Ma chi l’ha detto che aprendo i negozi h24 festivi e domeniche comprese si salverà l’Italia? Le organizzazioni del commercio non ci stanno e il vertice di Confesercenti lancia l’allarme: l’impatto della crisi combinato con quello della liberalizzazione degli orari produrrebbe un’ecatombe di esercizi al dettaglio. Epromette battaglia: «la disciplina delle attività commerciali spetta alle Regioni e noi chiederemo ai presidenti di sollevare l’illegittimità del provvedimento». «Noi non siamo una lobby», dicono Marco Venturi (presidente) e Mauro Bussoni (vicedirettore), «il nostro settore è quello che più coraggiosamente si è aperto alle liberalizzazioni e, dalla metà degli anni Novanyta, «si è passati da una sostanziale rigidità a un modello molto elastico» Ma la crisi fa le sue vittime e nel commercio il massacro, del resto, è già iniziato, basta guardare il saldo fra imprese iscritte e imprese cessate nel biennio della crisi: sono 66.000 le piccole imprese che hanno abbassato definitivamente la saracinesca, Quasi il doppio di quelle che avevano chiuso nel biennio precedente. Euna indagine di Unioncamere-Indis sulle attività avviate nel 2007 rileva che il 40% delle nuove imprese ha già hiuso i battenti. Cosa aspettarsi quindi dalla ridotta capacità di spesa delle famiglie che ormai tagliano su tutto? Una volta si salvaguardava la qualità del cibo e si metteva da parte un gruzzoletto per qualche viaggio,maormai la busta paga se ne va con le bollette, il caro-benzina e la rata del gas da riscaldamento. Confesercenti si aspetta come effetto la chiusura di 50.000 negozi e la perdita di 125.000 posti di lavoro entro il 2015. E, diceMauroBussoni, vicedirettore per il commercio, «Non credo proprio che la liberalizzazione porterà ad un incremento della attività, vi sarà solo uno spostamento degli acquisti dal sabato alla domenica ma con un aggravio dei costi che per molti non sarà sopportabile ». Dunque è da aggiungere all’effetto crisi l’effetto liberalizzazione, altro calcolo, altra riduzione di posti lavoro: 27.000 esercizi non sarebbero in grado di andare avanti, si perderebbero 67.000 posti di lavoro.
«Una follia, noi siamo convinti che sia solo un favore fatto alla grande distribuzione», sostiene Marco Venturi, presidente nazionale di confesercenti. VIVIBILITÀ Unafollia, dice Bussoni, anche perché «il piccolo esercizio commerciale è un presidio della vivibilità dei quartieri, delle città piccole e medie. Non tutto è città d’arte e turismo, ci sono anche le periferie e i 5700 piccoli comuni dove vivono 10 milioni di persone che sarebbero svuotati di tipologie essenziali di negozi». Ma le doglianze del commercio non si fermano alla questione delle liberalizzazioni, perché «l’imponente manovra del governo Monti che segue altre pesanti manovre estive», secondo Confesercenti colpisce due volte i dettaglianti: perché colpisce i consumi con l’aumentodell’Iva e delle accise.E perché il piccolo commercio, spesso a gestione familiare, non riesce ad usufruire degli sgravi previsti per chi ha lavoro dipendente, non beneficia delle agevolazioni fiscali accordate per la crescita delle imprese mentre la categoria è penalizzata dagli aumenti contributivi introdotti per i lavoratori autonomi.