16/9/2024 ore: 16:05

Assemblea Generale, 13 settembre 2024: comunicazione di Fabrizio Russo

Assemblea Generale Filcams Cgil

Roma, 13 settembre 2024

Comunicazione del Segretario Generale, Fabrizio Russo

 

Buongiorno, bentrovate, bentrovati,

Siamo già alla ripresa dopo un breve, brevissimo periodo di ferie.
Anche se, molti dei lavori che rappresentiamo in ferie non ci vanno mai, per definizione, e spesso gli stessi lavoratori, sottopagati e sfruttati, difficilmente possono concedersi periodi di vero riposo.
Anche se, questo è stato un mese di agosto nel corso del quale ci hanno costretto a proseguire la mobilitazione e a organizzare, ancora una volta, iniziative di lotta e scioperi.
Del resto lo abbiamo chiarito fin dall’inizio che non ci saremmo fermati.
Abbiamo chiarito che la vertenza sui rinnovi contrattuali si sarebbe conclusa soltanto a sottoscrizione dell’ultimo dei contratti nazionali oggetto della vertenza che abbiamo avviato nella fase post congresso.
E così, coerentemente, stiamo procedendo.
Prima di entrare nel merito degli impegni che ci attendono, alcuni dei quali già nell’immediato, quanto sta accadendo ancora negli ultimi giorni, nelle ultime ore, ci impone di affrontare questioni, problematiche, temi di portata più generale. Perché anche questo rientra tra gli impegni assunti.
Lo sforzo che siamo chiamati a fare andrà oltre al presidio instancabile di vertenze, di trattative, di verifiche puntuali di tutte le inadempienze di questa classe dirigente. Andrà oltre la denuncia e la lotta. Tutte cose che abbiamo fatto, in ogni ordine e grado della rappresentanza, con impegno e sforzi encomiabili.

Una volta che li abbiamo praticamente costretti a firmare dei contratti, dovremo contrastare la pretesa che questa gente ha di dimenticarseli in un cassetto, quei contratti, e ricominciare a comportarsi come prima. Come se nulla fosse.
Probabilmente pensano, i nostri interlocutori, di averci quasi fatto delle concessioni, non di avere sottoscritto degli impegni.
E molti di loro pensano che il lavoro dell’imprenditore non sia fare le cose secondo le regole, ma farle nonostante le regole.
Pensano che un contratto sia solo un pezzo di carta che va sempre e in qualche modo aggirato, adattato, aggiustato con interpretazioni di comodo e anche imposizioni di forza.
Questa ultima stagione estiva ne è l’ennesima conferma: non stiamo parlando di episodi isolati, di inadempienze saltuarie. C’è un’intera parte del Paese che rischia di abituarsi a questo clima di declino dell’umanità del lavoro.
Andiamo dicendo da tempo che non sono solo gli imprenditori il problema. Sono i loro consulenti, manager e professionisti, sono i politici conniventi, sono i giornalisti che hanno dimenticato la dignità e la verità dei fatti. Sono gli economisti e i professori che descrivono flussi di innovazione tecnologica senza interessarsi minimamente della materialità dello sfruttamento che li sostiene. Sono gli opinion leader che parlano in convegni – molto generosamente finanziati – di sostenibilità, di inclusione, di impatto sociale, quando le stesse classi dirigenti che li pagano non muovono un dito di fronte alla strage incessante di lavoratori, di fronte al calo di potere di acquisto delle famiglie sempre più povere, di fronte alla violazione dei diritti più elementari.
Sostenibilità: difficile credere che questa gente sappia cosa è la sostenibilità, al di là di quattro giri di parole da salotto.
Sono sostenibili le condizioni dei braccianti? Dei precari, dei lavoratori in nero, delle catene oscure e conniventi del subappalto? Sono sostenibili delle forme di occupazione che non consentono di sopravvivere neanche per due settimane nel mese, senza fare due, tre lavori insieme?
Inclusione: difficile credere che a questa gente importi qualcosa davvero, ad esempio, delle donne nel lavoro o delle persone disabili nel lavoro. O dei migranti usati come massa di manovra schiavile non solo per l’agricoltura, ma per i servizi, il turismo, gli appalti, la ristorazione, le consegne a domicilio.
Insomma, difficile credere che l’idea di diversità sessuale e di genere, culturale, etnica come ricchezza sociale, come chiave di crescita della società li sfiori anche lontanamente.
Impatto sociale: difficile credere che questa gente si preoccupi della desertificazione culturale e delle condizioni di vita delle periferie. Che si interessi veramente di inserimento, di recupero delle categorie più fragili. Difficile credere che li preoccupi il vuoto di progetto e di senso in cui vivono sospesi milioni di giovani.
E infatti no, non ci si crede. Noi, senz’altro, non ci crediamo!

Ma purtroppo c’è una parte del Paese, che è classe dirigente senza titolo e senza fondamenti né di civiltà né di diritto, che sta lavorando perché l’aberrazione dei comportamenti, dei pensieri, delle condizioni di convivenza diventi la norma e la normalità.
C’è una parte del Paese che si arrocca nella difesa di interessi indifendibili, che vuole che ci abituiamo alle stragi sul lavoro, alle guerre, ai naufragi e alle migliaia di morti in mare, che ci abituiamo all’indifferenza, al disinteresse, alla disattenzione.
Suscita sgomento lo scambio gelido di comunicazioni che è stato riportato ancora negli ultimi giorni dagli organi di informazione tra quei corpi dello Stato la cui unica priorità, nella notte tra il 24 e il 25 febbraio dello scorso anno sarebbe dovuta essere di soccorrere e trarre in salvo le decine e decine di bambini, donne, uomini che persero la vita in quelle tragiche ore, a Cutro.

Ma c’è una parte di Paese che di sgomento ne prova ben poco. Ci ricordiamo tutti le frasi di circostanza dei ministri e delle autorità, e subito dopo la cena di allegra convivialità con mezzo governo intorno a un tavolo. Come se dopo la foto ricordo con disastro annunciato ci si potesse comodamente rilassare in un party tra amici.

Vorrebbero un Paese che a tutto questo ci si abitui, che rispetto a tutto questo non si scandalizzi più.
Vorrebbero un Paese dalla memoria corta e dalla vista opaca, per farci dimenticare.
Vorrebbero, vogliono anzi, silenziarci. Cosicché la si smetta di parlare e di denunciare.
E lo vogliono, facciamo bene attenzione, perché l’insensibilità e il cinismo come nuova moneta di scambio sociale sono funzionali a qualcosa di molto più grande e di molto più pericoloso.
Sono la premessa e l’ordito di un disegno di riorganizzazione autoritaria, anticostituzionale e antidemocratica di una società nata dall’antifascismo e dalla Resistenza.
E nel fare questo si appropriano con sfrontatezza, con malafede, con incompetenza perfino dei simboli e dei capisaldi storici del pensiero antifascista.
Nessuno si è chiesto seriamente perché il Ministro della Cultura entrante – sul dimissionario non diremo nulla – il nuovo Ministro della Cultura con un passato troppo recente da ultrà e attivista neofascista, abbia appena pubblicato un libro dal titolo inquietante: “Gramsci è vivo”?
Questa gente lavora, in modo sgrammaticato e barbarico, ma purtroppo tenace, a un nuovo progetto di egemonia pseudoculturale in cui l’unica inclusione che interessa è l’appropriazione delle pagine e delle parole della storia del movimento operaio, della critica sociale.
Per farne cosa?
È molto chiaro: vogliono appropriarsene per annullarlo, e per annullarci.
Questo è il loro disegno.
Ma allora diciamolo forte e chiaro: certo che Gramsci è vivo, compagne e compagni: ma non il loro Gramsci riveduto e corretto, deformato, abusato in chiave nazional-sovranista e fascista. Il nostro Gramsci è vivo!
È vivo il pensatore, l’analista, il perseguitato e il recluso che ha dato voce a milioni di diseredati, di invisibili, di esclusi, che ha pensato che l’egemonia, quella vera, nasce dalla forza della cultura, della dignità di tutte e tutti, dell’umanità del lavoro.
Possono volere quello che vogliono, e tentare anche di farlo occupando ministeri, giornali e televisioni, ma ci troveranno sul loro cammino, troveranno una barriera fatta di migliaia di bandiere in piazza, di migliaia di volti, di storie, di militanti, di lavoratrici, di lavoratori, di giovani, di nuovi e meravigliosi soggetti portatori di diversità di pluralità, di apertura mentale.

Questa è la sfida a cui siamo chiamati, questa è l’umanità che rappresentiamo, questa è la Repubblica basata sul lavoro che vogliamo, nel nome della Costituzione e dell’antifascismo, questa è l’idea di sindacato che avevano le nostre nonne e i nostri nonni, le nostre madri e i nostri padri, e noi questa idea non l’abbiamo cambiata, anzi ogni giorno la sentiamo più viva e pulsante che mai!

E questo è anche il senso di quello che stiamo facendo ora, oggi, domani. Il significato di ogni giorno di lotta, di mobilitazione, di rilancio attivo dei nostri ragionamenti delle nostre ragioni.
La loro idea di disciplina del lavoro, di appiattimento delle idee e dei diritti sulla difesa delle corporazioni è l’inizio di un processo di abbattimento delle istituzioni civili, dei corpi intermedi e della democrazia. Un processo che hanno avviato e cercheranno di portare a termine in tempi molto rapidi.
E purtroppo, lo constatiamo con rammarico, pochi, pochissimi, al di fuori di una parte del sindacato, al di fuori della Cgil, hanno pensato di dire forte e chiaro in questi giorni che l’attacco al lavoro e l’attacco alla democrazia sono ormai la stessa cosa, sono i due volti di un’unica, infame medaglia.
Bene. Se nessuno ci ha pensato adesso lo diciamo noi, e lo diremo ogni giorno più forte:
Non si può raccogliere il testimone di decenni di lotte sindacali e sociali, e consegnarlo nelle mani insanguinate di una classe dirigente che odia i lavoratori, i migranti, le persone più fragili e ne fa strage ogni giorno.
Non si può consentire allo scempio di valore e di valori che questa gente sta facendo del mondo del lavoro, appoggiandosi alla peggiore classe imprenditoriale che il Paese ricordi.
Non si possono e non si devono accettare la censura e l’autocensura dei media, la narrativa monocorde del sovranismo insolente che è solo la riedizione in abiti civili del fascismo, la dispersione delle misure di solidarietà sociale, il crollo verticale del linguaggio politico degradato a talk show.
Hanno appena iniziato, e stanno procedendo rapidamente, perché credono di poter manovrare indisturbati.
Che lo credano pure: per quanto ci riguarda, noi… resisteremo, combatteremo, li fermeremo.

Bene. Adesso che abbiamo dichiarato apertamente la gravità della situazione, e abbiamo detto qual è la vera posta in gioco nel nostro fare sindacato oggi, veniamo a noi, alle nostre iniziative e scadenze più urgenti.
Tra giugno e luglio, con la nostra iniziativa “The New Order” alla Stazione Marittima di Napoli e con le assemblee settoriali delle delegate e dei delegati abbiamo cominciato a tracciare la prosecuzione del nostro piano di lavoro per l’ultimo trimestre di quest’anno e per il 2025.

Siamo coerentemente e pienamente nel solco dell’impostazione definita e degli impegni assunti al nostro Congresso: con linearità, come avevamo discusso, prefigurato, deciso, il 2023 si è caratterizzato come l’anno della lotta, degli scioperi, delle mobilitazioni, della grande mobilitazione delle categorie del Terziario e di quella di iniziativa confederale, e il 2024 si è connotato come l’anno delle conquiste, degli avanzamenti, dei rinnovi contrattuali.
Nella giornata di oggi, provando a tenere insieme, come siamo soliti fare, contingenza e prospettiva almeno di medio periodo, mi soffermerò su quattro punti che, lo anticipo, considerata la complessità della fase e della discussione che ci attendono, avremo modo di approfondire ancora in almeno una ulteriore nostra Assemblea generale da convocarsi nel corso della prima settimana di dicembre e una riunione dei segretari generali, tutti, territoriali e regionali – come già sperimentato a Torino a settembre dello scorso anno e a Roma a febbraio di quest’anno – riunione che si potrebbe tenere indicativamente nel corso della quarta settimana di ottobre (tra il 21 e il 25 ottobre).
Propedeutica alla convocazione di una tornata di assemblee generali delle nostre strutture territoriali e regionali da convocarsi nel corso del mese di novembre che ci consenta, come avvenuto i mesi scorsi, di tenere insieme i piani di mobilitazione di categoria e di iniziativa confederale.

Si tratta di quattro punti, strettamente correlati tra di loro, che delineano nel merito e nei tempi la traiettoria che ci condurrà, come dicevamo, al 2025:

- Il primo punto, ancora il tema dei rinnovi contrattuali, certo di portata notevolmente ridotta rispetto anche soltanto a pochi mesi fa;

- Il secondo punto, il tema della definizione di un nuovo modello di relazioni sindacali e della ridefinizione di un nostro assetto contrattuale e di rappresentanza;

- Il terzo punto, tema centrale della nostra ultima iniziativa “The New Order”, rappresentato dall’avvio di una grande vertenza – “la vertenza delle vertenze”, è questo un primo slogan inaugurato a Napoli che, vi voglio rassicurare, senz’altro non continueremo ad utilizzare – una grande vertenza, dicevamo, che ponga la necessità di migliorare finalmente e realmente la qualità dell’occupazione e le condizioni di lavoro nei nostri settori e quindi di effettivo contrasto alla precarietà e al lavoro povero, questioni, per intenderci, che abbiamo sintetizzato nella nostra ormai parola d’ordine “umanità del lavoro”;

- Infine un ultimo punto, di carattere operativo, che attiene alla predisposizione e alla messa in atto di un piano di azione, di azioni, che, indiscutibilmente con un po’ di ambizione, tenga insieme obiettivi e priorità di cui stiamo discutendo e che ci stiamo prefiggendo anche in rapporto ai termini di prosecuzione della mobilitazione di iniziativa confederale.

E allora, cominciamo a tracciarla questa nuova traiettoria, o questa prosecuzione della nostra traiettoria, con l’impegno ad affinarla ulteriormente nei prossimi appuntamenti che vi ho anticipato.

Della straordinarietà, del valore, della valenza politica del risultato raggiunto negli ultimi mesi abbiamo già discusso: undici rinnovi contrattuali definiti nel corso del 2024 tra i quali, lo abbiamo evidenziato a più riprese, è ricompresa parte rilevante dei contratti politicamente e dimensionalmente più rilevanti per la categoria.
Abbiamo però anche condiviso, in termini anticipatori, che parte dell’elaborazione e dell’attività che ci attende nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, debba essere rivolta a scongiurare la reiterazione per la categoria di una situazione di emergenza contrattuale analoga a quella che ha caratterizzato gli ultimi anni.

E quindi, dando per scontato che:

-      sia necessario rinnovare in tempi ragionevoli i contratti scaduti di cui si è avviata la rinegoziazione da più tempo (lavoro domestico, portierato, … a titolo esemplificativo e non esaustivo);

-      sia necessario prestare attenzione ai contratti di cui stiamo predisponendo e presentando le piattaforme e avviando i confronti per i relativi rinnovi (Farmacie, Dipendenti da agenti immobiliari, Dipendenti degli istituti per il sostentamento del clero - anche qui, a titolo esemplificativo e non esaustivo);

-      sia necessario prestare particolare attenzione alla fase di rinnovo del contratto Multiservizi intanto per le caratteristiche dello stesso contratto, ma pure in considerazione dei termini di attuazione della prevista clausola di adeguamento salariale definita nell’ultimo rinnovo e anche in relazione alla prevista discussione in tema di perimetri contrattuali, sulla quale qualche parola a breve riserverò

-      e che, ancora, sia necessario proseguire, se possibile con ancora maggiore determinazione, nella mobilitazione rispetto al rinnovo dei contratti del Turismo Federturismo/Aica e del comparto termale Federterme, e quindi dei contratti nazionali aventi quale controparte firmataria in termini di esclusività Confindustria (su questo argomento tornerò tra poco)

Ecco, dando ad ogni modo per scontato tutto questo, riteniamo sia giunto il momento di riaprire il confronto rispetto alla definizione di un nuovo sistema di relazioni sindacali, e di un nostro, (anche qui nuovo), modello contrattuale e di rappresentanza.
Non è tema nuovo! L’assenza di riferimenti aggiornati, chiari, condivisi, puntuali, esigibili, cogenti, rappresenta da anni elemento di contesto delle nostre negoziazioni che si è portato appresso inevitabili ripercussioni, e non certo in positivo, su intere tornate contrattuali.
Il rinnovo della contrattazione nazionale non può più essere affrontato singolo contratto per singolo contratto, o comparto per comparto o settore per settore, come accaduto ad esempio per questi undici ultimi rinnovi.
È necessario aggiornare, riqualificare, adeguare alla fase, al contesto, alle trasformazioni e ai cambiamenti che sono avvenuti gli accordi interconfederali sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil con alcune delle nostre controparti, Confcommercio, Confesercenti, le associazioni datoriali della Cooperazione.
Intese dalla cui sottoscrizione sono trascorsi ormai diversi anni, in tema di rappresentanza, di partecipazione, di contrattazione ma anche di salute e sicurezza e di formazione, questioni che continuano a rappresentare priorità, diversamente non potrebbe essere, della nostra agenda politica.
La questione, me ne rendo conto, siamo nell’ambito della rilevazione dell’ovvio, non può essere appannaggio esclusivo della categoria, a maggior ragione rispetto agli obiettivi che ci siamo posti e che continuiamo a porci, in primo luogo in relazione ai termini di rinegoziazione salariale della contrattazione nazionale.
Già i prossimi giorni saranno utili al fine di avviare un confronto con la Confederazione, firmataria dei diversi accordi, e con Fisascat e Uiltucs in ordine all’opportunità, per quanto ci riguarda alla necessità, di aprire una discussione con Cisl e Uil e quindi con le associazioni datoriali in tal senso.

Ancora in tema di stato dei nostri sistemi relazionali.
Un breve inciso, in ordine alla condotta di Confindustria nella rinegoziazione dei contratti del terziario complessivamente inteso, poi la questione avremo modo di approfondirla più compiutamente nei prossimi giorni.
Senza voler consumare alcuna offesa e con la precisazione che ogni riferimento è puramente casuale, credo di poter dire che ormai nel corso degli anni, soprattutto gli ultimi, ci siamo dovuti abituare alle associazioni datoriali più meschine, più inadeguate, più scadenti.
Sono, molto di frequente, sempre più di frequente, così e queste le nostre controparti.
Però Confindustria sta riuscendo nell’impresa mirabile di spingersi oltre, di varcare la soglia di quella parvenza di ritegno almeno necessaria a non far definitivamente precipitare assetti relazionali e contrattuali già stremati, esausti, sfiniti come troppo spesso lo sono le lavoratrici e i lavoratori dei nostri settori ai quali si dovrebbero applicare contratti rinnovati anche se di mezzo c’è Confindustria.
Vale per il turismo, vale per la ristorazione, vale per le imprese di pulizia, vale per la vigilanza, vale per tutte le aziende, i comparti, i settori dove Confindustria ha assunto il ruolo di capofila rispetto ad un ulteriore arretramento delle condizioni di lavoro.
Come se il ricorso astruso all’aggettivo “industriale” determinasse una sorta di nobilitazione, un accrescimento di prestigio, un’elevazione quasi spirituale tali da consentire la condotta anche più spregiudicata appunto.
Come se nel turismo “industriale”, nella ristorazione “industriale”, nelle pulizie “industriali”, nella vigilanza “industriale”, l’impresa, se è “industria”, fosse legittimata a fare un po’ quel che le pare, in primo luogo perché “industria” e non terziario, terziario che però, intanto, i contratti li ha rinnovati.
Della condotta di Confindustria temo dovremo ancora parlarne nei prossimi giorni, in relazione a diversi dei comparti che ho citato e in considerazione di sviluppi che quasi scontatamente non saranno positivi.

Poi non c’è dubbio, al netto di Confindustria, più in generale, da un po’ di tempo a questa parte, ciò di cui stiamo discutendo, l’oggetto del contendere, i termini della disputa, se la volessimo dire tutta e meglio, il conflitto, la vertenza, la mobilitazione continuano a riguardare il tema per noi dirimente, lo si evidenziava in premessa, della qualità dell’occupazione, delle condizioni di lavoro nei nostri settori, del contrasto alla precarietà e al lavoro povero, la nostra “umanità del lavoro”.
Perché l’impegno che a Congresso ci siamo presi è stato, è che non ci saremmo fermati, che saremmo andati avanti senza esitazioni, senza titubanze, senza indecisioni anche dopo il rinnovo dei contratti, anzi che il rinnovo dei contratti avrebbe rappresentato solo l’inizio.
Ed è per questo che l’iniziativa di Napoli e la ripresa della discussione di oggi, in stretta correlazione tra di loro, sono particolarmente importanti, perché ci preparano all’avvio di una nuova fase di rivendicazione e di lotta, e ci permettono di cominciare a definire i termini di gestione di una vertenza, che coinvolgerà già nelle prossime settimane per i prossimi anni, trasversalmente, i milioni di lavoratrici e di lavoratori dei nostri settori.
I termini, almeno per quanto ci riguarda, ne sono ormai noti: una vertenza relativa alle condizioni di lavoro, normative e salariali, sempre più disperate, sempre più insostenibili, sempre più drammatiche di chi presta attività nel terziario, negli appalti, nei servizi, nel commercio, nella distribuzione, nella filiera del turismo, della ristorazione e della cultura.
E anche i protagonisti ne sono noti: milioni e milioni di colf e di badanti, di addette e addetti alle pulizie, alle mense, alla ristorazione, di cameriere e camerieri, di cassiere e cassieri, di commesse e commessi, di cuoche e cuochi, di rider, di lavoratrici e di lavoratori delle piattaforme digitali.
Una moltitudine di persone e le loro famiglie alle quali il Paese non è stato e continua a non essere in grado di riservare alcuna risposta, alcuna attenzione, alcuna considerazione, alcun rispetto soprattutto, e la cui situazione di vita e di lavoro dovremo essere capaci di rendere argomento di dibattito nazionale in primo luogo nel rapporto con la politica e le istituzioni, beneficiando delle discussioni svolte nell’ambito delle nostre assemblee delle delegate e dei delegati, delle iniziative “The New Order” e dei documenti di sintesi che sono stati prodotti.

Una vertenza che stiamo affrontando, affronteremo, ricorrendo, ce lo siamo detti, a tutti gli strumenti a disposizione, tutti nessuno escluso: la contrattazione, in primo luogo con la rinegoziazione dei contratti nazionali, la mobilitazione, il contenzioso, la comunicazione, la formazione ma anche misure di portata più generale nel rapporto con i sindacati internazionali e con la mobilitazione di iniziativa confederale, come si è fatto, come si sta facendo con referendum e legge/leggi di iniziativa popolare  e come si farà in relazione a quanto sarà necessario mettere in atto in considerazione dei termini di definizione della legge di bilancio.
È questo l’ambito rispetto al quale deve essere contestualizzato anche il tema dei perimetri contrattuali, sulla base delle indicazioni condivise tra 2022 e 2023, tra Assemblea organizzativa e Congresso, ribadite nell’ordine del giorno approvato dall’Assemblea generale della Cgil dello scorso luglio.
Un tema, quello dei perimetri contrattuali, in stretta correlazione con le leve della contrattazione inclusiva, di anticipo, di sito, di filiera, dei coordinamenti e dei comitati delle delegate e dei delegati trasversali rispetto a settori e categorie, con un solo obiettivo, sempre lo stesso per quanto ci riguarda, il miglioramento delle condizioni di lavoro di chi presta attività nei nostri settori.
Ma anche questa è discussione che avremo modo di affrontare compiutamente, tra di noi prima e nel rapporto con le altre categorie e la Confederazione poi.

Un piano di lavoro articolato, complesso, impegnativo quindi che ci accompagnerà per un lasso temporale importante e che dovremo essere nelle condizioni di sostenere con determinazione, con convinzione, con impegno, con un forte protagonismo delle delegate e dei delegati.
La partecipazione, il coinvolgimento, il protagonismo appunto della nostra rappresentanza è, sarà, senso, mezzo, obiettivo del nostro agire, se possibile ancor di più nella fase che ci attende.
Ma l’ho precisato, oggi è giornata ancora interlocutoria e di “avvicinamento”, siamo nell’ambito di un’impostazione che definiremo insieme con gradualità, diciamo con celere gradualità nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, nell’ambito delle riunioni che già abbiamo programmato e programmeremo.

Come di consueto, con la solida certezza che la Filcams ancora una volta sarà all’altezza della sfida, delle sfide, delle tante sfide che la attendono, che ci attendono.