8/9/2018 ore: 17:21

La Repubblica - E l’Italia si divide sulle chiusure della domenica

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C’è chi calcola i posti a rischio e chi applaude per il ritorno ai veri festivi Il caso Clienti, negozianti e lavoratori Fare la spesa di notte o passare una domenica piovosa al centro commerciale con figli e nonni al seguito è diventata un’abitudine tutta italiana. Una passeggiata che fanno in media 12 milioni di persone. Che potrebbe interrompersi però bruscamente. M5S e Lega lo avevano promesso e due giorni fa la deputata leghista Barbara Saltamartini, ha incardinato una proposta di legge (ce ne sono altre quattro) per smontare il Salva Italia del 2011, che ha di fatto liberalizzato orari e aperture dei negozi. Se n’è parlato per anni e ora il governo è passato dalle parole ai fatti su un tema che spacca l’Italia. E che potrebbe, questo l’allarme lanciato dalla grande distribuzione, avere pesanti conseguenze sull’occupazione. «Si perderebbero decine di migliaia di posti di lavoro», avverte il presidente di Federdistribuzione, Domenico Gradara. «In termini di ore lavorate — aggiunge un esperto del settore — si arriverebbe a perdere 16 mila posti». Senza contare che le vendite online, esploderebbero. Un’infinità, più degli operai dell’Ilva. Numeri che secondo Confcommercio, i sindacati confederali e i Cobas non stanno in piedi. «In questi anni di totale libertà — spiega Donatella Prampolini, presidente di Fida (dettaglianti) — la grande distribuzione ha drenato fatturato e posti di lavoro alle attività di vicinato, ai piccoli negozi. Magari — aggiunge Prampolini — tornassimo all’era pre-Monti. La normativa su orari e chiusure era stata una conquista sindacale degli anni ‘70. Prima non c’era nulla. Certo nell’immediato si potrebbe avere una perdita occupazionale, ma poi si recupererebbe. I piccoli esercenti guadagnerebbero 20mila di posti di lavoro, altro che perdita». Contraria alla revisione del decreto è invece l’Unione dei consumatori. «E’ incredibile che governo e associazioni di commercianti — dichiara Massimiliano Dona, presidente dell’Unc — a fronte di dati desolanti sulle vendite al dettaglio come quelli di oggi (ieri ndr), si preoccupino di come chiudere i negozi, invece di come tenerli aperti». Senza contare che le vendite online, aumenterebbero, sostiene Federdistribuzione. Plaudono invece sindacati e Confcommercio, con i Cobas in prima fila. «La proposta di legge presentata — sostiene Francesco Iacovone della segreteria nazionale Cobas — è chiara nelle intenzioni e soddisfacente per i lavoratori del commercio, che l’hanno salutata in Rete come una vera e propria manna dal cielo». Soddisfatta anche la Cgil. «Una revisione è positiva, sia per i lavoratori, per lo più donne e spesso costrette ad accettare contratti part time dove la domenica è inserita d’obbligo — spiega Maria Grazia Gabrielli, segretari Filcam-Cgil — sia perché i piccoli hanno sofferto, complice la crisi . Perché la concorrenza tra grandi e piccoli non è reale, ma teorica». C’è anche un altro problema che allarma Fipe (Confcommercio) e Cgil. Tutte le proposte di legge presentate in Parlamento lasciano piena libertà su orari e aperture ai centri turistici e alle città d’arte. «E questo non va bene», dicono all’unisono Cgil e Fipe, perché si creerebbe una discriminazione sui territori e una corsa dei comuni a entrare tra quelli turistici. Corsa che già si vede. A calmare gli animi per quella che già si annuncia come una battaglia parlamentare al cardiopalma è la Cei, la Confederazione dei vescovi italiani, intervenuta ieri in tarda serata. Pietro Fragnelli, responsabile della Cei per i temi legati alla famiglia, ha rilasciato una dichiarazione che sposa una politica di mediazione tra chi è a favore della liberalizzazione tout court alla Monti e chi vorrebbe salvare almeno alcune domeniche e festività. «Le logiche commerciali e mercantilistiche — ha dichiarato monsignor Fragnelli — non possono essere considerate alla stregua di servizi essenziali come la sanità, sicurezza o informazione». E poi c’è il tema della famiglia unita nella domenica. Una benedizione, quasi un lasciapassare a chi vuole modificare, addolcendolo, il decreto del 2011. Che in fondo non ha precedenti in Europa e più che nella Ue ci ha proiettato negli Stati Uniti, dove i negozi h24 hanno una lunga storia, ma sono pochi. In Francia, in Belgio, in Germania a una certa ora del giorno le saracinesche vengono tirare giù e riaperte la mattina. Il decreto Monti ha scontentato i piccoli esercenti (usciti a pezzi sia per la crisi sia perché non hanno la possibilità di tourn over dei grandi gruppi) e anche molti lavoratori, costretti a turnazioni massacranti e non sempre pagati di più. Ma la miccia è ormai accesa. E dunque probabilmente si dovrà dire addio a supermercati e centri commerciali aperti 7 giorni su 7, compresi Natale, Capodanno, Ferragosto, Primo maggio e 25 aprile.