Cesare Salvi
    Intervista
    a cura di
    Aldo Varano
 
13.07.2002
"Voglio fare la mia battaglia politica nei Ds. Non significa organizzare una scissione"

ROMA
“Continua a circolare la voce che chi non è d’accordo con la maggioranza vuol fare la scissione. Se chi indica un’altra prospettiva sul futuro della sinistra, e su questo s’impegna, viene accusato di scissione, che bisogna fare? Rinunciare al proprio punto di vista? Quali sono le forme di convivenza di punti di vista diversi?”. Cesare Salvi, fondatore e leader di Socialismo 2000, la cui assemblea si svolgerà oggi, è netto nel respingere le voci di scissione tra i Ds le interpreta come un ostacolo al dibattito.
Mi sta dicendo che il tam-tam sulla scissione serve in realtà a bloccare la discussione?

“Costato che ogni volta che si apre una battaglia torna nei confronti della minoranza Ds, e in particolare di Cesare Salvi, l’accusa di scissione. Parlo in quanto Cesare Salvi e non voglio fare processi alle intenzioni. Ma ogni volta che c’è un’iniziativa politica si fa girare il discorso sulla scissione. Controlli gli archivi recenti del suo giornale: ogni mese Giovanni Berlinguer deve fare un’intervista per smentire di voler fare la scissione. Si possono discutere le questioni di fondo? o chi chiede di discuterle non ha titolo per farlo se non in quanto imputato di intenzione scissionista.

C’è un clima che impedisce una discussione serena tra i Ds?

Personalmente, assolutamente no. Ma non posso non segnalare questo dato. E’ del tutto evidente che in questo modo si crea la difficoltà a fare una discussione serena e approfondita”.

Leggo un passo di una sua intervista: “L’esigenza fondamentale che avverto in questa fase è un progetto politico ideale intorno al quale si aggreghi dentro e fuori i Ds chi la pensa in questo modo. Anche se poi chi fa politica deve anche organizzarsi. Ma per quello ci vuol tempo”. E’ l’annuncio che verrà un momento in cui il problema della scissione dei Ds diventerà attuale?

L’interpretazione autentica va in senso diametralmente opposto. Il problema della riorganizzazione della sinistra in Italia si pone tranne per chi pensa che vanno bene quattro partiti (Ds, Rifondazione, Pcdi, e Sdi) provenienti dalla stessa tradizione. Ma la premessa sono le idee, approfondire il dibattito e le prospettive strategiche.

Qual è per lei la malattia odierna di una sinistra divisa in quattro?

“Non avere ancora adeguatamente affrontato il vero problema che ha di fronte l’intera sinistra europea che dopo le sconfitte deve chiedersi quale strada seguire. Questo è il vero tema che rischia, invece, di essere nascosto da incomprensibili controversie o sui ticket di governo o sugli organigrammi dell’Ulivo ovvero da battute, insinuazioni, scontri personali. Mi pare giusto accogliere quanto scritto da Padellaro oggi (ieri, ndr) sul, chiamiamolo così, sfogo di D’Alema. Le diversità ci sono ma non riguardano il dubbio che, magari in malafede, D’Alema o Fassino vogliono aiutare Berlusconi o far fuori Cofferati. Il loro punto di vista, assolutamente legittimo, invece, esprime un’idea del futuro della sinistra italiana che ha piena cittadinanza nel dibattito del socialismo europeo, particolarmente Tony Blair. Io e altri quel punto di vista non lo condividiamo”.

Lei sostiene che la sinistra deve decidere come reagire al tipo di democrazia che Berlusconi vuole imporre e definire un giudizio su quel che sta accadendo. Le chiedo: schiacciarsi sulla Cgil non significa, anche rispetto a questo, ficcarsi in una difficoltà?
Il problema non è sottoscrivere o meno tutto quel che fa la Cgil. Se la questione di isolare e espungere dal sistema della rappresentanza sociale la Cgil fa parte di un attacco alla democrazia, va respinto. Esattamente come vanno respinti gli attacchi all’autonomia dalla magistratura anche se non si condivide tutto quel che sostiene l’Associazione nazionale magistrati.

Ma chi è tra i Ds che non ha sufficientemente respinto o capito queste cose restando tiepido di fronte all’attacco che, lei dice, è un attacco complessivo alla democrazia?

L’analisi della maggioranza del partito, non distinguo tra nomi e cognomi perché è comune a tutto il gruppo dirigente e alla segreteria, nasce da una valutazione legittima che io non condivido. La maggioranza ritiene che non sia quello che io ho tratteggiato il quadro, è convinta che Berlusconi sia debole e che quindi il modo migliore per sconfiggerlo sia quello di avere comportamenti saggi e moderati. E’ un punto di vista che ha una sua dignità. Lo considero sbagliato e mi riservo di contrastarlo politicamente senza certo accusare nessuno di tradimento ma pretendendo, al tempo stesso, di non essere accusato di volontà scissionista o di divisione.

Alle ultime amministrative il centrosinistra vince, si sostiene, anche coi voti di Cisl, Uil e, insomma, di un pezzo del moderatismo di centro. E’ vero?

Su quel voto la mia analisi è molto più articolata. Detto questo, non si tratta di criminalizzare né la Cisl, né la Uli né le altre organizzazioni che hanno firmato il cosiddetto patto. Bisogna spiegare che il contenuto dell’accordo è profondamente sbagliato e da contrastare. Non criminalizzare però non significa fare sconti anche perché le cose ci danno ragione: riparte l’attacco sulle pensioni, si torna al medico della mutua. Insomma, va fatta un’operazione di convincimento per dimostrare che anche quell’accordo fa parte del disegno di smantellamento dello Stato sociale.

Quale messaggio spera che venga fuori dal convegno di Socialismo 2000?

Che c’è una parte non secondaria del nostro partito e della sinistra italiana che intende continuare a battersi per le idee del socialismo e per una svolta politica e culturale dei Ds e che tutto questo non significa né scissione né divisione, né rottura ma costruzione di una più ampia unità a sinistra.