Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 12/09/2012
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Il quadro della ripresa autunnale l’avevamo già descritto in occasione della sessione del 2 luglio. L’estate appena trascorsa, che volge al termine, ha ulteriormente confermato le analisi e le previsioni fatte due mesi fa, in alcuni casi aggravando la situazione del Paese e dei nostri settori. Nella crisi che sta attraversando il nostro Paese è fin troppo facile essere profeti di sventura, dato che l’assenza di politiche finalizzate al rilancio della crescita e dello sviluppo non può che generare ulteriore declino economico e sociale, come la stessa previsione di un calo del PIL del -2,6% dimostra.
In questo quadro, rischia di saltare definitivamente la coesione sociale, la fiducia delle persone verso le istituzioni e le forme di rappresentanza sociale ed il dramma, individuale e collettivo, diventa la trama della vita quotidiana. Avevamo denunciato il rischio di una crescente tensione sociale di fronte ad una politica incapace di alimentare la speranza del cambiamento e rivolta a penalizzare prevalentemente la parte più debole della società, in quanto più facile da essere caricata del pesante fardello del rigore. Ciò che è accaduto lunedì a Roma, in occasione dell’incontro al Ministero dello Sviluppo sul futuro dell’Alcoa, può essere assunto come episodio simbolico di una tensione sociale ben più diffusa sotto la superficie della comunicazione da prima pagina ed altrettanto prossima ad una possibile esplosione.
Per questo, nell’esprimere la nostra solidarietà ai lavoratori di quell’azienda, lo facciamo pensando a tutte le altre donne e uomini, tanti nei nostri settori, che sentono avvicinare il loro destino, in alcuni casi già superato, ad una linea di non ritorno. Perdere un posto di lavoro oggi, nonostante esso sia sempre meno retribuito, significa perdere un fondamentale elemento di certezza esistenziale e la distanza che separa disagio – dramma – tragedia si fa sempre più sottile.
Ed altrettanta solidarietà esprimiamo verso i protagonisti incolpevoli dell’altra tragedia, quella che vive costantemente sui mari che separano l’Italia dai paesi dai quali si fugge dalle guerre, dalla povertà, dalle malattie. L’ultima di queste tragedie, con l’affondamento e la morte di alte decine di donne, uomini e bambini deve tenere costantemente sveglia la nostra consapevolezza che la battaglia condotta entro i nostri confini, per un futuro migliore del nostro Paese non può che essere parte di una battaglia di civiltà più ampia, più grande, perché nella crisi globale non c’è nessuno che può realisticamente salvarsi da solo.
Il nostro compito è infondere fiducia alle persone che rappresentiamo e con le quali siamo in contatto tutti i giorni. Per poterlo fare dobbiamo partire dal dire la verità, una verità amara, che ci fa scoprire, giorno dopo giorno, che quella che stiamo vivendo è veramente una crisi che mai avevamo conosciuto e vissuto con tali proporzioni, una crisi che può descrivere una linea di confine tra una epoca che si chiude ed una nuova, per molti versi inedita, che non può essere vissuta con la nostalgia del passato e nell’incapacità di mettere in discussione molte delle certezze acquisite. Molti ferri del mestiere di cui dispone la nostra cassetta degli arnesi mostrano sempre più la loro inefficacia e siamo obbligati ad elaborare idee nuove, ad imboccare vie inesplorate, anche per salvare gli stessi valori universali ereditati dal passato.
La Filcams deve continuare a dire che il mondo del terziario una crisi come questa non l’aveva mai conosciuta e lo deve dire a gran voce perché nella rappresentazione generale questo dato non compare nella giusta misura. Chiunque parli della crisi, chiunque elenchi i tavoli di crisi al Ministero dello Sviluppo, lo fa ancora attraverso una lettura prevalentemente manifatturiera, industriale. Pochi percepiscono la dimensione più ampia della crisi. Ad esempio, pochi sanno che il numero dei lavoratori che rischiano il posto di lavoro all’Alcoa o nelle miniere del Sulcis non è affatto superiore a quelli che rischiano di perderlo in una grande catena alberghiera, che da qualche settimane ha avviato le procedure di riduzione del personale. Eppure, i primi fanno notizia e gli altri no. E la notizia non è generata solo dalla rappresentazione del dramma, che sia la discesa negli inferi di una miniera o la salita su una torre aziendale, ma dal permanere di una cultura dominante che individua solo in alcune direzioni gli ingranaggi del motore economico e produttivo.
Noi dobbiamo rappresentare la crisi del nostro settore, che in queste settimane è ulteriormente peggiorata.
La stagione turistica, quella estiva, di fatto si è chiusa ed è tempo di primi bilanci. Quelli parziali fatti da Federalberghi descrive quella da poco conclusa l’estate più nera del turismo italiano, con una flessione delle presenze del 5% ed un calo del fatturato stimabile intorno al 10%.
Maggiore ottimismo non viene certo dal settore del commercio, con il continuo calo del consumo. Confcommercio ha stimato questo calo nel 3,3% procapite, un dato senza precedenti e più negativo di quello registrato lo scorso anno. Poiché non sono previste inversioni di tendenza, in assenza di misure volte a favorire l’incremento della quota di reddito destinata al consumo, nel settore commerciale complessivamente inteso, quindi le aziende all’ingrosso e quelle di vendita di auto e moto, la cessazione delle attività potrebbe superare il numero di 105 mila e secondo alcuni arrivare a 150 mila, con inevitabili conseguenze sulla tenuta occupazionale.
Né più confortanti sono le notizie che arrivano dalla grande distribuzione, dove la tanto attesa liberalizzazione delle aperture non ha portato un solo vantaggio, ma semplicemente ri-distribuito sul fine settimana il volume della spesa.
Nel settore dei servizi in appalto abbiamo iniziato a contare i morti e i feriti. Le conseguenze della spending review hanno cominciato a farsi sentire, su un settore che già stava leccandosi le ferite, in alcuni casi gravi, della politica di riduzione delle risorse, praticata dal precedente governo.
Ed abbiamo citato i tre principali settori del terziario. Ma se si esclude quello del lavoro domestico, che è dato in crescita, la crisi coinvolge tutti, compreso il settore degli studi professionali. Leggevamo l’altro giorno che nel primo semestre, solo nella provincia di Torino si è arrivati a 2.744 richieste di cassa integrazione per quasi 16 mila lavoratori coinvolti; quasi 9.000 in Piemonte per 35mila lavoratori, 10mila in più rispetto al 2011. Piccoli negozi e studi professionali, uno qui, due lì, un conteggio inesorabile, che alla fine porta a cifre significative.
Di fronte a questo quadro emerge in tutta la sua gravità la mancata estensione degli ammortizzatori a tutti i settori non coperti, cosa che doveva rappresentare uno degli obiettivi qualificanti della riforma del mercato del lavoro e che, invece, non è stato.
Addirittura, proprio in questi giorni si è andata consumando una ulteriore beffa per i nostri settori, che potrebbe tranquillamente essere battezzata come la vicenda degli esodati 2, dato che ha sempre per protagonista l’incompetenza del Ministro Fornero (o il cinismo?). Stiamo parlando degli stagionali e delle loro domande per l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. Secondo la riforma Fornero, quelle persone rischiano di restare fuori, sia dalla vecchia indennità, che dalla nuova mini-aspi, oltre ad avere molte probabilità di prendere meno, data la copertura più limitata del nuovo ammortizzatore (-25% secondo le nostre stime). Oltretutto, stiamo parlando di un settore profondamente colpito dalla crisi, che ha registrato un calo del 20% del lavoro e con un crescente ricorso al lavoro a chiamata, con conseguente incremento della precarietà (a proposito dell’altro obiettivo della riforma, che doveva essere la riduzione della precarietà).
Queste cose noi dobbiamo rappresentare con forza, perché un conto sono le chiacchiere ai tavoli delle conferenze stampa che presentano le cosiddette riforme di struttura, altro è la carne viva delle persone e le vicende che si concretizzano, quelle che abbiamo subito denunciato al momento della riforma e non per fazioso ideologismo, ma per il semplice fatto che la nostra funzione ci mette in diretto contatto con la realtà e sappiamo bene come vanno realmente le cose.
La richiesta di estendere e rendere universale il sistema degli ammortizzatori deve restare il primo obiettivo della Filcams in questa fase di crisi, poiché la stessa rischierebbe di generare grane e grave tensione sociale tra le persone private del lavoro e di ogni forma di sostegno.
In questo quadro si colloca la questione dei fondi di solidarietà previsti dalla stessa riforma.
E’ del tutto evidente che noi respingiamo l’idea che questi fondi possano rappresentare la liquidazione del sistema universale delle tutele, una alternativa affidata alla funzione delle parti sociali, attraverso la bilateralità. Ciò sarebbe profondamente iniquo, oltreché poco praticabile, data l’inconsistenza delle risorse a disposizione o che potrebbero essere mobilitate attraverso le imprese. Le imprese, dal canto loro, non intendono certo caricarsi di oneri aggiuntivi per sostituire lo Stato e tutto ciò che verrebbe loro richiesto non potrebbe che ricadere sulla contrattazione, chiudendo ogni ulteriore margine all’azione per rivendicare nuovi progressi a livello economico e normativo.
Altra cosa è sostenere che la crisi del lavoro deve essere accompagnata da un intervento che metta in connessione il sostegno al reddito, che deve essere garantito dal pubblico, con i processi di riqualificazione professionale, necessari per favorire processi di mobilità e di innovazione tecnologica delle imprese.
Se l’operazione che ha in mente il governo è quella di saccheggiare i fondi interprofessionali (0,30%), aggiungendo quello che può venire dagli enti bilaterali, per pagare quel poco di ammortizzatori che lui non è in grado di pagare, magari dando alle parti sociali il contentino della gestione attraverso la bilateralità, noi non potremo assecondare questo disegno e continueremo a combatterlo.
Altra cosa è individuare una connessione coerente tra le attività che può mettere in campo la bilateralità, sul terreno della formazione e dell’orientamento professionale, con quella dei fondi interprofessionali, nei momenti in cui la lavoratrice ed il lavoratore subiscono un periodo di distacco dall’attività lavorativa, ma che deve essere tutelato da un sistema universale di sostegno al reddito.
Con questo approccio noi dobbiamo andare alla discussione sull’applicazione di questa norma, senza disertare il confronto che si aprirà, primo, perché passati i sei mesi previsti dalla legge il Governo deciderà, prendendo poi quello che verrà; secondo, perché sarebbe veramente paradossale che gli altri facessero senza di noi, facendoci passare per quelli che non sono disponibili a offrire risposte ai lavoratori in tempo di crisi.
Per queste ragioni dovremo presentarci alla scadenza dei contratti da rinnovare, nelle prossime settimane, con una proposta coerente su questo punto.
Ma per la Filcams non sarà possibile rappresentare con forza ed efficacia la crisi dei propri settori, rivendicando maggiori attenzioni ed interventi, senza rilanciare con grande credibilità una iniziativa sul futuro del terziario. Il collegamento è d’obbligo: che sbocco potrà avere la vertenza NH Hotel se in Italia non vi sarà futuro migliore per il settore del turismo; come potremo affrontare e contrastare le ricette della GDO se non definiremo quali nuove strategie dovrà seguire il settore del consumo e della distribuzione; come potremo combattere le conseguenze della spending review se non definiremo i nuovi confini tra pubblico e privato nel settore dei servizi.
Certamente non potrà esistere una contestualità, un automatismo, perché i tempi delle vertenze non coincidono del tutto con quelli delle nuove politiche da metter ein campo. Ma è altrettanto evidente che senza nuove politiche di sviluppo del terziario tutte le vertenze saranno solamente partite a perdere!
Allora, questa è la fase nella quale la Filcams deve rilanciare, aggiornandola, la propria proposta sul futuro sostenibile del terziario, facendola diventare politica dell’intera Confederazione e dobbiamo farlo in queste settimane, in questi pochi mesi che porteranno la Cgil a definire meglio, in occasione della Conferenza di Programma, la proposta di un nuovo piano per il lavoro. Quel piano deve descrivere la cifra dello sviluppo italiano, la carta d’identità di un Paese che deve tornare a competere, oltre il galleggiamento. Dobbiamo dire su cosa scommette l’Italia, in che cosa possiamo superare gli altri e non è particolarmente difficile, dato che sono gli stessi nostri competitori a dircelo. Quando parliamo del turismo –ad esempio- lo facciamo guardando al fatto che gli stessi dati della crisi confermano che il flusso degli stranieri è quello che ha evitato di rendere ancora più drammatico il bilancio negativo. Gli stranieri continuano a venire in Italia e lo fanno perché il prodotto italiano è unico al mondo in questo campo. Inoltre, il settore turistico si presenta come una delle politiche più interdisciplinari. Investire sul turismo significa investire su una robusta industria, su una nuova industria alberghiera e non solo. Significa investire sulle infrastrutture, nel settore del recupero e della valorizzazione del patrimonio culturale; significa investire sulle città, sui centri storici, sulle politiche ambientali. E tanto altro….(basterebbe guardare i dati sul successo delle produzioni gastronomiche locali).
Questo non significa contrastare o combattere una visione industrialista. Lo abbiamo detto e ripetuto, non può esistere un terziario qualificato senza una solida base produttiva, senza una forte economia industriale. L’illusione del ruolo sostitutivo è svanita da tempo. Il discorso è un altro: vinciamo con l’auto o con il Colosseo? Possiamo sconfiggere la Germania con la Fiat (sempre meno italiana) o con la torre di Pisa ed il pecorino di Pienza? E’ chiaro che dobbiamo batterci per avere un settore auto competitivo, non certamente quello che Marchionne ha disegnato finora. Ma l’Italia non vince con la Fiat, né, probabilmente, con il carbone.
Si tratta, dunque, di disegnare un profilo dello sviluppo che non escluda, ma che sappia individuare i punti di forza, le scelte strategiche. Questa discussione è difficile, perché l’istinto conservativo porta ognuno di noi a difendere il proprio orticello. Ognuno pensa di rappresentare l’indispensabile, negandosi ad una lettura obiettiva della realtà ed al coraggio di battere vie sconosciute o semplicemente declamate.
Arriveremo alla Conferenza di programma della Cgil, rilanciando e aggiornando la nostra proposta sul settore terziario, offrendolo come terreno perché la Confederazione, nel suo insieme, sia in grado di spostare il proprio baricentro culturale e la propria capacità di proposta e di iniziativa.
Ed è necessariamente in questo quadro che dobbiamo e possiamo collocare la nostra azione sui punti di crisi e sulla prossima stagione contrattuale.
Se vale per l’azione del governo che al tempo del rigore è necessario sovrapporre quello della crescita e dello sviluppo, vale anche per noi. Come ho già detto, la risoluzione di una vertenza è non poco condizionata dalle prospettive che quell’azienda ha di stare sul mercato, se un mercato c’è.
Nel frattempo, però, dobbiamo gestire molte vertenze, punti di crisi, contrattazione di secondo livello per rinnovo dei Cia. Siamo di fronte alle note ricette, riduzione del costo del lavoro, realizzato attraverso diverse strade, dalla continua esternalizzazione delle funzioni negli alberghi, alle disdette degli accordi aziendali, per non pagare più le maggiorazioni del lavoro domenicale, data l’inconsistenza dei vantaggi prodotti dalle liberalizzazioni. Più recentemente si è aggiunta la disdetta minacciata da parte di Angem della parte del contratto che riguarda il cambio d’appalto, per cancellare la clausola sociale, nel momento in cui viene rilanciato alla grande il massimo ribasso.
E’ fin troppo evidente che la scelta è di caricare sul fattore lavoro l’onere principale della crisi, anche perché nulla viene dal Governo, nulla viene dai mercati, quindi, il lavoro resta l’ambito di più facile e sicuro intervento.
E’ chiaro che noi opporremo resistenza, tutta quella che saremo in grado di opporre, con grande realismo, perché le difficoltà che incontriamo le conosciamo bene. Siamo un settore dove lo sciopero è facile dichiararlo, molto di più farlo, per ragioni che conosciamo bene.
Dobbiamo stare ai tavoli di crisi e a tutti quelli aperti dalle disdette operate o per i rinnovi degli integrativi con l’obiettivo di individuare compromessi accettabili, equi, in una fase come questa. Evitiamo il gioco tra noi a fare i “pierini” della situazione. C’è sempre qualcuno che pensa si possa fare meglio o di più, che si premura sempre di segnare con la matita rossa gli errori commessi. C’è sempre qualcuno che sa come vincere la partita, magari stando seduto di fronte al televisore. Giocare in campo, poi, è altra cosa.
E’ chiaro che il nostro obiettivo è la difesa dei diritti e delle condizioni, a rischio di arretramento, sia economico che materiali (sicurezza). Ed è altrettanto chiaro che ognuno cercherà di perseguire questo obiettivo misurandosi con la specificità della vicenda. Gli accordi che dovremo realizzare non potranno essere tutti uguali. Quello che vogliamo dire è che dovranno essere legati da un filo rosso. Occorre che tutto il gruppo dirigente Filcams, dai dirigenti, ai delegati, sappia che ogni partita che si gioca fa parte di una battaglia più generale e a ognuno è richiesto di guardare un po’ più in là del proprio naso. Quello che si gioca su ogni tavolo, da quello più piccolo a quello più grande, non potrà non avere ripercussioni sull’intera categoria. Soprattutto se il rapporto negoziale lo abbiamo con le grandi catene aziendali.
Ogni accordo può fare giurisprudenza ed è necessario, soprattutto a fronte di scelte difficili, che rischiano di andare oltre la soglia di tolleranza definita dalle scelte dell’organizzazione, il massimo coinvolgimento dei gruppi dirigenti. Non possiamo scoprire casualmente accordi discutibili sul piano del merito, perché questo metterebbe in difficoltà altri settori dell’organizzazione. E’ preferibile scegliere insieme le cose complesse e difficili, perché questo produce consapevolezza e solidarietà. La coesione del gruppo dirigente è fondamentale per mantenere la fiducia sulle possibilità dell’intera organizzazione, di affrontare la situazione difficile che stiamo attraversando ed è l’ultima cosa che possiamo perdere.
Lo dico guardando anche alla stagione contrattuale che si avvia e a quella che non riusciamo ancora a concludere.
Sul Ccnl della vigilanza abbiamo già discusso e non voglio ripetere cose già dette. La cosa che non possiamo più accettare è di mantenere questa vicenda in un limbo infinito. Siamo arrivati al punto che quel tavolo deve chiudere o prendendo atto che quel contratto non si può più fare, aprendo, quindi, una fase nuova, nella quale dovremo costruire nuovi riferimenti contrattuali, anche in relazione all’evoluzione che l’intero settore sta vivendo.
La cosa che voglio dire, con estrema chiarezza, è che questo gruppo dirigente non merita di essere preso in giro, né di non essere rispettato. Della vertenza contrattuale abbiamo discusso in tutte le sedi, compreso, il Direttivo, abbiamo sempre fatto tutte le scelte insieme, a partire dal coordinamento vigilanza. Abbiamo assunto impegni e abbiamo promosso iniziative, in modo democratico, leale e trasparente.
Alcune cose che si sono lette sulla rete in queste settimane sono inaccettabili, soprattutto quando coinvolgono delegati e dirigenti di questa organizzazione che hanno vissuto tutti questi passaggi, riconoscendo in questa stessa sede l’impegno profuso dalla struttura nazionale. Leggere l’impegno della segreteria in questa fase del negoziato come propedeutico ad un tranello è sinceramente vergognoso oltreché ingeneroso. E’ un modo di stare dentro l’organizzazione che non appartiene alla nostra cultura e che non fa bene a coloro che si vorrebbe rappresentare.
Si possono criticare le strutture Filcams dello scarso impegno, se così è stato, dove è stato, ma non si può inquinare lo sforzo complessivo che abbiamo messo in questa vicenda con assurdi processi alle intenzioni. Tanto meno è ammessa la demagogia. Si dica cosa dobbiamo fare, dopo aver dichiarato più volte che metteremmo in campo anche iniziative eclatanti. Si dica quali, si dica quale prospettiva indichiamo ai lavoratori del settore, se non riusciremo a sbloccare il tavolo? Lo sciopero permanente? Si venga qui e lo si dica. Se non è questo si dica altro! In ogni caso, la discussione è solo rimandata, perché nei prossimi giorni avremo nuovi passaggi con alcune controparti, per verificare se esiste la possibilità di immaginare una qualche conclusione della vertenza. Se non sarà così, questo organismo tornerà a discutere della vicenda e deciderà come prefigurare la nuova fase che dovremo aprire, senza il contratto rinnovato.
La prossima sessione del Direttivo dovrà approvare formalmente le piattaforme per il rinnovo dei Ccnl del turismo, del multi servizi e acconciatura ed estetica.
Sul turismo abbiamo già avviato il lavoro per la stesura della piattaforma. Lo stesso lavoro partirà nei prossimi giorni per i multi servizi. Per l’acconciatura la piattaforma è più facilmente definibile.
Ho già detto del contesto nel quale caleranno questi contratti, che ci porta a dire che sarebbe già un ottimo risultato se riuscissimo ad evitare di restituire pezzi significativi di ciò che già abbiamo. Evitiamo però una discussione manichea e strumentale tra contratti restituivi ed acquisitivi. Sappiamo in quale situazione siamo e dobbiamo provare a difendere i diritti e a migliorare le condizioni economiche e di lavoro in piena recessione.
Sul percorso non posso che ribadire le scelte della nostra organizzazione. Le nostre piattaforme saranno approvate dal direttivo e portate alla consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Ciò avverrà indipendentemente dalle scelte di Fisascat e Uiltucs, con le quali ci confronteremo sulla possibilità di definire piattaforme unitarie. Il clima dei rapporti è sicuramente caratterizzato da un clima diverso da quello nel quale sono state generate le rotture, un clima caratterizzato dalla consapevolezza che ulteriori divisioni non potrebbero che peggiorare il risultato finale della stagione contrattuale.
Tuttavia, al di là della buona volontà espressa nei primi approcci, restano le questioni di merito sulle quali le posizioni non sono cambiate. E’ chiaro che se gli altri vorranno assumere come riferimento formale delle piattaforme i contenuti dell’accordo del 2009 sul modello contrattuale, al quale la Cgil non ha aderito, va da sé che non faremo piattaforme unitarie. Stessa cosa dicasi per il collegato sul lavoro, a partire dall’art.8 che la riforma Fornero non ha cancellato.
Le piattaforme unitarie dovrebbero prevedere anche una intesa minima sulle regole. Il nostro settore non è interessato all’accordo del 28 giugno, poiché siglato con la sola Confindustria. Abbiamo chiesto alla Confederazione di verificare rapidamente se Rete Impresa Italia è disponibile a fare una cosa analoga per i settori di competenza, ma sarà difficile che ciò avvenga, non solo perché un po’ fuori tempo massimo, ma per il fatto che questo mondo non vive un momento troppo felice. Basti pensare, ad esempio, che la stessa Confcommercio è attraversata dalla scissione di Federdistribuzione, che difficilmente sarà recuperata, prefigurando così la possibilità di dover realizzare un ulteriore contratto nel settore distributivo.
Chiederemo a Fisascat e Uiltucs la disponibilità a definire un minimo di regole, soprattutto per la fase stringente del negoziato, per evitare il ripetersi di quanto avvenuto nel settore terziario distributivo. Non sarà facile, ma dovremo farlo, poiché ciò rappresenta una condizione indispensabile per poter presentare piattaforme condivise.
Sul merito, le strutture hanno avviato una riflessione sul contenuti del documento preparatorio alla piattaforma turismo. In esso si definiscono le linee lungo le quali sviluppare le nostre rivendicazioni, dalla tutela del lavoro nei processi di esternalizzazione, alla contrattazione di secondo livello al tempo della crisi; dalle politiche della conciliazione dei tempi ai processi di qualificazione del lavoro, attraverso la formazione e la sicurezza; dai diritti alla qualificazione del welfare contrattuale e della bilateralità; ovviamente, la difesa del potere d’acquisto per provare ad invertire la riduzione progressiva dei redditi da lavoro.
Sulla bilateralità ed il welfare contrattuale dovremo dedicare sempre maggiore attenzione, sia per i nuovi compiti che derivano dalla riforma, nostro malgrado, sia per il fatto che la gestione di un sistema integrativo di assistenza sanitaria è cosa che richiede sempre meno approssimazione e dilettantismo. Dobbiamo parlarne sempre più con cognizione di causa, evitando di improvvisarci ad ogni piè sospinto esperti di materie che richiedono ben altre competenze. Per fare questo abbiamo previsto alcune sessioni di approfondimento dei problemi connessi al nostro sistema complessivo di assistenza sanitaria, per capire cosa ne pensano le lavoratrici ed i lavoratori, quali domande dobbiamo soddisfare, quali sono le dinamiche che mettono in relazione prestazioni e contribuzione, per evitare rischi di default dovuti a scarsa consapevolezza della complessità di questa esperienza. E proponiamo di farlo con un approccio obiettivo e possibilmente il più laico possibile. Non è in discussione tra noi la scelta tra welfare pubblico o privato, il tema è un altro, se nella battaglia per difendere e riconquistare un sistema universale di tutele, le esperienze prodotte dalla contrattazione debbano vivere o morire e se debbono vivere, come devono vivere.
La realtà è che avendo messo in campo questi strumenti oggi non possiamo stare fermi, o si torna indietro per smontare quello che abbiamo fatto, oppure, ci assumiamo responsabilmente l’onere di evitare che essi diventino un boomerang pericoloso, sia sul piano finanziario, che dell’autonomia contrattuale.
E lo stesso vale di fronte alle suggestioni sacconiane e, poi, forneriane di una bilateralità sussidiaria e miracolosa.
Con tutto questo bagaglio di idee e di lavoro staremo dentro il programma di mobilitazione deciso dalla Cgil all’ultimo Direttivo Nazionale.
Alle problematiche fin qui sottolineate, vorrei aggiungere che su alcune di essere la nostra iniziativa dovrà essere il più stringente possibile.
Sono già partiti i primi confronti con Comuni e Regioni sulle conseguenze della Spending Review, che vedono coinvolte le categorie pubbliche. Noi siamo completamente assenti da questi confronti e rischiamo di veder cancellato il pezzo di mondo che rappresentiamo. Occorre chiedere alle confederazioni regionali e alle camere del lavoro di essere rappresentati in questi confronti. Al tempo stesso, chiederemo alla Confederazione di promuovere, possibilmente il prossimo mese, una iniziativa nazionale sul tema degli appalti, che dia seguito alla iniziativa da noi organizzata con le sei categorie.
Dobbiamo rilanciare l’iniziativa contro le liberalizzazioni, anche a fronte del fallimento che esse hanno prodotto nel settore. Novembre dovrebbe essere il mese della tanto attesa sentenza della Corte Costituzionale e dobbiamo ri-agitare le acque, anche a fronte del nuovo fermento che le polemiche di ferragosto hanno prodotto ed in vista del periodo natalizio.
Ho già detto di Federdistribuzione e della possibilità che si apra un nuovo fronte contrattuale. Per questo abbiamo avviato un lavoro specifico sulla GDO, che sarà propedeutico al tentativo di trovare risposte specifiche alle sfide che quel settore ci ha lanciato.
Domani e venerdì la Cgil terrà la Conferenza sul Mezzogiorno. Andremo portando una riflessione che la Filcams ha avviato in questi mesi, in un’area del paese dove la desertificazione sta minacciando la GDO, con le stesse nefaste conseguenze di una crisi del turismo che non riesce a valorizzare importanti risorse del Sud.
Sarà l’autunno nel quale cercheremo anche di capire quali strade vorrà battere la cooperazione. La scorsa settimana è stato firmato l’accordo integrativo di Unicoop Firenze: segnale di inversione di tendenza sui tavoli aperti, oppure, eccezione. Propendiamo più per la seconda lettura e questo ci induce a incalzare il settore della cooperazione sulle scelte strategiche che prefigura per il proprio futuro a breve e medio termine.
E’ partita la sanatoria degli immigrati e tutte le strutture Cgil metteranno a disposizione i propri servizi. Per la Filcams una occasione importante per promuovere ulteriormente il progetto di insediamento nel settore delle colf e delle badanti, considerato uno dei pochi che non conosce la crisi.
Insomma, abbiamo molti fronti da presidiare e dovremo farlo continuando a rivendicare un crescente coinvolgimento della Cgil, perché molte delle nostre non sono problematiche della sola categoria.
Anche per questo abbiamo avviato una importante riflessione sulle nostre politiche organizzative, che ci porterà a svolgere alla fine di novembre la nostra assemblea organizzativa, che abbineremo alla conferenza di programma. La politica è il fine, l’organizzazione il mezzo per raggiungerlo e noi dobbiamo connettere coerentemente fine e mezzi. La Filcams è una categoria sostanzialmente povera, perché rappresenta il lavoro povero, dal punto di vista del riconoscimento economico, non certo da quello professionale.
Per questo è giusto decidere una intelligente distribuzione delle risorse di cui disponiamo e pretendere che la Cgil faccia altrettanto, oltre la logica della media del pollo.