratrice ed un lavoratore al quale l’assenza di una battaglia, anche qui culturale, per ridefinire una nuova politica dei consumi orientata alla sostenibilità, si tradurrà sempre più nel peggioramento delle condizioni di lavoro, soprattutto per le centinaia di migliaia di donne che vi lavorano.

E se qualcuno si chiede con chi fare la nuova battaglia per le pensioni, noi la faremo proprio per e con quelle donne, che vivono di part time spesso obbligato e di carriere che soprattutto le maternità rendono "a singhiozzo" penalizzate dall’assenza di politiche di concertazione fra i tempi di vita e di lavoro, con il 30-35% di salari inferiori agli uomini a parità di mansioni, perché quelle donne sono contemporaneamente donne, mogli, madri, figlie in una società delle impari opportunità!

Essere confederali, nel nostro caso, significa molto essere dalla parte delle donne e a poco serve l’orgoglio per la prima donna segretario generale della Cgil se la nostra testa, anche nella cultura organizzativa della Cgil, deve continuare a pensare ed agire secondo vecchi modelli. Se anche in Cgil qualcuno pensa che una giovane compagna, che è anche mamma, non può fare la dirigente sindacale, perché non in grado di sostenere i ritmi e le modalità di lavoro decisi da noi maschi, anche quelle donne del terziario non potranno avere nella CGIL una grande prospettiva di emancipazione, perché li si è richiesta una grande battaglia di cambiamento del modello culturale del lavoro.

Per questo ha ragione Susanna nel dire che subito dopo il Congresso dovremo riprendere la discussione sulle politiche organizzative e che la formazione deve essere un vincolo. Appena usciti da questo congresso rimettiamo in campo un grande progetto di formazione, che sia luogo di ricerca, di progettazione e di sperimentazione della nuova confederalità, che ridefinisca la nozione di confederalita'.

Anche io sono convinto che esisteremo oltre Renzi ed ogni altro Presidente del Consiglio, ma noi chi? La CGIL quale? Il sindacato quale? Il sindacato che sotto lo stesso tetto sa praticare l'uguaglianza fra diversi, quale valore fondativo della Confederalita'.

Non è un appello al "vogliamoci bene", ma un appello a smettere intanto di farci del male possibilmente a partire da domani!