Negozi aperti a mezzanotte, la domenica e nei festivi: ora si può. È quanto prevede la norma sulla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali contenuta nel cosiddetto “decreto salva Italia” in vigore col nuovo anno. Nessun vincolo per titolari di bar, ristoranti e negozi. Tutti liberi di aprire e chiudere le porte quando vogliono. E mentre la parola passa alle Regioni – che hanno novanta giorni per decidere se fare ricorso alla Corte costituzionale contro il provvedimento (come ha già deciso di fare la Toscana) – il mondo del commercio si divide tra favorevoli e contrari. Tra i negozianti di tutta Italia sembrano al momento prevalerei no, soprattutto tra i piccoli, che temono di rimanere schiacciati dalla concorrenza agguerrita delle grandi catene, certamente più pronte a fronteggiare la novità. Poco
generosi sono pure i commenti a livello nazionale di molte associazioni di categoria.
E anche i calabresi, in attesa di capire le intenzioni di Palazzo Alemanni, prendono posizione. Particolarmente infuriato il segretario regionale della Filcams Cgil Luigi Scarnati.
«Questa norma arriva in un momento difficile per il settore. Qui in Calabria siamo alle prese con la cassa integrazione nei grandi gruppi, figuriamoci che può succedere nella piccola distribuzione. Queste liberalizzazioni arrivano proprio dove ce n’è meno bisogno ». Altro che “salva Italia”. La norma, per il sindacalista, arriva ad aggravare la crisi che
già c’è. «Non si capisce in che modo possa aiutare la crescita del Paese - afferma Scarnati -. Si vuole aumentare la produttività quando il problema non è un calo della produttività ma un calo dell’utenza. Le attività commerciali chiudono perché non hanno clienti e i clienti non ci sono non per colpa degli orari ma perché non hanno soldi. Chi non può andare a comprare alle otto di sera non è che poi a mezzanotte esce a fare spese». E questo è solo uno dei problemi. «Quello previsto dal decreto è un regalo alla grande distribuzione che ha le risorse per garantire l’apertura continuata potendo coprire le spese di elettricità, riscaldamento e gli stipendi di più dipendenti. Ma per il piccolo esercente che già vive la crisi pagare un altro dipendente che lavori la notte per servire magari un solo cliente questo non conviene». Da qui le paure dei piccoli di soccombere alla concorrenza impari dei giganti del commercio. «Senza contare - aggiunge il segretario di Filcams Cgil - che la Calabria è fatta per la gran parte di piccoli centri dove predominano i piccoli negozi. Questa norma, assieme agli esercizi commerciali e a tanti posti di lavoro, cancellerebbe l’economia di interi comuni». E poi c’è la questione fondamentale dei diritti dei lavoratori. «È un problema anche di qualità della vita. Così saltano tutti i tempi. Pensiamo soprattutto alle donne che devono potersi occupare dei figli. Che vita avrebbero se pur di lavorare fossero costrette a stare dietro a una cassa anche di notte? Poi ci sono le domeniche e i festivi, giorni in cui i lavoratori meritano di riposare». Dalla Filcams Cgil, insomma, arriva un no netto. Un no che viene girato a chi ora ha la palla in mano. «Invitiamo la Regione a respingere questa norma - dice Scarnati - e siamo pronti a mettere in campo iniziative che possano essere utili in tal senso. Nello stesso tempo, lanciamo un appello perché si torni alla concertazione, che è stata calpestata da questo decreto che taglia fuori le parti sociali». La novità che in queste ore sta facendo registrare lo scontento di molti incassa invece il plauso di Confimprese. «Invitiamo il governo Monti a continuare sulla strada della deregulation e della liberalizzazione degli orari dei negozi per sostenere i consumatori e i consumi - afferma in una nota il presidente Mario Resca - . Pensare di non raggiungere una totale liberalizzazione del commercio e dell’intero mercato sarebbe un grave danno per l’economia italiana».
Le questioni sul tappeto sono però tante. Ci si può chiedere, ad esempio, se in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo basta davvero una dilatazione degli orari per risollevare i consumi. E se sì chi ne trarrà giovamento: in altre parole, che fine faranno i piccoli negozianti? Ma soprattutto, per le migliaia di dipendenti dei grandi esercizi commerciali è una buona notizia?

Il sì dei commercianti del capoluogo «Così saremo al passo con l’Europa»

CATANZARO «Ben venga. A Roma è iniziata in via sperimentale e sta funzionando, non vediamo quali controindicazioni possono esserci qui da noi». Sì alla liberalizzazione degli orari: se non è un coro, poco ci manca. Marisa Costa il commercio lo conosce bene, guida la catena di un’importante griffe dell’abbigliamento. «Anche le riforme Bersani, inizialmente, dovettero fare i conti con la diffidenza, poi furono varate e l’economia ne trasse beneficio. Sulla liberalizzazione degli orari accadrà più o meno la stessa cosa. Io credo che liberalizzare significa evolversi. È essenziale che gli esercenti abbiano la possibilità di autodeterminarsi, è un fondamentale passo in avanti rispetto ad una disciplina normativa ferma agli anni ’30».
Rita, sua collega, è altrettanto risoluta: «Ognuno decide quando aprire, è così ovunque, tranne che in Italia. È un modo per mettersi al passo con gli altri Paesi europei…». Ma in questo modo non si esaspera la concorrenza? E, soprattutto, non rischia tutto questo di alimentare lo sfruttamento dei dipendenti in un settore nel quale sono incrostate enormi sacche di lavoro nero? «Liberalizzazione non significa libertinaggio, anche un sistema di liberalizzazioni possiede un compendio di norme da rispettare, anche per ciò che concerne la concorrenza. Quanto allo sfruttamento del personale, basterebbe rispettare le regole per impedirlo.
Rispetto degli orari di lavoro, dei contratti, garanzie sulle turnazioni… Mi pare che di abusi ce ne siano abbastanza già adesso, è un problema che non nasce certo con le liberalizzazioni. Purtroppo dico». Lo struscio su Corso Mazzini offre ulteriori spunti di riflessione. Giampaolo, ad esempio, è illuminante:«Magari qualcuno terrà anche aperto per tutta la giornata, ma sono certo che, sostanzialmente, saranno mantenuti i vecchi orari. D’altronde che senso avrebbe tenere aperto in un festivo, o alle 14.30 del pomeriggio, perdendo energia e tempo prezioso. A volte è più conveniente chiudere anziché aprire…»

Nella città dei bruzi è un coro di no «È l’ennesima presa per i fondelli»

COSENZA Liberalizzazione? No grazie. A Cosenza non è un coro unanime. Di più. Perché se nel resto della Penisola il primo degli effetti della temutissima manovra Monti è stato accolto con particolare freddezza e perplessità, nella città dei bruzi le cose sono andate ancora peggio: negozianti imbufaliti. E con pochissimi stimoli.
Quei pochi ch’erano rimasti si sono volatilizzati non appena è giunta la notizia da Roma che il provvedimento governativo sarebbe diventato legge. Il loro, dunque, è un “no” secco, deciso. «L’ennesima presa per i fondelli da parte dello Stato nei nostri confronti», tuonano dall’uscio dei propri esercizi commerciali. L’idea di rimanere aperti fino a tarda notte o di lavorare 14 ore o più al giorno li manda completamente fuori di testa. «Nelle grandi città aveva forse un senso liberalizzare gli orari di apertura e di chiusura dei negozi. Ma qui, dove già alle sette di sera circolano solo i “fantasmi”, a chi potrebbe giovare?». Un’idea, gli stessi commercianti, ce l’hanno. «Di sicuro ai grossi centri commerciali, che continueranno a fare la parte del leone, non riservandoci neanche le briciole», spiega Giovanni, proprietario di un negozio di telefonia e ricetrasmissione. Lui conduce l’attività da solo e, nel caso dovesse rimanere aperto per 18 ore, sarebbe costretto ad assumere tre dipendenti che al momento, vuoi per la crisi, vuoi per gli affari che vanno male, non potrebbe permettersi di retribuire: «Per noi “piccoli pesci” è l’ennesimo duro boccone da digerire», commenta. Gianluca, orafo, e Maurizio, che compra e vende oro, gli fanno eco: «La liberalizzazione non ci serve proprio a nulla - afferma il primo -. Per me che possiedo una piccola ditta individuale, è impossibile pensare di dover fare quegli orari». E la sicurezza? E le spese? A sollevare il duplice problema è Maurizio, il quale fa notare che anche economicamente per loro sarebbe una batosta: «I costi quotidiani, a quel punto, raddoppierebbero. Poi, dalle nostre parti, appena si fa buio, non si vede più anima viva e le forze dell’ordine latitano. Chi ci assicura protezione?». Niente da fare. In riva al Crati, l’ “aperitivo” targato Monti ha fallito. Ritenti, premier.