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Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 9/02/2009

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Comitato Direttivo Nazionale Filcams Cgil - Roma, 9 febbraio 2009

Relazione introduttiva di Franco Martini

1. Problemi di assetto della Segreteria Nazionale
Avevamo dedicato la giornata di oggi al terzo argomento che era in discussione nella riunione dei segretari generali regionali e di aree metropolitane, svolta il 19 e 20 gennaio. Poi, gli sviluppi della vicenda sindacale, che hanno portato alla firma dell’intesa sulla riforma del modello contrattuale, hanno imposto la convocazione del nostro massimo organismo dirigente, per una ovvia valutazione su quanto è accaduto e, soprattutto, per definire l’impegno della nostra categoria in ordine alle iniziative che il Direttivo Confederale ha deciso per le prossime settimane.

Rispetto alla tabella di marcia che la segreteria nazionale si era data, con la ripresa dell’attività dopo la pausa natalizia, questo Direttivo era stato previsto per la fine di febbraio ed avrebbe dovuto affrontare anche i problemi legati all’asseto della struttura nazionale di categoria, a partire dalla Segreteria Nazionale, poiché, come è ampiamente noto, quest’ultima si troverà a breve nella condizione di dover essere in buona parte ridefinita, per effetto delle norme regolamentari che definiscono la durata dei mandati e le condizioni entro le quali essi possono essere affidati.
In realtà, la segreteria già oggi si trova in queste condizioni. Il compagno Romeo, il cui mandato era scaduto mesi orsono ed era stato prorogato per poter meglio accompagnare il cambio di direzione alla Segreteria Generale, dall’inizio dell’anno ha maturato anche i requisiti pensionistici e tale condizione, per effetto delle norme regolamentari, rende impossibile ulteriori proroghe del mandato.

Carmelo per primo ha scelto di sollevare la categoria da una situazione di incompatibilità, ritenendo conclusa la propria esperienza nella segreteria, creando così le condizioni per avviare il processo di riorganizzazione della stessa.
Non è questa la sede per affrontare la questione, né per rappresentare a Carmelo la stima e l’affetto della categoria per quanto egli ha fatto in tutti questi anni. Consentitemi, tuttavia, di esprimergli il mio riconoscimento ed anche il vostro per il gesto di assoluta coerenza e trasparenza con quei principi e quelle regole per il rispetto delle quali egli per primo si è impegnato nella funzione esercitata. A volte è più facile pretendere dagli altri la coerenza che mettere in campo la propria. Credo che con il suo gesto, Carmelo abbia voluto invitare tutto il gruppo dirigente della categoria a guardare con serenità, con convinzione e con la necessaria fiducia alla necessità di avviare una fase nuova nella vita dei nostri gruppi dirigenti, improntata ad un profondo rinnovamento degli stessi, secondo gli obiettivi ed i criteri di cui già abbiamo cominciato a parlare in occasione del Direttivo nazionale di dicembre.

Io mi convinco sempre più che questa è la vera sfida che ha davanti la Filcams, costruire il futuro del proprio quadro dirigente a tutti i livelli, a partire dalla struttura nazionale, una sfida che deve vedere impegnati tutti e nella quale ci deve essere posto per tutti, nella coerenza e nella chiarezza degli obiettivi che vogliamo raggiungere. Non sarà una sfida semplice, perché molto lavoro è stato fatto negli anni che abbiamo alle spalle, ma forse non fino al punto da rendere tranquillo questo passaggio “epocale” che ci attende. Dovremo condurre una verifica a tutto campo sullo stato delle nostre strutture, dei nostri gruppi dirigenti provinciali e regionali, per capire quali siano le risorse nuove da poter essere mobilitate sia per il livello nazionale che per quello periferico. Occorre fin dai prossimi giorni che la segreteria nazionale conduca questa ricognizione regione per regione, sapendo che lo faremo in una situazione peraltro meno favorevole, per la crisi che avanza e per le difficoltà sindacali esistenti.

Anche per questo, la Segreteria ritiene necessario procedere immediatamente alla sostituzione del compagno Romeo, poiché la funzione da egli ricoperta è delle più importanti per gestire un processo organizzativo di tale ampiezza. E la responsabilità dell’organizzazione non è cosa che oggi la Filcams possa delegare al Segretario Generale, il quale ha già abbondanti grattacapi politici da dover gestire, né può essere delegata ad altri segretari, i quali, oltre alla analoga mole di lavoro, hanno davanti a loro un percorso ormai breve, se non brevissimo, di durata del mandato.

La proposta, quindi, è quella di convocare per i primi giorni di marzo (6 marzo) la prossima sessione del Direttivo Nazionale, per procedere alla elezione del nuovo segretario nazionale che dovrà occuparsi di organizzazione, sulla base di una proposta che avanzerò ad una commissione di saggi, che questo Direttivo dovrà eleggere. Naturalmente, sarà mio compito, senza inficiare quello formale della commissione, “costruire” questa proposta, innanzitutto con il sostegno della segreteria, cosa che già ho cominciato a fare, e poi con il necessario scambio di opinioni almeno con i segretari regionali, come sempre si fa in questi casi.

Con la segreteria integrata in una funzione assolutamente importante, la Filcams potrà così affrontare meglio le tappe successive che riguardano il nuovo assetto della stessa, sulla base di un progetto ampio di rinnovamento, per il quale il vostro sostegno sarà assolutamente indispensabile. Anche queste tappe, peraltro, non saranno assai lontane nel tempo, perché dovranno impegnarci subito dopo lo svolgimento della manifestazione del 4 Aprile.

2. Difendere i diritti costituzionali
Ancora prima di entrare in argomento, credo doveroso proporre a questo gruppo dirigente una riflessione su quanto sta accadendo nel Paese, su quanto le decisioni più recenti del Governo stiano demolendo i principi fondanti della nostra Costituzione e su quanto tutto ciò riguardi anche noi, come lavoratrici e lavoratori, come cittadini, come categoria, che rappresenta uno spaccato della società investita direttamente da questi attacchi sempre più violenti. La Filcams deve dire e deve fare qualcosa!

Mi riferisco, innanzitutto, alla vicenda di Eluana Englaro. Naturalmente, è nostro dovere rispettare la dimensione privata della vicenda, contro l’uso mediatico che se ne è fatto in tutte queste settimane, così come non intendiamo ridurre la complessità del tema, che riguarda l’ambito scientifico, morale, religioso, che tale vicenda chiama in causa. Ma è difficile negare come in questa vicenda si sia toccato il punto più alto dell’attacco violento alle istituzioni da parte di un Governo, bene definito da Ezio Mauro “governo pagano” e di un premier, che, anche in barba ai tanto amati sondaggi che parlano all’80% a favore dell’introduzione del testamento biologico, ha deciso di cavalcare questa vicenda per sferrare un duro attacco alla Costituzione. Il conflitto istituzionale che ne è derivato, con la Presidenza della Repubblica, è senza precedenti dalla nascita della Costituzione.
In secondo luogo, il vero e proprio attentato alla laicità dello Stato e la grave interferenza della chiesa in una vicenda che appartiene alla vita istituzionale di uno Stato indipendente e laico. Siamo ad una vera e propria crociata, della quale la sfortunata Eluana è alibi inconsapevole, per snaturare anche in questo senso uno dei fondamenti costituzionali, il diritto a non essere credenti, con tutto il rispetto per chi lo è, il diritto dei laici di essere rappresentati sui diritti civili, delle libertà individuali, della ricerca scientifica. “La vita in questo Paese –scrive una lettrice di Repubblica- diventa sempre più difficile per i non credenti. Gli esempi si susseguono continuamente, dal caso Eluana, all’attacco costante ai diritti degli omosessuali, al diritto di aborto, alla ricerca scientifica. E poi la scuola pubblica perde finanziamenti dallo Stato, ma subito un decreto ripristina quelli della scuola privata. Verrebbe da chiedere –conclude la lettrice-: ma non è anche il mio Paese, questo?”

Su un cartello dei presidi organizzati in queste ore c’era scritto “vogliono tenere in vita i morti e far morire i vivi”. Questo cartello parla della seconda questione odiosa che stiamo vivendo in questi giorni, il decreto sicurezza, con il quale si aboliscono diritti civili previsti dalla Costituzione, per gli uomini, le donne, i bambini nati nel nostro Paese, per pagare la cambiale xenofoba alla Lega. Possiamo dire che con quella legge è stata inaugurata una nuova civiltà italiana, fondata sulla barbarie.
La Filcams deve essere soggetto attivo nella battaglia contro questa idea di società, di civiltà, anzi, di inciviltà, sia per la cultura che deve caratterizzare la nostra categoria, fondata sulla multietnicità e la interculturalità, sia per la necessità di rappresentare un pezzo del nostro lavoro, che parla sempre più altre lingue ed esprime sempre più culture nuove.

La terza questione è quella della violenza sulle donne. Gli stupri di cui si è occupata la cronaca in questi giorni sono solo una faccia del fenomeno. Il tema è la condizione della donna nella società e nel lavoro, i diritti civili e sociali che, anche qui, si vuol far arretrare. Naturalmente, gli stupri pongono un problema di cultura, oltrechè di diritto, l’idea della donna, che quello stesso premier tanto impegnato a difendere la dignità della vita, manda in onda quotidianamente attraverso lo stereotipo sexi della velina o dell’oggetto sessuale, quale contorno indispensabile per ogni argomento trattato. Il tema è più generale, quello di una parità negata nei fatti, oltrechè nel diritto. Il tentativo di parificare l’età pensionistica della donna a quella degli uomini, al netto di una politica sociale che risponda al ruolo diverso che la donna svolge nella società, in famiglia, sul lavoro, la dice lunga sulla visione della donna che si intende affermare.
E poi, le discriminazioni sul lavoro, da quella salariale a quelle legate alla valorizzazione professionale e della stessa salute.

La Filcams deve battersi in prima persona, non le donne della Filcams, tutta la Filcams, attraverso la contrattazione e con iniziative politiche e sindacali generali.
Per queste ragioni vorremmo dedicare una sessione specifica del Direttivo Nazionale alla condizione della donna nei nostri settori e alle iniziative da mettere in campo. La proposta è di svolgere questa sessione venerdi 6 marzo, in occasione delle iniziative per l’8 marzo. Nei prossimi giorni vi invieremo la convocazione ufficiale, con l’organizzazione dei lavori, che vorremmo qualificare anche attraverso testimonianze privilegiate, che ci aiutino a scavare più a fondo nel problema, per rendere più concreto e propositivo il nostro lavoro.


3. L’intesa separata sul modello contrattuale
Venendo al tema centrale del nostro Direttivo, credo utile ed opportuno dare per acquisite le posizioni che la Cgil ha espresso subito dopo la firma del 22 gennaio. Il materiale prodotto dalla Confederazione (relazione e conclusioni di Epifani, documento conclusivo del Direttivo, materiale illustrativo) già da diversi giorni è stato divulgato presso tutte le strutture, in alcune delle quali già si sono tenute riunioni delle camere del lavoro, delle Cgil regionali o delle stesse strutture provinciali della Filcams. Evito, dunque, di ripercorrere tutte le tappe che hanno portato a quell’accordo, limitandomi a sottolineare le principali obiezioni di merito che ci hanno portati a dissentire con l’intesa.

Innanzitutto, l’aspetto relativo alla difesa del potere d’acquisto delle retribuzioni ed il ruolo del contratto nazionale. Inutile ricordare che la piattaforma unitaria assegnava al Ccnl la funzione di tutela del potere d’acquisto in relazione all’inflazione reale e che il Governo fin dall’inizio aveva minato questa funzione proponendo il ferimento dell’inflazione programmata, ovviamente, decisamente inferiore a quella reale.
Il risultato ottenuto non va in questa direzione ed appare singolare che un problema rappresentabile con l’obiettività dei numeri e della matematica, venga piegato ad aspetto ideologico e mistificato nella sua dimensione reale. Il riferimento all’Indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca) in ambito europeo, depurato dei costi energetici non potrà che produrre un abbassamento del potere d’acquisto, come le simulazioni prodotte dalla Cgil sui trend salariali degli ultimi periodi hanno dimostrato. Va da sé che il livello basso toccato dal prezzo del barile in questo periodo difficilmente potrà rappresentare la condizione di medio e lungo termine. La previsione più realistica sarà quella di una ripresa del prezzo del petrolio ed in questo quadro l’indice preso come riferimento non potrà che tradursi in una riduzione programmata del salario nazionale. Questo non è un argomento pretestuoso che la Cgil ha messo in campo, ma una posizione coerente con l’obiettivo che ci eravamo posti. Attribuire alla scelta di depurare l’indice dai costi energetici l’obiettivo di contenere l’inflazione è fare un parallelo improprio con l’esperienza della scala mobile, all’epoca dell’inflazione a due cifre, quando, invece, nel nostro caso il problema è solo quello di aggiornare il meccanismo del riallineamento all’inflazione reale previsto dall’accordo del 23 luglio ’93, in un contesto molto diverso dagli anni ’70-’80 ed anche dagli anni ’90.
La scelta di abbandonare il riferimento all’inflazione reale non potrà che depotenziare il ruolo del contratto nazionale, oltrechè orientare il salario nazionale sempre più verso un livello minimo.
Qui non è contenuto solo l’errore dell’abbandono di una impostazione unitaria che assumeva l’obiettivo della difesa del potere d’acquisto reale, ma anche la visione velleitaria di un secondo livello in grado di riequilibrare i livelli salariali. Tutti sappiano quanto poco sia diffusa la contrattazione di secondo livello e quanto ciò dipenda anche dalla debolezza strutturale di interi settore ed aree del Paese. Questa visione velleitaria nega l’evidenza, cioè, il rischio reale di un ulteriore allargamento della forbice fra aree forti ed aree deboli del mercato del lavoro.

La seconda questione è relativa al principio di derogabilità dal Ccnl. Qui veramente è inaccettabile l’ipocrisia con la quale si tende a mascherare lo scenario nuovo che potrà determinarsi, soprattutto a fronte della crisi che attraversano interi settori ed aree intere del paese. La derogabilità si sa dove inizia, ma non si sa dove finisce, può riguardare gli aspetti puramente salariali (cose –peraltro- già sperimentate in passato, ma nell’ottica della solidarietà), come l’insieme delle norme e dei diritti definiti dalle normative contrattuali.

E’ fin troppo evidente che la prima e la seconda questione minano l’universalità del sistema delle tutele per i lavoratori, fino ad oggi garantito dalla contrattazione collettiva nazionale ed apre un nuovo scenario, dove le possibilità di opporre un argine al tentativo di far arretrare le soglie della tutela non potrà che indebolirsi.

La terza questione, altrettanto grave, riguarda il diritto di sciopero ed il tema della rappresentanza. Già quest’ultimo aspetto viene affrontato in modo del tutto parziale rispetto alla piattaforma che unitariamente avevamo definito con molta fatica, senza offrire un nuovo quadro di regole certe e democratiche. Ma la cosa stupefacente è l’aver ridotto un diritto costituzionale, come l’esercizio del diritto di sciopero, ad una questione di organizzazione maggiormente rappresentativa, l’unica che potrà proclamare uno sciopero. Appare evidente che non può essersi trattato di un lapsus l’aver confuso l’esercizio di un diritto fondamentale con il tema della regolamentazione di tale diritto nel rapporto col Paese e con i cittadini, questione di ben altra natura e dalla quale non eravamo mai sfuggiti.
Non può non ravvisarsi qui una lesione della democrazia, la cui gravità non è cosa che può interessare solo la nostra organizzazione, poiché si inquadra in una iniziativa ben più ampia del Governo volta a limitare anche in altri campi principi democratici definiti dalla Costituzione.

Vi sono poi altri aspetti sui quali siamo critici. Già ho ricordato il tema del secondo livello di contrattazione, che avrebbe dovuto rappresentare la novità del nuovo modello contrattuale e che, invece, subisce anch’esso un ridimensionamento, poiché viene incentivato attraverso gli strumenti degli sgravi fiscali.

Della bilateralità abbiamo già discusso abbondantemente nella riunione del 19-20 gennaio, criticando il progetto del documento Confindustria, diventato poi accordo. Alla luce dei nuovi compiti che ad essi si vorrebbero assegnare, l’accordo sembra più un manifesto ideologico che una vera e propria proposta, dato che non si capisce come, attraverso quali risorse, con quale carattere universalistico gli enti bilaterali potrebbero erogare servizi della portata individuata, come, ad esempio, gli ammortizzatori sociali.

Contenuti e dinamiche del confronto e dell’accordo, scaturito da un incontro convocato dal Governo per discutere con le parti sociali della crisi, non possono non inquadrare l’intera vicenda nel tentativo di colpire la Cgil , per isolarla ed indebolirla nel rapporto col Paese.
Il merito non è mai stato disponibile al confronto, poiché fin dall’inizio è apparso evidente che il documento della Confindustria sarebbe stato il pegno che ogni partecipante al tavolo avrebbe pagato. Lo dimostrano gli stessi tavoli settoriali, a due dei quali abbiamo partecipato come categoria, ai quali gli stessi tentativi delle associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro di distinguersi e di caratterizzarsi con le peculiarità dei settori, hanno dovuto cedere agli ordini di scuderia della “casa madre”.

Il merito, per quanto lo si voglia girare, è chiaro. L’asse Governo di centro-destra – Confindustria ha come obiettivo quello di far pagare al lavoro e alle pensioni il costo prevalente della crisi, attraverso una politica economica e sociale che penalizzi questa parte della società, a vantaggio dell’impresa e degli interessi forti. Del resto, gli stessi aiuti decisi in questi giorni dal Governo ai settori in crisi, a partire dall’auto, aiuti indispensabile sia chiaro, sono ben lontani dalla dimensione degli interventi decisi dagli altri paesi europei e completamente prigionieri della logica emergenziale, privi, cioè, del necessario respiro di una nuova politica industriale.

Ma se, dal punto di vista di chi rappresenta gli interessi dell’impresa, dei grandi gruppi industriali (poiché la piccola impresa viene comunque penalizzata), dei poteri forti, questa politica può essere capita, compreso l’attacco frontale alla Cgil, molto meno può essere capita la posizione di Cisl e Uil, tanto più a fronte del fatto inedito, rappresentato dalla decisione di definire nuove regole contrattuali senza la maggiore organizzazione sindacale italiana. Dopo poche ore dalla firma hanno dovuto scomodarsi personaggi illustri come Ciampi e Carniti per ricordare ai firmatari l’insensatezza di quell’atto. Cosa che con non altrettanta convinzione e tempestività hanno fatto i vertici del principale partito di opposizione, confermando la distanza della politica, anche quella che dovrebbe guardare con più attenzione agli interessi del mondo del lavoro e dei pensionati, dai problemi reali che noi viviamo.
Evidentemente in Cisl e Uil è prevalsa una logica di organizzazione, la suggestione di un vantaggio per le stesse, pur consapevoli che con questo scenario l’esercizio della contrattazione avverrà in un quadro di maggiore confusione e debolezza per tutti, data la disarticolazione delle posizioni e il reale malessere delle persone nei luoghi di lavoro. Tant’è che maggiore resistenza alla firma vi era da parte delle associazioni di categoria di Confindustria, ben consapevoli che una firma separata sulle regole si scaricherà sulle aziende in termini di maggiore conflittualità.

A riprova di una dubbia trasparenza dell’intera vicenda vi è il rifiuto di sottoporre al pronunciamento dei lavoratori l’intesa firmata, aggiungendo una ulteriore lesione al carattere democratico del rapporto che il sindacato dovrebbe avere con i lavoratori.

Per tutte queste ragioni, il Direttivo della Cgil ha ratificato la decisione di non firmare l’intesa e di sviluppare una forte iniziativa, che metta in campo le nostre ragioni, che le faccia vivere nel rapporto con i lavoratori, che tenga aperta nel Paese una prospettiva di lotta contro le scelte sbagliate e pericolose di politica economica e sociale del Governo, soprattutto in questa fase di crisi e di difficoltà per il mondo del lavoro e dei pensionati.
Poiché vi è noto il “pacchetto” di iniziative decise dal Direttivo, si tratta in questa sede di definire l’impegno della categoria per realizzare il massimo sforzo ed il contributo maggiore alla loro riuscita.

Innanzitutto, la campagna di informazione e di discussione con le lavoratrici ed i lavoratori del settore. Dobbiamo cercare di organizzare il maggior numero di momenti di confronto, attraverso assemblee, attivi, iniziative di propaganda e di informazione, che illustrino gli effetti concreti dell’intesa, anche in relazione all’azione uguale e contraria che verrà dalle altre organizzazioni, impegnate a dimostrare le condizioni vantaggiose dell’intesa. Proviamo a darci un programma attendibile in questo senso, sapendo che non sarà facile, soprattutto nei settori più polverizzati, ma proviamoci e cerchiamo di fare un primo bilancio nel prossimo Direttivo. Per quanto riguarda la struttura nazionale è scontata la disponibilità di tutti i suoi componenti a partecipare ad ogni iniziativa promossa. Al tempo stesso, nei prossimi giorni la segreteria procederà al ripristino del dipartimento comunicazione, per riattivare la funzione dell’Ufficio Stampa e rendere sempre più efficace lo strumento del sito di categoria.

Vi sono, poi, le iniziative di mobilitazione. La decisione delle 4 ore di sciopero, che nel nostro settore non potrà non attuarsi attraverso le modalità tipiche (l’intera giornata). Naturalmente, si tratta di un pacchetto di ore che potrà essere speso in relazione alle iniziative che regionalmente o territorialmente la Confederazione promuoverà, oppure, in funzione della manifestazione nazionale del 4 aprile a Roma.

In terzo luogo, le iniziative di lotta programmate dalle altre categorie, a partire dallo sciopero del 13 febbraio di Fiom e Funzione Pubblica, che dovrà vedere la partecipazione di una delegazione qualificata della Filcams e che ha già ricevuto il sostegno formale della Segreteria Nazionale.
Infine, la manifestazione del 4 aprile. Noi abbiamo già una esperienza di pochi mesi fa, che ci parla delle difficoltà e dello sforzo immane che un appuntamento di questa natura richiede. Però, proprio in relazione al protagonismo che la categoria ha già saputo esprimere in quella occasione, dobbiamo rappresentare un pezzo consistente, quantitativamente e qualitativamente, della manifestazione, ed in questo senso cominceremo a lavorare già dai prossimi giorni.

4. La crisi e le iniziative nazionali della Filcams
La nostra presenza alle iniziative deve servire per parlare della crisi dei nostri settori e delle iniziative per affrontarla. Come avrete capito, una delle critiche più consistenti mosse dalla nostra Confederazione è che, di fronte ad una delle crisi economiche e sociali con pochi precedenti nella storia del dopoguerra, che fa dire proprio in questi giorni a più di un autorevole osservatore economico europeo che l’Italia è il fanalino di coda e rischia di non riprendersi facilmente, le iniziative messe in campo dal Governo rappresentano una inezia, rispetto a quanto è stato fatto negli altri Paesi ed a quanto avrebbe bisogno l’Italia. Dubito che le stesse misure decise in questi giorni per il settore auto, mobili ed elettrodomestici sarebbe, per quanto insufficienti, sarebbero state tali senza una forte critica, come quella mossa dalla Cgil. Del resto, tutta l’operazione sul modello contrattuale (come le questioni esplose in questi giorni, da Eluana Englaro al decreto sicurezza) ha avuto come obiettivo quello di “parlar d’altro”.

Per quanto riguarda i nostri settori, le ultime rilevazioni fatte dalla segreteria nazionale della Filcams sulle situazioni di crisi confermano la forte riduzione dei contratti a termine, dei lavoratori somministrati e la durata dei contratti, con le evidenti ricadute sulle agenzie di lavoro somministrato. Proprio per la progressiva accelerazione dei processi di crisi, attiveremo a livello nazionale un coordinamento sui punti e le situazioni di crisi.

Le imprese della G.D.O. hanno rallentato o arrestato lo sviluppo. Il saldo, a giugno 2008, tra gli esercizi commerciali in sede fissa che hanno aperto una nuova attività e quelle cessate, registra per la prima volta un calo di 1.236 rispetto all’anno precedente, dopo sette anni di crescita interrotta ad un ritmo medio di 8.000 nuove unita’ annue. L’88,4% degli esercizi commerciali si colloca nella classe tra 1 e 150 mq. (di cui il 51,8% nella classe da 1 a 50 mq).
Questo dato e’ destinato a crescere sensibilmente a fine anno e (chiusura in particolare di piccole e medie strutture commerciali di carni, frutta/verdura, tessile/biancheria, casalinghi/mobili, elettrodomestici, profumeria). Si prevedono riorganizzazioni, ristrutturazioni e probabili riduzioni di personale. Dalle strutture territoriali ci viene comunicato che i licenziamenti individuali (aziende fino a 15 dipendenti) sono in aumento, vedremo la prossima rilevazione dati di questo mese.

Nel settore Multiservizi, si pone in evidenza la riduzione del numero delle ore giornaliere nei cambi d’appalto e problemi derivanti anche dai tagli che il Governo ha operato vedi ad es. le Caserme.

Nel settore turismo: I dati degli ultimi mesi del 2008 sono in contrazione, ma senza ricadute drammatiche. Ad esempio a Roma era stato stimato un calo di presenze turistiche pari al 20%, mentre in realtà il dato effettivo si è attestato intorno a meno 6%. Il 2009 soffrirà ovviamente della crisi economica e finanziaria che investe non solo il nostro Paese, dovremo attrezzarci di conseguenza poichè i turisti saranno meno inclini ad effettuare prenotazioni di lungo periodo. Starwood ha annunciato oltre 600 esuberi di cui 200 lavoratori stagionali, vi sono altre catene in “sentore” di difficoltà.

Per quanto riguarda le procedure aperte e chiuse a livello nazionale, sono 31 le imprese che hanno aperto procedura di riduzione di personale da dicembre ad oggi. I dipendenti e co.co.pro., coinvolti in procedure di licenziamenti, mobilità, incentivi, contratti di solidarietà, sono n. 25.036, di cui donne 3.260 pari al 13% (stimate perché non vi sono gli elenchi nominativi x ora) su un totale di circa 80.654 dipendenti. Gli esuberi nel loro complesso tra uomini e donne rappresentano il 31% sul totale dipendenti.
Vi sono imprese che non hanno diritto ad ammortizzatori sociali, ad esempio le agenzie di lavoro internale e qui si sono conclusi due accordi che hanno salvaguardato l’occupazione attraverso il contratto di solidarietà di tipo B, quello chiamato “povero”. In altre imprese si sono stipulati accordi per l’utilizzo della cassa integrazione straordinaria e/o mobilità volontaria, in altre imprese le trattative sono in corso.

Questo, degli ammortizzatori, è il tema centrale legato all’emergenza nei nostri settori. Il modo come il Governo sta affrontando la questione sfugge al carattere di urgenza che il problema assume, giorno dopo giorno, per cui sarebbe necessario che gli effetti di un provvedimento potessero registrarsi già nei prossimi giorni. Mentre invece, siamo ancora alla diatriba con le Regioni, chiamate a concorrere per quasi 3 miliardi alla manovra degli otto prevista, attingendo ai Fondi Europei destinati alla formazione. Così come, non è chiaro se per la parte di competenza dell’Esecutivo, si sia in presenza di una disponibilità di cassa, oppure, siamo alle solite partite di giro del bilancio, tale da rendere molto aleatoria la consistenza dell’intera manovra.(il che vale anche per gli 80 MLD previsti per l’intera manovra, 40+40!).

Vi è poi l’altro aspetto, legato alla proposta di un coinvolgimento della bilateralità, per il 20% dell’intervento. Va da sé che una operazione di tale natura, oltre agli aspetti più generali, che invocano una discussione sulla natura e la prospettiva della bilateralità, è del tutto infondata sul piano finanziario (della finanza degli enti), data l’inconsistenza dei fondi disponibili. Occorrerebbe una nuova dimensione delle contribuzioni, come già abbiamo detto alla riunione di gennaio e non mi pare essere nella disponibilità delle imprese.

In ogni caso, noi rappresentiamo buona parte del popolo della precarietà, del popolo senza difese o con poche difese dalla crisi e per questo dobbiamo essere in prima fila nelle iniziative delle prossime settimane, con tutti i mezzi e le idee che possono venirci in mente.

Anche per questo, la segreteria promuoverà di qui alla primavera inoltrata alcune iniziative nazionali, che affrontino alcuni dei temi legati allo sviluppo dei nostri settori. La prima, riguarda quello della legalità in rapporto agli appalti, con particolare riferimento alla condizione che vivono le nostre strutture nel Mezzogiorno. Colgo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà al segretario della Filt di Gioia Tauro, fatto oggetto di intimidazioni da parte della “ndrangheta. Questa iniziativa è in cantiere con la Cgil della Campania e dovrebbe svolgersi entro il prossimo mese. Poi, pensiamo alla promozione di altre tre iniziative, una sulla cooperazione, in preparazione della quale intendiamo fin dai prossimi giorni mettere al lavoro un gruppo di lavoro formato anche dalle strutture interessate, per definire la piattaforma di tale iniziativa, che intende occuparsi, ovviamente, del ruolo della cooperazione nello sviluppo del settore; un’altra sul settore della grande distribuzione, in relazione a tutte le problematiche organizzative e sociali sollevate dal lavoro domenicale, nel contesto della crisi odierna; ed una sul futuro del settore turistico nel nostro Paese.
E’ un pacchetto di iniziative qualificate, con le quali vorremmo mettere in campo una progettualità della categoria e caratterizzare il nostro lavoro, da oggi fino alla pausa estiva.

5. La contrattazione di categoria dopo la firma dell’accordo separato sul modello contrattuale
Per ultimo, le prospettive della contrattazione di categoria, dopo la firma dell’accordo separato. Potremmo dire, nel nostro caso, che piove sul bagnato! Tuttavia, occorre fare una premessa. Nessuno deve sottovalutare la fase nuova che si è aperta nella vita del sindacato confederale italiano. La rottura che si è determinata non è un raffreddore, una indisposizione passeggerà, non è la nottata che presto passerà. Dobbiamo sapere che la fase che dobbiamo gestire descrive un mutamento qualitativo ed inedito, per la nostra generazione, dei apporti sindacali.
Lo dico anche in relazione al tema che ha attraversato i primi mesi di mia permanenza nella categoria, l’accordo separato del commercio e il tentativo di recuperare il vulnus. Non va confuso l’obiettivo condivisibile, con l’idea che quell’evento sia riconducibile ad una eccezione, ad una svista momentanea, ad un incidente di percorso. Quell’evento già parlava del nuovo quadro che si sarebbe delineato nei mesi successivi, nei rapporti sindacali, poiché determinato da opinioni, giudizi e modalità dell’agire sindacale legittimamente diversi dai nostri.
Ciò non significa che da oggi in poi la regola sarà quella di procedere pregiudizialmente divisi. Noi continueremo ad insistere sulle ragioni dell’unità, ma lo faremo ancora e sempre più nella chiarezza delle regole democratiche e nella coerenza e trasparenza dei contenuti. Il riferimento agli affidamenti ed alle posizioni unitariamente definite prima delle rotture, non è motivo di imbarazzo per la Cgil, né per la Filcams, semmai il contrario.

Con questo convincimento andremo alle scadenze dei Ccnl e alla preparazione delle piattaforme sindacali. Il primo appuntamento riguarda la piattaforma per il contratto delle guardie giurate, tema sul quale proprio oggi la Fisascat svolge una iniziativa. E’ chiaro che noi partiremo dalle nostre posizioni, soprattutto per quanto riguarda la difesa del potere d’acquisto dei salari. Verificheremo se vi sarà la volontà di costruire nel rapporto con i lavoratori, le sintesi necessarie e non solo su questo punto.
Diversamente, è ovvio che dovremo procedere nella inedita versione di piattaforme separate ed allora vedremo se il nuovo modello contrattuale, costruito sull’esclusione della principale organizzazione sindacale sarà motivo di semplificazione o di complicazione delle relazioni sindacali!

Nel nostro caso il problema è già reso complesso dalle condizioni “ambientali”, sicuramente più difficili per la firma separata del Ccnl del commercio.
Chiarito che siamo ben oltre l’incidente di percorso e che il problema è ben più consistente delle complicazioni nel gestire la bilateralità e la contrattazione di secondo livello, non v’è dubbio che questi due ultimi aspetti e, soprattutto, la crisi che colpisce il settore, inducono a mantenere l’obiettivo di una solidarietà interna al settore ed una possibile iniziativa comune. Questo passa, inevitabilmente, col fare i conti con la firma separata per il rinnovo del contratto, tanto più che siamo ormai prossimi alla fase di stesura del contratto.

L’opinione della segreteria è che dovremmo condurre un tentativo per ricostruire un quadro unitario di gestione del contratto, per il bene della categoria. Come?!
E’ chiaro che non potremmo farlo sottoscrivendo testi non condivisi a luglio scorso, poiché contengono soluzioni non condivise nel merito. Però, potremmo farlo se i firmatari di quell’intesa si rendessero disponibili a rileggere quella vicenda in un contesto nuovo, che è quello della crisi attuale del settore ed il rischio che essa si scarichi soprattutto sulle fasce più deboli delle nostre lavoratrici e dei nostri lavoratori.
Sappiamo che quando la polemica si è fortemente cristallizzata e, in questi casi, è andata oltre il pure esercizio verbale, per condizionare la stessa attività contrattuale di secondo livello, allargando il vulnus, attraverso soluzioni territoriali ancora meno condivisibili, il problema è difficile da risolversi, quasi impossibile. Tuttavia, il gruppo dirigente è chiamato a compiere una valutazione politica, sul significato e sul valore, appunto politico, ma poi anche sindacale, che potrebbe avere una iniziativa della Filcams che connettesse la vicenda contrattuale a quella della crisi che stiamo vivendo.
Quello che non abbiamo condiviso è noto ed i firmatari di quell’intesa sanno che non potremmo mai apporre la nostra firma su quei testi. Noi sappiamo, altresì, che una modifica radicale degli stessi è poco praticabile ad oggi, ma un tentativo di recuperare i principi fondamentali che abbiamo voluto difendere può essere riproposto, cercando nuove sintesi accettabili per entrambe le parti, come ho detto fin dall’inizio, nella chiarezza e nella trasparenza delle soluzioni. Essi riguardano la legittimazione degli accordi di secondo livello in essere, il principio della volontarietà, la tutela dei diritti degli apprendisti.

Credo che inoltrarsi in questo vicolo stretto pretenda due condizioni: una, che deve essere messa in campo da chi ha voluto quella firma, cioè, la disponibilità a riconoscere, per quanto parzialmente possibile, il nucleo centrale delle nostre obiezioni; l’altra, messa in campo dalla Filcams, di riconoscere che una parte del contenzioso è stata superata dai fatti, poiché, nella media, il tema non è più come si assumono gli apprendisti, ma che si chiudono i contratti a termine, P.T., di somministrazione; e non è più, nei fatti, neanche la legittimazione degli accordi di secondo livello, poiché, trascorsi i quattro mesi, non ci risulta che nella grande distribuzione si sia passati automaticamente alla normativa sulle domeniche prevista dall’intesa separata.
Il problema è capire se a fronte di soluzioni, anche strette, che in fase di stesura noi potremmo ottenere sui testi non condivisi, valga rivendicare in cambio un risultato politico, che sia parte integrante del contratto, attraverso il quale Confcommercio e Confesercenti si impegnino ad offrire maggiori garanzie nella gestione delle crisi, a partire dalla difesa dei livelli occupazionali, individuando tutte le alternative possibili al più facile ricorso alle procedure di mobilità. Al tempo stesso, coinvolgere le controparti in una iniziativa nei confronti del Governo che, attraverso la convocazione di un tavolo settoriale con tutte le associazioni datoriali, si prefigga l’obiettivo della sottoscrizione di un avviso comune attraverso il quale rafforzare gli strumenti di sostegno all’occupazione ed allo sviluppo del settore, guardando oltre la crisi.

So bene che con queste controparti e con questo Governo l’obiettivo può apparire velleitario. E non voglio neanche illudermi per alcune timide aperture che in questi giorni ho registrato sia da parte di Confcommercio, che di Fisascat e Uiltucs. Credo, tuttavia, che noi abbiamo la necessità di mettere in campo politicamente la Filcams nella fase attuale, non lasciare agli altri il campo, sapendo che già promuoverla è una mossa che metterebbe in difficoltà chi ci vorrebbe in ogni caso fuori da tutti i giochi.

Naturalmente, se il Direttivo ritiene che la Segreteria debba andare a fondo in questa verifica, la stessa avrebbe senso ed efficacia se venisse condotta rapidamente, perché non possiamo lasciare appesa all’infinito la questione del Contratto. E se la verifica avesse esito negativo, come può essere, dovremmo a quel punto definire anche formalmente come gestire la fase di stesura del contratto, poiché, voglio ricordare, che sarebbe ugualmente problematico lasciare agli altri questo compito, trattandosi di un contratto largamente condiviso in tutte le altre sue parti. Tant’è che già abbiamo partecipato all’insediamento delle commissioni previste dall’intesa sulla bilateralità ed il welfare integrativo.

Questo ragionamento ci conduce all’ultima questione, quella della contrattazione aziendale e territoriale.
Sappiamo che il mancato governo unitario della stessa sta già producendo guasti, con accordi provinciali separati, alcuni contenuti dei quali gridano vendetta. Sicuramente, l’accelerazione registrata in alcune province è anche il frutto della necessità che le altre organizzazioni sindacali, chi più, chi meno, hanno di dimostrare la validità dell’impianto dell’intesa separata. Dopodichè, sappiamo che nella realtà le cose sono molto più complicate di come si tende a rappresentarle, anche per Fisascat e Uiltucs, oltre ad essere molto diversificate, alla luce delle diverse esperienze e sensibilità territoriali.
Ovviamente, recuperare il vulnus del contratto separato non significherebbe annullare le diverse posizioni di merito, che potrebbero riproporsi integralmente nei vari territori. Sicuramente, però, interromperebbe un meccanismo (quello dell’esclusione) sul quale si tende a giocare, attraverso non poche forzature.

Anche qui, alla luce delle esperienze in corso, dobbiamo guardare alla sostanza, in un giusto equilibrio con le posizioni di principio, soprattutto quando queste sono affidate al riconoscimento formale degli atti separati prodotti in sede nazionale (questa è storia che si presenterà fino alla scadenza del Ccnl!). Queste esperienze ci dimostrano che non è del tutto persa, né abbandonata la prospettiva di poter definire con le altre organizzazioni piattaforme comuni. Naturalmente, la possibilità di raggiungere delle sintesi è sempre più difficile, ma non impossibile, se noi facciamo del merito e del confronto con i lavoratori l’elemento principale del lavoro che ci attende nei territori e nelle aziende.

Credo, quindi, che dovremmo definire con oggi un “decalogo” attraverso il quale guardare allo sviluppo della contrattazione di secondo livello.

Primo: questa deve, innanzitutto, essere esercitata, anche in questo momento di crisi. Esiste una opinione, secondo la quale è meglio “baipassare”, dato che potrebbe essere una contrattazione “a perdere”, per effetto della crisi. Sul piano economico non è tesi priva di fondamento, ma la contrattazione di secondo livello dovrebbe appunto rappresentare un terreno anche per affrontare le ricadute della crisi nei posti di lavoro e provare a costruire le necessarie tutele, soprattutto, se noi riuscissimo ad ottenere quegli impegni che chiediamo alle controparti, come parti integranti del contratto nazionale.

Secondo: Il tema delle flessibilità contrattate dovrebbe rappresentare, dunque, il tema centrale della contrattazione, collegato a quello delle condizioni di lavoro. In questo senso, dobbiamo dedicare molta più attenzione e convinzione ai temi della salute e sicurezza e, ancor più, a quello della formazione, tanto più nel momento in cui si pensa di attingere alle risorse della formazione per alimentare un sistema di ammortizzatori sociali. E’ bene ricordare che la formazione professionale è poco più che una testimonianza nei nostri settori.
Conseguentemente, la contrattazione di secondo livello dovrà porre molta attenzione al ruolo e lo sviluppo della bilateralità a livello territoriale, secondo un disegno omogeneo e coerente.

Terzo: Quindi, occorre non confondere l’autonomia territoriale con la balcanizzazione della contrattazione. E’ chiaro che ogni struttura deve portare nella contrazione le peculiarità territoriali. Ma questo non può significare che si fa tutto e il contrario di tutto. Per questo, occorre un coordinamento tra tutte le strutture, attraverso la regia della struttura nazionale, che deve consentire una valutazione dei risultati, prima che questi vengano formalizzati.

Quarto: Noi stiamo sollecitando Fisascat e Uiltucs a rispettare le scadenze per la presentazione delle piattaforme. In alcuni casi siamo in ritardo. Occorre che i tempi di apertura e di gestione dei “cantieri della contrattazione” siano vissuti sempre in un rapporto trasparente con le lavoratrici ed i lavoratori interessati. Per questo, invitiamo tutto il gruppo dirigente a mantenere un rapporto permanente con i lavoratori, tanto più che saranno coloro che dovranno valutare, approvare le piattaforme e, successivamente, le intese realizzate.