Deve intercettare i gusti, può cozzare contro vecchie abitudini, promette di cambiare il nostro stile di vita; insomma, la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è la classica riforma che si presta alle sperimentazioni. Invece, il governo l`ha trasformata in un atto di fede, scatenando un dibattito più ideologico che economico. Senza fornire alcun dato sulle ricadute prevedibili di questa nuova misura, il che, per un governo di economisti, è quantomeno sorprendente. La norma. Il decreto "salva Italia" del 6 dicembre 2011 (convertito in legge n. 214 del 22 dicembre 2011) prevede all`art. 31 comma 1 la possibilità di apertura degli esercizi commerciali senza alcun limite di orario. Ciò implica la facoltà di aprire sette giorni su sette e 24 ore su 24.11provvedimento è diventato
immediatamente operativo dal giorno della sua emanazione (6 dicembre 2011). La nuova disciplina investe tra l`altro 750.000 piccoli negozi, 170.000 ambulanti, 10.000 supermercati e 600 ipermercati. Il ruolo dell`Antitrust. Questa misura, come molte altre che potrebbero essere approvate per decreto e delle quali si sta discutendo in queste ore, è stata ispirata all`Antitrust, che nell`attuale fase di passaggio si sta ritagliando il ruolo di pensatoio neoliberista. Non paga della deregulation che è stata varata in dicembre, nella "segnalazione" del 5 gennaio l`Autorità garante della concorrenza e del mercato ha chiesto infatti a Monti di «abolire la possibilità di deroghe» e ciò malgrado l`esecutivo
si sia esposto già molto, con un`interpretazione estensiva delle proprie competenze che ha mandato su tutte le furie le Regioni. Piemonte, Toscana, Veneto e Puglia ricorreranno alla Corte Costituzionale Le reazioni. Stando ai sondaggi, i consumatori vedono con favore l`apertura h24 di negozi, bar e ristoranti: il 76% vorrebbe fare la spesa senza limitazioni di orario, attesta un`indagine della Bocconi, e il 78% (dato Ipsos) ha approvato l`apertura domenicale nei comuni turistici decisa dal governo Berlusconi nell`estate scorsa. Il Codacons si spinge a prevedere otto miliardi di risparmi per i cittadini, ma Confesercenti gela ogni ottimismo e spiega che, al contrario, nei prossimi cinque anni 80.000 imprese usciranno dal mercato e si perderanno 240.000 posti, senza che i prezzi diminuiscano. Fisascat (Cisl) conferma: si avranno «pesanti ripercussioni» sul mercato del lavoro. Filcams (Cgil) ricorda che «in
questi anni le maggiori aperture nel commercio non hanno prodotto un incremento di occupazione
stabile». Confcommercio aggiunge che già oggi «per aprire un negozio basta una semplice comunicazione» e che «sia le lenzuolate di Bersani che le leggi di Berlusconi hanno lasciato ben poco da liberalizzare»: così si esprime il responsabile dell`ufficio Studi della Confcommercio Mariano Bella, secondo il quale «questa nuova liberalizzazione si abbatterà sui piccoli negozi delle periferie, che svolgono una funzione di presidio sociale e che saranno cannibalizzati dai centri commerciali». La grande distribuzione. In effetti, Federdistribuzione - che rappresenta più di 44.000 imprese della Gdo e rivendica la «valenza sociale» delle aperture prolungate, in quanto «rivitalizzano le città» - è la sola a vedere nella «possibilità di ampliare fascia oraria e giorni di apertura dei punti vendita un`opportunità sia per i consumatori che per le imprese». Deregulation, ammette però anche la Gdo, non fa rima con ribassi: «l`apertura dei punti vendita anche nei giorni festivi e nelle domeniche non determina di per sé una diminuzione dei prezzi. I consumatori potranno comunque avere un vantaggio economico nei loro acquisti grazie alla maggiore opportunità di scelta e confronto». Al contrario, «la liberalizzazione consente alle imprese la preventiva definizione di un calendario scelto e certo di aperture, senza dover sottostare a singoli provvedimenti locali» il che renderà possibile «una migliore pianificazione delle attività, sia per quanto riguarda i rifornimenti e la logistica che l`organizzazione del lavoro».