H&M
12/11/2021 ore: 12:13

H&M, il tribunale riconosce i diritti di una lavoratrice

Con il supporto della Filcams Cgil, la dipendente del punto vendita di Latina della nota catena di abbigliamento svedese ha ottenuto il trasferimento immediato e definitivo che aveva richiesto per assistere il figlio malato

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“Le aziende imparino che le persone non sono numeri” hanno commentato alla Filcams Cgil di Frosinone e Latina all’indomani della sentenza che ha messo in riga la catena di abbigliamento svedese H&M, accogliendo le richieste della lavoratrice.
Ed è proprio così, un numero non potrebbe mai contenere la vita di A. e tutti i problemi che negli ultimi tre anni l’ha costretta ad affrontare.
A. è innanzitutto una mamma single che ama il suo lavoro, che ha scelto e conquistato un passo alla volta: il primo impiego nel punto vendita H&M di Latina è un job&call di 18 mesi, poi è arrivato un part-time di tre mesi. Non sembravano esserci speranze di assunzione, ma alla fine del 2018 le viene proposto il trasferimento nel negozio di Serravalle Scrivia, con un contratto full time a tempo indeterminato.
“Io ho sempre creduto in questa azienda, che si presenta valoriale e mostra di pensare ai dipendenti – spiega A. – e nonostante mi occupassi di mio figlio da sola ho accettato di andare lontano da casa”.

È il febbraio del 2019 quando la lavoratrice cambia radicalmente orizzonte e arriva in Piemonte, ma quello stesso anno, a ottobre, sua madre si ammala e con la diagnosi si apre un periodo duro, fatto di cicli di chemioterapia, un trapianto e a seguire una cura costante, che purtroppo non sarebbero stati sufficienti.
“Appena ho saputo della malattia di mia madre ho chiesto un trasferimento immediato all’azienda, che non è stato accolto – racconta – ma continuavano a dirmi di non preoccuparmi, che avrebbero visto cosa potevano fare per venirmi incontro”.
Intanto il tempo passa, scoppia la pandemia e le esitazioni dell’azienda diventano più nette. Rimandano la questione a luglio, poi ad agosto, ma proprio quel mese la mamma di A. viene a mancare: non fa in tempo a metabolizzare la perdita, perché lo stesso giorno del funerale il bambino comincia a star male, una patologia seria e invalidante che richiederà lunghe cure.

“Quando è morta mia mamma l’azienda mi ha proposto un part-time di tre mesi a Latina spiega la lavoratrice – dicendomi ancora di non preoccuparmi, perché alla fine dei tre mesi sarei stata assorbita”. Ma poi sono ricominciate le chiusure e sono svanite le possibilità, A. utilizza i congedi parentali e poi ottiene la 104 per occuparsi del bambino. E ricominciano le promesse di trasferimento, mai mantenute. “Mi dicevano che non c’era posto, ma allo stesso tempo è stato trasferito a Latina un lavoratore da un’altra regione – racconta A. – un manager demansionato per ricoprire una posizione che avrei potuto ricoprire anch’io, poi ci sono stati dei part-time che sono stati passati a full time, aumenti di ore, l’inserimento di nuovi job&call e il passaggio di altri già presenti al part-time: insomma, ci sono state assunzioni continue, ma io non sono stata mai chiamata”.

Il giorno in cui la vicenda approda in tribunale l’azienda dichiara di aver proposto alla lavoratrice il trasferimento al punto vendita di Castel Romano, ma quella proposta A. non l’aveva mai ricevuta, “e comunque lavorare a più di 50 chilometri da casa sarebbe stato un problema, dovendo portare regolarmente il bambino a fare terapie e controlli”.
Il 5 novembre arriva la sentenza del tribunale, che condanna la società e ordina il trasferimento immediato e definitivo della lavoratrice, oltre al pagamento delle spese legali.
Per il Giudice “La società ha posto a fondamento del diniego al trasferimento anelato dalla ricorrente, una propria scelta imprenditoriale (quella di non incrementare il monte ore ‘definitivo’ del punto vendita di Latina) senza però spiegarne e documentarne le ragioni economiche ed organizzative che la giustificherebbero, quasi come se bastasse la valutazione autoreferenziale del datore di lavoro.
Non è stato offerto al processo, insomma, alcun elemento che consenta al Tribunale di verificare se il trasferimento della ricorrente sarebbe davvero in grado di ledere, in maniera significativa, le esigenze economiche, organizzative e produttive del datore di lavoro, traducendosi in un danno per l’attività della parte datoriale”.
“È stata una delle poche cose buone che sono successe in questo periodo. Devo ringraziare la Filcams Cgil di Frosinone e Latina e l’avvocato che mi ha seguita – dice commossa A. – perché mi hanno sempre sostenuta in questa battaglia, anche quando io non ci credevo più. E la mia è una delle tante cause in corso, spero che le mie colleghe e i miei colleghi, alla luce di questa vittoria, si facciano coraggio e continuino a lottare”.