Il mio 8 marzo
È proprio nella giornata internazionale della donna che Sonia riceve la raccomandata con il licenziamento e inizia la sua lotta per la giustizia
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Un giorno arriva una raccomandata, ma la destinataria è al lavoro e il postino lascia l’avviso in cassetta. Quando rientra a casa le poste ormai sono chiuse, prova a ritirarla sabato, ma non è ancora disponibile. È capitato a tutti, questa volta è capitato a lei. Il lunedì seguente torna al lavoro, accende il computer e trova una mail che la avvisa di essere stata messa in ferie fino a nuova data da comunicarsi, come mora per non aver ritirato la raccomandata, che era stata inviata dall’azienda per la quale lavorava.
Sonia, la chiameremo così, spegne il computer. Non le resta che tornare a casa ma, prima di lasciare l’ufficio viene chiamata in amministrazione, dove le viene ripetuta la stessa cosa che diceva la mail: era in ferie perché non aveva ritirato la raccomandata.
Sembra la sequenza di un film su un grigio futuro distopico, ma è solo un momento di un discutibile presente: la mattina dopo Sonia torna alla posta, visto che è in ferie, ritira la raccomandata e scopre che contiene il suo licenziamento, con effetto immediato al momento della ricezione della missiva.
“Potevano dirmelo in ufficio quando mi hanno chiamata in amministrazione, invece niente, mi dicono solo che sono in ferie, quando la verità era che non avevo più un lavoro. Ecco, questo è stato il mio 8 marzo”.
Sonia e altre colleghe erano in cassa integrazione dal 15 luglio del 2020, fino al 31 dicembre 2021. Il 18 gennaio vengono convocate dall’azienda, il Gruppo Immedya di Mosciano Sant’Angelo, in provincia di Teramo, specializzato in marketing e comunicazione. “Ci dicono che non c’è più posto per noi e che avrebbero preparato la documentazione relativa al nostro licenziamento. Andiamo al secondo appuntamento per vedere questa documentazione ma troviamo un’altra cosa, una conciliazione all’esodo che ci viene intimato di firmare. Dovevamo approvare il nostro licenziamento”.
Le lavoratrici ne chiedono copia per una consultazione, che viene negata, quei documenti non potevano uscire di lì: non accettano di firmare e si iscrivono al sindacato, alla Filcams Cgil.
Il gruppo rientrato al lavoro dalla cassa integrazione, a febbraio, si è ridotto a quattro lavoratrici.
“Quando non abbiamo firmato quel foglio e siamo tornate in azienda, non abbiamo avuto vita facile”. Le chiama timidamente “azioni sottili” Sonia, quelle utilizzate dall’azienda per dissuadere i dipendenti indesiderati a restare.
“Ho lavorato lì quattro anni e in tutto questo tempo nessuno ha mai usato il badge per andare in pausa, semplicemente non era richiesto che lo facessimo. E adesso accusano me e un’altra collega di essere andate in pausa senza chiedere il permesso in amministrazione o al direttore commerciale. Si attaccano a qualsiasi cosa per renderci la vita difficile”. Un sistema che purtroppo con qualcuno ha funzionato.
“Ma non abbiamo mai mancato di rispetto all’azienda. Sono stata seduta lì per sette ore al giorno, tolta la pausa pranzo. Non fumo, non bevo caffè, delle famose pause di 15 minuti ogni due ore che deve osservare per legge chi lavora a un terminale non ho mai usufruito”.
Pochi giorni dopo il rientro al lavoro Sonia riceve una lettera di trasferimento a Milano. “Dicevano che era perché avevo fatto il mio maggior fatturato in Lombardia, mentre qui in sede non c’era più lavoro in quel settore. Ma non era vero, il mio maggior fatturato lo avevo fatto altrove, e soprattutto il mio lavoro non si svolgeva fisicamente in quei luoghi, ma per telefono e via mail. Ovviamente avrei avuto lo stesso stipendio e l’onere di trovare una casa e portarci la famiglia”.
“Le persone sono il bene prezioso di ogni azienda” e la valorizzazione delle singole risorse si traduce in condivisione e conoscenza, si legge nel sito di Immedya, che contesta le accuse di discriminazione ai danni delle dipendenti e sostiene che il licenziamento si dovuto esclusivamente a ragioni economiche.
“L’azienda ha ostacolato il Sindacato nelle innumerevoli richieste legittime che ha fatto e che continua a fare per tutelare i nostri diritti – dice Sonia – e noi ringraziamo di cuore le persone che ci stanno seguendo, per averci dato la forza di lottare, di non aver paura di cercare la giustizia”.