Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 14-15/11/2011 - Prima Parte
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Punto primo: Proposta di documento politico Filcams
Arriviamo a questo appuntamento con qualche mese di ritardo sulla tabella di marcia che ci eravamo dati nell’ottobre dello scorso anno, quando, eleggendo la segreteria che definimmo “di transizione”, assumemmo l’obiettivo di fissare entro l’estate di quest’anno una sessione programmatica del Direttivo Nazionale, che facesse una verifica sul mandato congressuale e, nell’occasione, procedere al completamento della segreteria stessa.
Questo ritardo, che è tuttavia di pochi mesi, ha una unica spiegazione e la si può trovare in tutto ciò che ha caratterizzato la vita della nostra categoria in questo anno. Innanzitutto, le difficoltà che hanno accompagnato la trattativa per il rinnovo del principale contratto di settore e le conseguenze successive all’accordo separato, che ci hanno impegnati sia in termini di dibattito, che di iniziativa. Difficoltà che hanno lambito anche gli altri tavoli contrattuali, alcuni dei quali, non a caso, sono ancora in affanno e dagli esiti incerti.
Ma non sono state solo le vicende di categoria. Il 2011 è stato anche un anno di forte mobilitazione della Cgil contro le politiche del governo di centro-destra e la Filcams è stata come mai in prima fila in questa mobilitazione, conquistando un nuovo protagonismo in ognuna delle iniziative che hanno riempito l’agenda della Confederazione.
Per questo, voglio ancora ringraziare, a nome della segreteria e di tutta la struttura nazionale, tutti i gruppi dirigenti, regionali e provinciali, per l’impegno profuso in questa fase complessa, per la passione e l’abnegazione con la quale si sono potute scrivere pagine nuove nell’esperienza collettiva di questa categoria, esperienza che sarà preziosissima per affrontare un’altra stagione politica e sindacale che si annuncia non meno complessa di quella che abbiamo alle spalle.
Naturalmente, è difficile oggi contenere una grande soddisfazione per la fine del Governo Berlusconi. Sappiamo che ad essa non corrisponde né la fine del berlusconismo, tanto meno l’automatica discontinuità nelle politiche economiche e sociali di questo Paese. Ma per la nostra Confederazione, che nel corso della lunga mobilitazione di questi mesi aveva posto la necessità che questo governo, da sempre ispirato alla divisione sindacale e all’isolamento della Cgil, uscisse di scena, come pre-condizione per avviare un processo di ricostruzione, è senza dubbio una grande soddisfazione, una speranza, che starà anche a noi cercare di non disperdere.
Tuttavia, prima di entrare in merito alle nostre questioni, sentiamo l’obbligo di rivolgere il nostro pensiero e la nostra solidarietà alle popolazioni colpite dalle tragiche alluvioni che hanno devastato interi territori della nostra penisola, in particolare la Città di Genova (ma non solo). Lo stesso pensiero e la stessa solidarietà va alle nostre strutture, che operano in quei territori, rinnovando la disponibilità della Filcams a contribuire nelle forme che più saranno ritenute opportune, all’opera di ricostruzione.
La meteorologia può certamente riservare fenomeni eccezionali, come quelli che si sono verificati in quelle ore a Genova. Tuttavia, ciò che rende l’eccezionalità del meteo una bomba devastante è spesso la mano dell’uomo, per le ferite, spesso mortali che la sua opera ha inferto all’ambiente ed al territorio.
Questa è forse una delle immagini più espliciti del malgoverno e del fallimento di politiche decennali. Certamente, non è sempre tutta colpa di Berlusconi, perché il territorio violato dalla speculazione, dall’incuria e dall’abbandono è frutto di un processo che avanza da molti decenni e coinvolge tutta la politica.
Indubbiamente, la politica di questi ultimi vent’anni, che ha fatto dei condoni e delle liberazioni, finalizzate al “fai da te” la bussola ispiratrice della cancellazione di norme, appunto abolite o semplicemente calpestate, ha dato il colpo di grazia ad un corretto uso programmato della risorsa fondamentale di cui disponiamo. Nella parabola di Berlusconi, mancava solo la sua sarcastica dichiarazione di fronte alla tragedia di Genova (“si è costruito dove non si doveva”). Detta da chi ha costruito le proprie fortune partendo dalla speculazione edilizia è stato davvero troppo, era giusto che se ne andasse….
Le modalità di svolgimento di questi nostri lavori sono un po’ inediti rispetto alla tradizione.
Quando abbiamo eletto la segreteria di transizione, lo scorso ottobre 2010, avevamo preso l’impegno di giungere al suo completamento in una sessione del Direttivo che definimmo di natura “programmatica”, ossia, una verifica impegnativa del lavoro fatto in questi primi diciotto mesi che ci separano dal congresso ultimo e, soprattutto, un aggiornamento della nostra piattaforma politica, soprattutto alla luce di quanto è accaduto dopo il congresso, che ci fa apparire il congresso ben più lontano nel tempo rispetto alla distanza reale.
Abbiamo deciso di farlo, sperimentando una modalità, che potrebbe costituire uno dei modi per rendere i lavori di questo organismo, più efficace e corale.
Ci siamo proposti più di una volta di riflettere sulla qualità dei nostri lavori e sulla necessità di avvicinare la fase della progettazione sindacale a quella della verifica e del monitoraggio. Ed al tempo stesso, ci siamo interrogati sulla opportunità che ogni componente del direttivo possa arrivare agli appuntamenti con maggiore cognizione di causa, conoscendo già, quando è possibile, la sostanza delle questioni che saranno discusse, al fine di poter prepararsi per tempo. E prepararsi per tempo significa pensare, riflettere, proporre, argomentare.
Voglio ricordare a tutti noi che ogni componente del direttivo, anche in virtù del fatto che “una testa, un voto”, ha una testa ed è quella che conta. E’ vero che qui, ognuno di noi è presente anche in quanto categoria, donne-uomini, maggioranze-minoranze, nativi-stranieri, giovani-meno giovani, generali-delegati, territori e strutture, ecc…
Ma ognuno di noi ha anche una testa, un cervello, vive una propria esperienza, ed indipendentemente dal fatto che dovrà o potrà ricercare una sintonia, una coesione con le proprie categorie di appartenenza, deve soprattutto e prima di tutto mettere a disposizione la risorsa primaria del proprio pensiero e della propria assunzione di responsabilità.
Per questo, vi abbiamo inviato in anticipo la bozza del documento della segreteria e della struttura nazionale (Tra l’altro, alcune strutture hanno accolto la richiesta di far pervenire entro oggi questi contributi, per cui, parti del testo che avete ricevuto ha subito qualche modifica ed integrazione, di cui vi darò conto), che contiene una proposta di verifica e ri-contestualizzazione del documento uscito dal congresso, proprio in ragione del fatto che, strada facendo, molte cose sono accadute, che richiedono di aggiornarne la visione.
Questo potrà consentire di fare un dibattito il meno rituale e liturgico possibile, dedicare gli interventi a proposte di modifica, di integrazione, a suggerimenti utili, evitando di consumare la nostra discussione nella ennesima storia del mondo.
Del resto, non siamo stupiti del fatto che, in alcuni contatti già avuti con strutture o singoli componenti del direttivo, oltre ad aver ricevuto l’apprezzamento per questo tentativo metodologico, abbiamo anche già registrato significative convergenze.
Il documento, infatti, non rappresenta altro che il tentativo di portare a sintesi il costante aggiornamento politico che questo organismo ha fatto nel corso di questi mesi, soprattutto sui temi della contrattazione. Non è che ci siamo salutati al congresso e poi non ci siamo più rivisti fino ad oggi. Questo organismo ha seguito “passo-passo” le vicende di questi mesi e ha costantemente aggiornato la linea della Filcams.
Si tratta, dunque, di produrre una sanzione sistematizzata del nostro lavoro di costante aggiornamento, per questo inviterei a contribuire dedicando meno tempo alle conferme di condivisione ed un po’ di più al superamento di limiti che la stessa versione a voi inviata esprime e che già ci sono state evidenziate nel corso di questi ultimi giorni.
Naturalmente, sarà compito della segreteria, nelle conclusioni di questa prima parte della discussione, proporvi una sintesi definitiva (non siamo al congresso, dove facciamo lavorare una commissione politica…)
L’ultima considerazione, prima di passare ad alcune sottolineature di merito, riguarda il nesso tra documento e segreteria.
Il lavoro di aggiornamento politico-programmatico, attraverso il documento politico, avremmo dovuto farlo indipendentemente dal completamento della segreteria. Tuttavia, esso si rende ancora più necessario, poiché ad esso affidiamo anche il compito di rinnovare le basi politiche del patto unitario che ha seguito la conclusione del congresso.
Come voi sapete, l’esperienza della Filcams è incardinata sulla scelta della gestione unitaria e la composizione della segreteria che domani sarà oggetto dei nostri lavori, attraverso la procedura prevista dal regolamento, dovrà decidere se confermare tale scelta. Poiché trattasi di una scelta eminentemente politica, la sua riconferma non può avvenire che sulle basi di un rinnovato patto politico. Per questa ovvia ragione abbiamo proposto una tempistica che antepone l’approvazione del documento alla proposta per la segreteria, che avanzerò a nome della segreteria in carica un minuto dopo il voto sul documento.
Naturalmente, il tema che in modo dirompente è entrato nella vita della Filcams in questi mesi, riguarda le conseguenze sulla categoria della stagione di divisioni sindacali, che ha conosciuto nell’accordo separato del 22 gennaio 2009 il salto di qualità, poiché parte di una trama ordita oltre il mondo sindacale. Ed è questa la principale delle considerazioni che intendevo fare.
Al congresso discutemmo di questo e auspicammo che il settore terziario non venisse contagiato da quella dinamica negativa.
Il rinnovo del Ccnl Turismo, concluso unitariamente, ci aveva dato l’illusione che il nostro settore potesse uscire immune dalla tempesta, attraverso un lavoro paziente per la ricerca di compromessi sostenibili tra posizioni sempre più inconciliabili. Dare fondo all’arte della mediazione per la ricerca dei giusti compromessi e ridimensionare la portata delle nostre rivendicazioni, anche in ragione della crescente crisi economica del paese e dei suoi effetti sul terziario era la linea sulla quale avevamo capito era opportuno attestarsi di fronte ai seri rischi che correvamo.
La rottura sul terziario ha avuto il significato di una invasione del nostro territorio da parte delle armate che, dopo il collegato sul lavoro, avevano deciso di rompere gli indugi e deporre i panni dei “non allineati”.
In un settore come il nostro, la risposta più intelligente non avrebbe potuto che essere quella di agire su entrambi i fronti, disconoscere l’accordo separato e continuare a presidiare l’intero fronte della contrattazione, compreso il sistema della bilateralità e del welfare integrativo, dove la nostra emarginazione avrebbe potuto alimentare spinte ulteriori allo snaturamento della loro funzione.
Credo non occorra stare 10 anni in Filcams per capire che la scelta delle barricate o dell’Aventino, ci avrebbe potuti portare dritti-dritti ad un perfetto isolamento, non disponendo di quella potenza di fuoco necessaria per combattere fino al rovesciamento del fronte. Del resto, avremmo forse regalato su un piatto d’argento ciò che gli altri cercavano, cioè, la nostra emarginazione.
Ed infatti, il nostro stare in campo sul secondo livello di contrattazione, a partire dal rinnovo degli integrativi di importanti catene distributive, nella gestione della bilateralità e del welfare contrattuale secondo quando stabilito dall’accordo sulla governante, è stata la più efficace interposizione al disegno di chi ci voleva fuori da tutto.
Questo ha significato ricercare un giusto equilibrio tra la via giuridica e quella sindacale, per ostacolare gli effetti del contratto separato, una cosa non semplice da fare, perché la categoria non si era mai trovata in una situazione come questa, neanche lontanamente paragonabile alla vicenda del 2008. Per questo, lasciamo ai primi della classe il compito di risolvere il problema senza commettere neanche un errore. Visioni velleitarie e grottesche non appartengono a questo gruppo dirigente, come neanche deformazioni e strumentalizzazioni della realtà.
In questi mesi abbiamo all’attivo decine di accordi di disapplicazione totale o parziale del contratto separato. Così come consideriamo importante che il nostro stare in campo anche sui terreni che non abbiamo condiviso, come quello dei 2 euri di prelievo forzoso ai lavoratori, per la sanità integrativa (stare in campo nel senso di rivendicare nei fondi sanitari coerenza con il primato delle prestazioni), abbia indotto gli altri, ad esempio, ad anticipare l’equiparazione dei trattamenti del part-time al full-time.
Ma siccome siamo persone con i piedi per terra, sappiamo che gli accordi di disapplicazione, pur importantissimi, non potranno che coprire una esigua realtà e, guarda caso, prevalentemente alcune realtà geografiche.
C’è tanta parte d’Italia dove siamo molto più deboli e poi c’è il mondo della GDO, che ha voluto questo contratto separato, dove pretendere la sua disapplicazione è puro velleitarismo.
Anche nelle importanti catene distributive puntiamo ad evidenziare l’obiettivo Filcams del recupero dei punti negativi del Ccnl separato e diventa importante a questo fine riuscire a coordinare e riunificare la nostra iniziativa in questo mondo.
Ma non esiste un unico modo, perché le situazioni sono molto diverse tra loro. In alcuni casi il prezzo della coerenza non può che essere la presentazione di piattaforme separate, in altri può risultare più opportuno, più intelligente fare altro.
Non è la matita rosso-blu (che non intendiamo consegnare a nessuna mano, se non quella di questo gruppo dirigente) a decidere la bontà degli approcci, quanto la sapiente ed intelligente capacità di ogni dirigente Filcams nel saper valutare le condizioni date.
Non c’è niente di rivoluzionario in questa affermazione, ma semplicemente una norma di buon senso, quella che la Cgil ha sempre adottato nei suoi 100 anni di storia. Tant’è che questa linea l’abbiamo discussa e decisa tutti insieme, fin dal primo giorno, è quella che ha ricevuto il sostegno unanime di questo gruppo dirigente ed è quella che oggi ribadiamo nel documento.
Naturalmente, il fatto che gli effetti dell’accordo separato si comincino a vedere sulle buste paga delle lavoratrici e dei lavoratori (carenza malattia, prelievo forzoso per la sanità), ci obbliga ad una gestione più chiara delle fasi successive a quella delle diffide aziendali. Ma anche qui, non possiamo che ribadire quanto già deciso unitariamente, fin dall’inizio. La scelta di mantenere un equilibrio tra via legale e sindacale è quella che ci porta a non poter promuovere campagne nazionali, che diventerebbero l’unico terreno sul quale rischieremmo di esaurire la nostra funzione. Tuttavia, abbiamo deciso di coordinare tutte le cause che a livello individuale o di gruppo, le lavoratrici ed i lavoratori volessero promuovere. La cabina di regia, dopo un lungo confronto con l’Ufficio Giuridico della Cgil è stata allestita, si tratta, quindi, di essere conseguenti con questa scelta, a fronte delle volontà espresse dai lavoratori là dove esse si manifestino.
Così stanno le cose! Questa linea può essere perfezionata, migliorata, rafforzata, siamo qui per questo. Ma a nessuno è consentito di stravolgere il significato del lavoro che ognuno di voi sta facendo nelle trincee che vi vedono impegnati. Quando sento dire o leggo che la linea della Filcams sul contratto separato è alla deriva, che stiamo andando dritti-dritti alla firma di quell’accordo, considero questa affermazione, oltreché una colpevole menzogna, una vera e propria fandonia, anche una mancanza di rispetto per il vostro lavoro, una offesa alla categoria, alla passione ed alla tenacia con la quale in ogni situazione ognuno di voi cerca di reggere il pallino (Piero Marconi e le degenerazioni).
Lo dico perché non sono più tollerabili le scorribande verbali che poco hanno a che fare con un confronto tra posizioni obiettive, ancorate alla realtà e che hanno quale unico risultato quello di indebolire la categoria. Un conto sono le opinioni, un conto è la realtà e la realtà non è cosa opinabile!
Il tema è se le opinioni diverse che abbiamo su alcune questioni che ci vedono impegnati possono convivere dentro una sintesi che assuma quale valore prioritario l’interesse della categoria e non quello delle nostre singole appartenenze o storie individuali. E dentro le sfide che ci stanno davanti, credo che l’interesse della categoria sia tirare tutti da una parte, spingere il nostro lavoro nella direzione di un protagonismo della Filcams, che assuma la palestra quotidiana della crisi e della contrattazione, invece che la polemica accademica, quale unico terreno vero per superare anche limiti e ritardi che posso sicuramente persistere nella nostra azione.
Abbiamo un esempio concreto di questa opportunità che ci è data.
Sull’accordo del 28 giugno –ad esempio- tra noi vi sono opinioni diverse, sia tra maggioranza e minoranza, sia all’interno delle reciproche aree. Se vogliamo decretare il fallimento del tentativo di rinnovare un patto condiviso di gestione della categoria è sufficiente tirare la corda su un tema come questo. Chi volesse far “saltare il banco” qui può farlo facilmente.
Noi, col documento politico, proponiamo un percorso più realistico, che non cerca mortificazioni, che vuole rispettare tutti, ma che non intende neanche negare la realtà, a partire dal fatto che quell’accordo ha registrato un diffuso consenso nella consultazione che è stata fatta. Affermare ciò è esercizio di semplice rispetto reciproco, ed il rispetto reciproco è la pre-condizione della reciproca convivenza.
Ne abbiamo parlato nel direttivo di luglio ed è stato riconosciuto da moltissimi di voi l’onestà dell’approccio che abbiamo tenuto, senza inutili enfatizzazioni, né demolizioni o tradimenti invocati.
Con tutti i limiti che quell’accordo contiene è difficile negare che rispetto al quadro esistente esso introduce qualche elemento di novità, utile per provare ad invertire la tendenza in atto nel quadro delle relazioni sindacali. Abbiamo detto che quell’accordo non è esportabile nel terziario, ma abbiamo anche riconosciuto che dopo la rottura del contratto separato, occorre ricostruire un quadro di regole nel settore.
Stare insieme con opinioni diverse significa guardare in avanti, partendo da dove siamo. Siamo sotto l’attacco dell’art.8 della manovra che ci ha lasciato in eredità il governo Berlusconi e nel terziario non siamo coperti dall’intesa fatta con Cisl-Uil e Confindustria. Sarebbe difficile spiegare ai nostri lavoratori che noi siamo ancora chiusi qui dentro a sbucciarci su quello che è accaduto a giugno, tanto più dopo una sanzione formale delle decisioni assunte, quando il mondo è andato avanti di un bel po’. Per questo invito tutti noi a saper dosare gli ingredienti utili alla ricerca di una sintesi condivisa.
Come sul tema dell’unità sindacale, che vogliamo ribadire quale valore fondante del sindacalismo confederale. E’ ovvio che oggi viviamo il punto più basso, ma è altrettanto evidente che la nostra idea di unità è finalizzata alla difesa delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, soprattutto, dentro una crisi delle proporzioni come quella che vive attualmente il Paese, che rischia di scaricare sul mondo del lavoro e sui settori più deboli della società i suoi costi principali. Per questo continueremo a perseguirla con determinazione.
L’altro, grande terreno sul quale il documento politico propone uno scarto nel nostro lavoro è il potenziamento dell’investimento sulla nostra struttura dei quadri e delegati.
Se è vero che la contrattazione di secondo livello è il terreno sul quale dovremo cercare di interpretare la nuova fase, non solo per contenere i danni del contratto separato nel settore distributivo o per intervenire sui processi organizzativi in tutti i settori, ma per connettere questa azione con le conseguenze della crisi che stiamo vivendo, soprattutto sul versante dell’occupazione, è fuori dubbio che ciò potrà essere fatto attraverso un robusto investimento sui protagonisti nei luoghi di lavoro, delegati delle rsa, rsu, rsl, rslt.
Si tratta di un lavoro complesso, non di breve durata, ma che va avviato con determinazione, partendo da una visione concreta della realtà, di ciò che abbiamo realmente. Se dovessimo limitare la visione del problema alle aziende più strutturate, saremmo inesorabilmente condannati ad una lenta, ma progressiva riduzione della rappresentanza dei quadri sindacali.
Già abbiamo un problema nelle grandi strutture, a partire dalla GDO, dove si pongono problemi di riunificazione dell’iniziativa (nel senso della coesione necessaria con gli indirizzi della politica contrattuale) e di rinnovamento dei quadri, per favorire anche a questo livello l’avanzare di una nuova generazione.
Ma il problema riguarda tutti i settori, molti dei quali richiederanno sforzi inediti, data la particolare destrutturazione del lavoro.
Per queste ragioni, una degli assi centrali di questa nostra verifica è una nuova visione strategica delle politiche organizzative, che assuma il tema del consolidamento del nostro insediamento sociale e della rappresentanza sindacale quale priorità assoluta, in un sistema di relazioni sindacali che guarda sempre più alla competizione tra organizzazioni, competizione alla quale noi non ci sottraiamo, ma alla quale intendiamo partecipare con tutta la forza dei valori e della distintività propri della Confederazione alla quale apparteniamo.
Le politiche del tesseramento, dell’uso delle risorse, della formazione dei quadri, del sostegno alle strutture dovrà rappresentare il terreno di un inedito coinvolgimento del gruppo dirigente nel suo insieme, per fare di questo lavoro una straordinaria occasione di crescita collettiva della Filcams.
Una Filcams che sappia unire senza confondere e distinguere senza separare.
Riprenderemo questi temi anche nella discussione sulla proposta di segreteria. Ma occorre citarli anche ed innanzitutto in una sede autorevole come quella del documento politico, perché costituiscono parte importante del patto che dobbiamo rinnovare fra noi.
Le differenze sono un valore, abbiamo detto sempre, ma vi sono alcune differenze che dobbiamo saper valorizzare di più, soprattutto, là dove il settore esprime una presenza molto significativa sul piano economico ed occupazionale; ma vi sono anche differenze che vanno colmate, perché foriere di nuovi, pericolosi arretramenti sul piano sociale, sul terreno delle disuguaglianze.
Questo Direttivo deve decidere formalmente un impegno politico forte dell’intera categoria per affrontare in termini nuovi la questione del terziario nel meridione.
Nei prossimi giorni terremo una prima riunione dei segretari generali del Sud, per preparare una discussione ed una proposta di iniziativa che dovrà interessare tutto il gruppo dirigente, per provare a realizzare concretamente un rapporto tra aree forti ed aree deboli, che, poi, è qualcosa che va anche oltre il classico rapporto Nord-Sud, ma da questo non può esulare.
Per il resto, il documento è nelle vostre mani da qualche giorno e lascio a voi il compito di fare tutte le considerazioni che riterrete opportuno.
Naturalmente, ciò che è accaduto in Italia in questi ultimi giorni non potrà che offrirsi come ulteriore contesto dentro il quale il nostro progetto politico e sindacale dovrà muoversi.
Le vicende sono ancora “calde” e possiamo per il momento limitarci ad alcune prime considerazioni, dando per nota la posizione che la Cgil ha assunto al momento della crisi di governo.
La prima considerazione riguarda proprio lo spessore della sfida che abbiamo davanti. Berlusconi è caduto, forse sul piano del destino politico personale sarà anche finito, ma il berlusconismo non è morto e le macerie con le quali dovremo fare i conti descrivono l’effetto di un terremoto tutt’altro che di natura eminentemente economico e finanziario. Il dissesto riguarda le radici profonde della nostra società, potremmo dire della nostra civiltà contemporanea. La civiltà politica, prima di tutto, per il tentativo perseguito nel lungo ventennio di demolirne le basi democratiche e costituzionali, di demolire il valore della coesione sociale, quale pilastro fondante della democrazia stessa.
Ma la civiltà offesa sta nella manomissione e distruzione di tutti i principali valori che ne avevano segnato il suo livello, dopo gli anni della ricostruzione, la giustizia, l’istruzione, la cultura, la stessa identità nazionale, perduta in un dominio del presente che ha cancellato l’idea di futuro e non solo l’idea, ma l’esistenza futura di una intera generazione, nata negli anni della discesa in campo di Berlusconi o nel decennio che l’ha preceduto.
Avremo tempo per riflettere sulle macerie materiali ed immateriali. La prima considerazione che mi viene di fare è che di fronte allo sforzo immane di immaginare quale possa essere l’Italia dopo la destra al potere per tutti questi anni, dovremmo tutti quanti ammettere che il nostro bagaglio, la nostra cassetta degli arnesi, forse è troppo modesta, rispetto all’impresa. Ovviamente, mai quanto oggi invidio tutti coloro che hanno le certezze assolute su cosa dobbiamo fare o cosa non si deve fare. A me pare sia più realistico prendere atto che dovremo probabilmente sperimentare cose che fino a ieri non avremmo mai immaginato, o per lo meno non dovremo escludere questa evenienza. Dovremo misurare la nostra capacità di guardare con occhi nuovi, forse spaesati ed un po’ spaventati, alle incombenze della ricostruzione, per la quale le tradizionali categorie che ci sono appartenute per anni, non saranno più sufficienti.
Insomma, se il problema non sarà quello di tornare a “prima di Berlusconi” (tipo, “dove eravamo rimasti”), ma più probabilmente, quello di reinventarci dopo il berlusconismo, dobbiamo navigare in mare aperto, guardando sempre più avanti, piuttosto che rivolgere lo sguardo al passato.
Faccio un primo esempio. Il governo di larghe intese o di salvezza nazionale, o di come lo si voglia chiamare. Al di là di quello che ognuno di noi può pensare, e la Cgil ha detto quello che pensa, sostenendo che la soluzione più naturale sarebbe il voto, c’è un significato in quella discussione che non può essere ridotto a mero cabotaggio politico. Ciò, l’idea che in un momento di grande difficoltà nella vita del Paese possa prevalere l’idea che le forze che si combattono stabiliscano per un pò una tregua, per concorrere insieme ad un obiettivo che parla dell’interesse generale della nazione. Forse, questa crisi ci obbliga a rivisitare l’idea di “senso dello stato” che hanno i cittadini di questo Paese, oltre gli egoismi e gli interessi di parte.
E’ un po’ come, se in una nave che sta affondando, l’equipaggio se le desse di santa ragione, incolpandosi vicendevolmente delle responsabilità delle falle aperte fregando sugli scogli, invece che preoccuparsi di mettere in sicurezza lo scafo, per evitare l’affondamento.
Negli altri Paesi, in Europa, questo istinto è connaturato nel senso di appartenenza ad una comunità. Altre storie, altre civiltà indubbiamente, ma forse è arrivato anche per noi il momento di confrontarsi con questa problematica.
Questo, ovviamente, non significa accettare ogni cosa. E’ chiaro che non sfuggono le ragioni che hanno portato il Presidente della Repubblica e la maggioranza dei partiti ha sostenere la soluzione di un governo di transizione, guidato da una personalità di alto prestigio in grado di restituire credibilità internazionale all’Italia e rigore nelle politiche di governo.
Tuttavia, anche qui dobbiamo essere chiari. Lo spessore della crisi italiana, della quale il metro economico e finanziario ne misura la consistenza, non è un fatto tecnico, ma tutto politico. Se la transizione serve per uscire dalla crisi, imboccando strade nuove, non siamo di fronte ad un problema tecnico, ma tutto politico.
La crisi certamente sta nell’uso sregolato che si è fatto della finanza, ma sta soprattutto nella crescita immorale delle diseguaglianze, sta il quel 99% che vorrebbe dare l’assalto ai palazzi dove sta arroccato l’1% dei depositari della massima ricchezza mondiale.
La crisi sta nella frattura di civiltà che si è creata con la messa in discussione dei principali valori che fanno vivere la coesione sociale, che hanno rese precarie intere generazioni.
La crisi sta nel fallimento delle politiche liberiste perseguite dall’Europa, che si è unità nella moneta, ma non sul terreno della cittadinanza sociale. Chi ci bacchetta oggi e ci impone ricette lacrime e sangue, non è meno responsabile di questa Europa malata e traballante, a partire proprio dalle destre europee, che in Francia e in Germania hanno guardato più agli interessi di patria (ovviamente quelli privilegiati) che a quelli della comunità che si è formata all’inizio di questo nuovo millennio. E’ mancato un progetto europeo ispirato ad una maggiore crescita e maggiore democrazia e quelle politiche neo-liberiste hanno dimostrato di non essere in grado di governare la globalizzazione, risolvendosi in mortificazione della democrazia, della crescita e dei diritti, soprattutto dei paesi più deboli.
Il limite del governo tecnico sta proprio nell’assenza della politica. Ma questo spiega anche quanto questa crisi (e la soluzione che si va configurando) più che essere una vittoria della finanza, è la sconfitta della politica in tutti questi anni, di cui troviamo ampie manifestazioni proprio nei fermenti antipolitici che attraversano la nostra società.
Per tutto questo la Cgil dovrà stare in campo in questi giorni, ovviamente non per sostituirsi alla politica, ma per rappresentare i valori alti con i quali l’opera di ricostruzione dovrà misurarsi.
E ve n’è uno sopra tutti, quello dell’equità. Noi saremo contrari a misure che riproducano automaticamente quanto contenuto nella lettera d’intenti consegnata dal nostro governo all’UE. Lì manca la prova lampante del cambiamento dell’equilibrio nella politica dei sacrifici. La patrimoniale non è opzione ideologica, ma misura di giustizia sociale. La lotta vera all’evasione fiscale non è accanimento per far piangere i ricchi, ma misura di giustizia sociale. E le pensioni non sono territorio per fare cassa, ma terreno dove ridefinire le ragioni di un vero patto generazionale.
L’altro valore è il lavoro. Altro terreno sul quale l’agenda-Monti sarà da noi chiamata a dare prova di discontinuità. Se l’obiettivo del risanamento si persegue con la crescita, la crescita senza il lavoro non esiste, senza un lavoro che ritrovi le ragioni perdute della sua valorizzazione professionale ed economica.
Il problema dell’Italia non è la possibilità di licenziare, ma quella di lavorare. Ed anche a proposito di licenziamenti, il problema non è quello della difesa formale dell’art. 18, applicato ad una sempre più esigua riserva indiana, ma quello di estendere diritti e tutele alla più grande parte del mondo del lavoro che ne è priva.
Il tema del lavoro, poi, chiama in causa la principale misura di giustizia sociale, ossia, la parità di tutele dentro la crisi e se come sembra il 2012 sarà anno ancora di crisi l’estensione delle tutele, ad esempio al nostro mondo, non è cosa che appartiene ad un’altra fase della ricostruzione del Paese.
Infine, la crescita pone in essere il tema di nuove politiche industriali e dello sviluppo, ed in questo si colloca la questione del terziario sostenibile.
Le misure anticrisi ripropongono la spinta alla massima liberalizzazione nel settore commerciale, vanificando gli sforzi cha abbiamo fatto in questi mesi per porre all’attenzione la condizione del lavoro nel settore distribuzione,in relazione alle aperture ed agli orari. Tema che dovremo rilanciare, assieme a quello della spinta verso nuove forme di precarizzazione, come quella degli associati in partecipazione, sui quali abbiamo lanciato la scorsa settimana una campagna assieme a Nidil.
Insomma, nel momento in cui stiamo entrando in una nuova fase estremamente difficile, dove alle persone che rappresentiamo saranno chiesti nuovi sacrifici per evitare il tracollo del Paese, dobbiamo interpretare nel modo migliore il senso di responsabilità richiesto. Che non è solo il non tirarsi indietro, ma quello di accompagnare tale coinvolgimento con lo sforzo per mettere in campo nuove idee, per esplorare nuovi territori, per far crescere nuovi protagonisti.
Vedete, ogni volta che l’Italia si trova sull’orlo del collasso, il Paese si affida alle personalità più illustre della nostra Repubblica, Ciampi, Amato, Napolitano, adesso Monti, anche se tecnocrate. In ogni caso, stiamo parlando della gerontocrazia politica, il vero limite di questo Paese, l’incapacità di produrre una nuova classe politica all’altezza dei compiti. Questo è un tema che ha attraversato molti commenti di questi giorni.
Nel nostro piccolo, il contributo alla ricostruzione del Paese sta nelle idee che vogliamo mettere in campo sul nuovo modello di terziario sostenibile e nella costruzione di una nuova leva di dirigenti sindacali, in grado di assumere grandi responsabilità nella funzione richiesta al sindacato.
Porteremo queste idee e questo sindacato dentro la mobilitazione che vedrà impegnata la Cgil, con la manifestazione del 3 dicembre, e che prepareremo con gli attivi dei delegati il 21 novembre, a Roma e Milano.
Lo hanno detto le donne con la loro mobilitazione e crediamo di poter fare nostro quell’esclamazione: se non ora quando? Questo è il nostro tempo, quello della ricostruzione e noi della Filcams vogliamo essere puntuali all’appuntamento, possibilmente tutti insieme, perché saremo sicuramente più forti e più capiti dal nostro mondo.