1- I funzionari di Cgil, Cisl e Uil
2- Come è cambiato il ruolo
IL MESTIERE DELLA RAPPRESENTANZA
1- I funzionari di Cgil, Cisl e Uil
    Professione sindacalista ai tempi dell’«articolo 18»
di Enzo Riboni

    Undici milioni e 300 mila «clienti» con tanto di carta fedeltà, quella che loro chiamano tessera d iscrizione. Senza contare qualche altro milione di lavoratori che, pur non pagando tessere, si avvantaggia dei miglioramenti contrattuali. Se fossero un azienda come quelle che trovano dall altra parte dei tavoli di trattativa, sarebbero uno dei più grandi gruppi del mondo, con un mix di prodotti difficilmente imitabile: vertenze collettive e individuali, accordi contrattuali, consulenze e servizi d ogni sorta, dalle pensioni, alla previdenza, alla sanità, al fisco, agli affitti. Prodotti, questi, che qualcuno giudica a volte obsoleti, non sempre all altezza di un mercato del lavoro in forte cambiamento, ma che pochi negano siano stati proposti sotto la guida di un ispirazione etica e solidaristica. I sindacati confederali, dopo i milioni di lavoratori in piazza dele ultime settimane e il ritorno, a vent anni dall ultima volta, della proclamazione di uno sciopero generale di otto ore il prossimo 16 aprile, proprio mentre sembravano accontentarsi quasi solo di un ruolo da agenzie di servizi, si ripropongono oggi in modo forte anche come soggetto politico. Ma quanti e chi sono le donne e gli uomini che, dentro Cgil, Cisl e Uil, lavorano a tempo pieno per quegli undici milioni e passa di clienti? «La Cgil conta circa 10 mila dipendenti - spiega il segretario nazionale responsabile dell organizzazione, Carlo Ghezzi - dei quali 5 mila sono quadri e dirigenti sindacali, in maggioranza contrattualisti, ma anche organizzatori, operatori del sociale e del territorio. Ci sono poi circa mille dipendenti dal patronato Inca, da sommare a tutti gli altri che lavorano negli enti confederali di ricerca e formazione e negli apparati tecnici, dai manutentori ai telefonisti». Senza contare gli stagionali che, per esempio, lavorano nei Caaf per la consulenza fiscale ai lavoratori. E a cui vanno aggiunte le centinaia di migliaia di attivisti che, all interno di fabbriche e uffici e nelle Rsu rappresentanze sindacali unitarie formano lo zoccolo duro del corpo di volontariato sindacale della Cgil. «Tra quei 5 mila sindacalisti che invece sono retribuiti - continua Ghezzi - meno di mille sono pagati dalle aziende da cui hanno un distacco retribuito, cioè da pubbliche amministrazioni e da ex servizi monopolistici, mentre tutti gli altri sono a libro paga del sindacato». Con un «range» retributivo che, grosso modo, fa riferimento al contratto dei metalmeccanici: da circa 900 euro netti al mese per un esordiente ai poco più di duemila euro di un segretario nazionale, compreso Sergio Cofferati. Savino Pezzotta e Luigi Angeletti, più o meno, guadagnano la stessa cifra, anche se, soprattutto nel caso della Cisl, i dati sul numero di dipendenti sono di difficile reperimento. «I nostri sindacalisti, senza distinzione tra chi è a libro paga e chi no - spiega Carmelo Barbagallo, segretario nazionale Uil responsabile dell organizzazione - sono circa 14 mila tra dirigenti, quadri e operatori. A cui vanno aggiunti altri 37 mila volontari impegnati nelle Rsu, Rsa e nei Gau, i gruppi aziendali Uil». In definitiva, contando anche i 5-6 mila a libro paga Cisl, tra «sindacalisti politici» e «di servizio» sono meno di 15 mila i dipendenti delle tre confederazioni. «Oggi, però - spiega Bruno Manghi - rispetto a qualche anno fa si è accentuata la differenziazione dei ruoli all interno del sindacato». Manghi, che è un esperto di problemi sindacali soprattutto per esperienza diretta, visto che è stato un dirigente Cisl, prima con Pierre Carniti a Milano e poi come responsabile della formazione in Puglia e Calabria, ha anche pubblicato un libro, «Interno sindacale» Edizioni Lavoro , che radiografa il mestiere del sindacalista. «Chi ha competenze sui servizi - spiega Manghi - nel passato era un ex sindacalista attivo riciclato sugli aspetti tecnici, oggi, invece, è sempre più un vero professional, spesso giovane, che sa tutto di pensioni piuttosto che di affitti e condomini o di difesa dei consumatori, ma che non ha mai fatto vertenze se non individuali. Sempre più distinti da questi professional, poi, ci sono i sindacalisti veri e propri, divisi a loro volta in due sottogruppi: quelli che si occupano dei lavoratori, cioè gli organizzatori e i negoziatori, e i sindacalisti che si occupano dei sindacalisti, cioè chi esercita la rappresentanza, va in tv, fa smisurate tournée oratorie, insomma, il battaglione dei dirigenti».
    La tipologia professionale di questi due gruppi di sindacalisti è molto diversa. I primi si basano su conoscenze delle relazioni umane e sullo studio delle leggi, dei contratti di categoria e del mondo delle imprese. Sono persone che hanno lavorato poco dentro un azienda e che hanno cominciato la carriera sindacale abbastanza presto, prima dei 35 anni. «Nei secondi, invece, i sindacalisti della rappresentanza - aggiunge Manghi - gioca il carisma e la leadership, perché hanno il compito di gestire il consenso. Una volta il sindacalista politico aveva un esperienza di organizzatore, ora molto meno, viene dalle federazioni e oggi è più difficile trovare un grande organizzatore».
IL MESTIERE DELLA RAPPRESENTANZA
2- Come è cambiato il ruolo
«Un esercito di manager ma senza perdere gli ideali»

M a poiché un grido udimmo e toccò il nostro cuore/per questo come pauperes christi seguimmo le voci/la sorte selvatica, le ali del vento». Altro che professione come un altra. Quella del sindacalista che descrive Alberto Bellocchio nell ultimo verso del suo poema sull autunno caldo del 69, «Sirena operaia» il Saggiatore , non è uno stanco e cieco lavoro da attivisti, ma una chiamata, un avventura impareggiabile, un canto irresistibile di solidarietà. Quanto di quella spinta ideale permane oggi nel mestiere di sindacalista? Cos è cambiato, in valori e professionalità, in chi, oggi, viene definito dai più con l asettico acronimo di Otp, operatore a tempo pieno? «Prima, il gusto del sindacalismo - sostiene Gian Primo Cella, professore di sociologia economica all università Statale di Milano e presidente della fondazione Seveso - veniva da due grandi tradizioni, quella socialista/comunista e quella cristiana degli oratori, dello scoutismo, dell Azione cattolica. Oggi invece, questi due serbatoi che alimentavano di passione, di senso di sacrificio, di missione e di cultura politica la professione del sindacalista, si sono esauriti. Sempre più, viceversa, viene richiesta una soglia di tecnicità, di sapere economico e legislativo, assai più spinta che nel passato. Tuttavia i sindacalisti dovrebbero mantenere anche il gusto dell organizzazione, soprattutto in alcuni settori di frontiera come quello dei lavori atipici, mentre oggi la figura dell’organizer è diventata una risorsa scarsa. Proprio quando dovrebbe essere la nuova soglia della professionalità sindacale».
Evidentemente, la carenza segnalata da Cella, è stata colta anche dal sindacato, visto che l Isf, l istituto superiore per la formazione della Cgil, ha realizzato un progetto di ricerca e formazione sulla competenza professionale del sindacalista. Ciò significa che sindacalisti si diventa, che più di prima è possibile una formazione teorica oltre che sul campo? «Certo esiste il Centro studi di Fiesole della Cisl e qualcosa c è nella Cgil - sostiene Giuliano Cazzola, ex sindacalista e ora spesso in polemica con le politiche confederali - ma si tratta di formazione molto generale, di taglio economico, mentre non si toccano le questioni prettamente sindacali, tipo contrattare un cottimo o una qualifica».
Cazzola, che prima di uscire, nel 93, era arrivato ai vertici, prima come segretario generale dei chimici Cgil con Sergio Cofferati che gli faceva da aggiunto e poi come segretario confederale, più del tema «sindacalisti si diventa» è in un certo senso adatto a far capire che «sindacalisti si rimane». Tuttora, infatti, nonostante qualche suo ex compagno l abbia tacciato di tradimento, ci tiene a far sapere di essere ancora iscritto alla Cgil da poco è uscito un suo libro con Sperling & Kupfer: «C eravamo tanto amati» . «C è una classe sindacale buona - aggiunge - che ha mestiere e sa gestire le persone. Inoltre oggi il sindacalista è una persona che ha un buon rapporto con il sistema delle imprese, anche se così corre il pericolo di usare questa contiguità come forma di potere rispetto al lavoratore che dovrebbe rappresentare».
Ma se quella di sindacalista è sempre più una professione vera, quali sono le competenze che acquisisce e quanto, queste, sono spendibili sul mercato? «Normalmente - commenta il sociologo Bruno Manghi - l ex sindacalista ha scarso successo in politica. Nelle aziende, invece, riesce a fare molto bene il capo del personale. E ciò perché è uno che non si spaventa delle grane, che è capace di gestire le difficoltà. Ha cioè proprio le doti professionali che dovrebbe avere un buon manager-amministratore. Comunque, perché cambiare? Resto convinto che il lavoro del sindacalista, che è un vero e proprio artigiano sociale, sia molto migliore di quello di qualunque quadro intermedio aziendale».
Anche perché, almeno a sentire il parere dei delegati al recente congresso della Cgil, la maggior parte degli attivisti riconosce ancora nel sindacato valori che difficilmente troverebbe altrove. Il 15,6 , infatti, ritiene che sia un organizzazione che «comunica valori e promuove identità» e il 46,9 è convinto che sappia tutelare «i diritti individuali e collettivi di tutti i lavoratori».