Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 19/12/2012
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L’anno che volge al termine verrà ricordato come uno dei più critici nella storia della nostra categoria. La crisi del settore dei consumi ha posto per la prima volta in termini inediti e drammatici la questione occupazionale, non solo in ordine alla carenza degli strumenti di tutela del reddito, che la riforma Fornero ha mancato nella sua necessaria generalizzazione, quale diritto universale; quanto, nella capacità del settore di mantenere livelli occupazionali significativi, a fronte di un processo di ridimensionamento quantitativo, aggravato dal mantenimento di condizioni di precarietà diffuse.
La crisi del terziario, che le nostre strutture in questo 2012 hanno vissuto giorno dopo giorno, è stato scandito dalle decine e centinaia di procedure di riduzione del personale, che hanno interessato tanto il commercio, quanto i servizi in appalto, coinvolti nei tagli lineari operati dal Governo alla spesa pubblica. Ma anche tutti gli altri settori, a partire dal turismo, hanno dovuto gestire pesanti contrazioni nei volumi di attività, tali da collocare buona parte del sistema delle imprese al limite della soglia di sopravvivenza economica.
La crisi ha assunto i connotati materiali di centinaia e migliaia di persone, donne e uomini in carne ed ossa, che hanno invaso i nostri uffici, per trovare conforto, cercare risposte, per alimentare speranze, difficilmente esaudite, perché la costante del nostro lavoro quotidiano, dal Nord al Sud, è l’incapacità nostra di indicare certezze.
Sono immagini della crisi a tutti noi note. Forse un po’ meno note al Paese, perché la crisi del terziario stenta ancora ad essere una notizia, se si escludono alcuni casi eclatanti, in grado di mobilitare solo l’attenzione dell’opinione pubblica locale, ma quasi mai nazionale.
Per questo dobbiamo inaugurare il 2013 con uno sforzo di tutta l’organizzazione per rappresentare la crisi del terziario per quella che è, in tutta la sua drammaticità. Come struttura nazionale vorremmo dare un contributo proiettando sulla rete i dati della nostra crisi. Una rappresentazione sociale, prima ancora che statistica, raccogliendo tutti i dati territoriali e nazionali, attraverso una finestra permanente sul sito nazionale, al momento in fase di progettazione.
Per fare questo, occorre uno sforzo di socializzazione da parte di tutte le strutture territoriali, di tutte le situazioni di crisi vissute e gestite sindacalmente, secondo un metodo che vi proporremo alla ripresa dell’attività, dopo le feste natalizie.
Come segreteria vogliamo esprimere a tutta l’organizzazione, a tutte le strutture provinciali e regionali il nostro apprezzamento per il lavoro fatto in questo anno terribilmente difficile, un lavoro che ha consentito alla Filcams di essere sempre in prima fila in tutte le iniziative di mobilitazione promosse dalla Cgil. I nostri gruppi dirigenti arrivano obiettivamente logorati alla fine di questo 2012 e, tuttavia, avremo a disposizione pochi giorni per respirare.
Il 2013 non si presenta migliore dell’anno che sta per finire. E se il periodo natalizio può a ben dire equivalere al mattino, il buon giorno (anzi, il buon anno) inizierà con maggiori inquietudini del passato. Sette italiani su dieci ritengono che il Natale 2012 risentirà fortemente della grave crisi economica. La percentuale di chi non farà acquisti natalizi passerà dall’11,8% del 2011 al 13,7%.
L’idea che il Natale 2012 sarà vissuto in maniera molto dimessa prevale tra le donne e presso coloro che hanno tra i 35 ed i 54 anno, cioè, la popolazione attiva.
Sul piano territoriale, le maggiori difficoltà sono registrate presso i residenti nelle regioni del Centro Italia e del Mezzogiorno, ma anche presso i residenti nelle grandi aree metropolitane.
Del resto, le previsioni sull’indice del Pil reale per il 2013 sanciscono inesorabilmente la negatività del trend italiano. A fronte di una media dell’area Euro di 106,8, l’Italia registra una previsione del 94%. Germania 115,8, Spagna 104,4 e Francia 105,3.
Un biglietto da visita per l’anno 2013 che lascia capire con quali e quanti difficoltà la categoria si troverà ancora a doversi misurare. Ed il problema non riguarderà solo le procedure di crisi, che non troveranno requie. Dentro questo contesto ci troveremo a dover sviluppare l’azione contrattuale della categoria. Una contrattazione che continuerà a riguardare le aziende, ma che interesserà fin dai primi mesi dell’anno anche alcuni tavoli nazionali già avviati da qualche settimana.
Sarà una contrattazione segnata dalla pesante crisi, come peraltro lo è stata nel corso di tutto il 2012. La consapevolezza della situazione lascia pochi spazi a polemiche sul presunto carattere “restituivo” della contrattazione. Solo chi non ha occhi per vedere può dilettarsi in una discussione astratta sugli obiettivi virtuosi della contrattazione, soprattutto nelle grandi aziende distributive o nelle grandi catene alberghiere.
L’obiettivo che ha mosso tutta la contrattazione da noi esercita in questi mesi –infatti. è stato innanzitutto quello di ridurre i danni ed evitare o limitare l’arretramento della soglia dei diritti conquistati, e non c’è niente da vergognarsi a dirlo perché questa è stata la realtà.
Una realtà dove difficilmente abbiamo potuto seguire un copione universale, data l’estrema diversità dei casi fra loro. Una stagione dove pure siamo riusciti a realizzare delle intese importanti, ma costruiendole con immensa fatica e senza approdi scontati. Accordi che non hanno automaticamente aperto la strada ad altre intese, dimostrando il quadro contraddittorio all’interno del quale siamo ad operare.
Ad esempio, a settembre è stato siglato l’accordo per il rinnovo del Cia di Unicoop Firenze. Come altri, un accordo sofferto, che ha visto l’azienda porsi l’obiettivo di recuperare anche per via aziendale il delta dei costi rispetto alla distribuzione privata. Un accordo positivo nei contenuti, ma che non ha significato automaticamente l’avvio di una fase positiva nell’intero sistema della cooperazione di consumo. Anzi, per un accordo fatto con Unicoop Firenze, siamo a dover registrare uno stallo, per non dire di peggio, nei restanti tavoli negoziali della cooperazione, in particolar modo emiliano-romagnola.
Lo stesso dicasi nella distribuzione privata. Ai primi di novembre è stato rinnovato il Cia della Metro, anche qui, un’intesa positiva, che ha consentito di delimitare l’offensiva aziendale, che si proponeva un recupero di costi, giocato sulla riduzione dei diritti ben oltre gli arretramenti operati col Ccnl separato, come nel caso –ad esempio- della tentata abolizione dell’integrazione malattia dal 4° al 20° giorno e molto altro.
Eppure, all’intesa Metro non ha corrisposto l’automatico sblocco degli altri tavoli, dove, al contrario le grandi catene distributive insistono nel disegno di riduzione dei costi, come nel caso di Carrefour o di Coin, tavoli che nelle prossime ore vivranno snodi significativi.
Lo scenario di fronte al quale si sono trovati i nostri gruppi dirigenti e i nostri delegati seduti a quei tavoli è sembrato lontano anni luce dal contesto in cui è maturato lo stesso contratto nazionale separato. In poco più di un anno la situazione è radicalmente peggiorata ed il tema della sopravvivenza delle aziende si è sovrapposto all’indubbia strumentalità con la quale le stesse hanno cercato di cavalcare la crisi, per modificare strutturalmente i contenuti della contrattazione.
Il crollo della marginalità, conseguenza dell’evidente crollo dei consumi, ci ha posti di fronte all’inevitabile necessità di delineare una linea Maginot dei diritti, consapevoli che le tante teorie e le mille ambizioni che hanno animato e appassionato i nostri innumerevoli dibattiti del dopo-contratto separato andavano ad infrangersi sugli scogli della più grande crisi vissuta dal terziario.
Una situazione nella quale sarebbe stato opportuno realizzare un Patto per la Crisi, soprattutto con le aziende della GDO, un patto nel quale avremmo anche potuto mettere nel conto una sospensione parziale dell’efficacia di alcuni istituti contrattuali, pur di ritrovarli intatti una volta usciti dal tunnel della crisi, ma che la cecità e la strumentalità politica di Federdistribuzione e della stessa Confcommercio ha impedito di realizzare.
Un patto che abbiamo cercato di ricostruire azienda per azienda, come in queste ore a Carrefour, ma che deve scontare le sensibilità dei diversi management, nonché i condizionamenti provenienti dall’estero, per quelle la cui proprietà è straniera.
Per tutte queste ragioni è impossibile e assurdo pretendere di misurare la contrattazione esercitata in questa fase con gli stessi metri di misura adottati in altre epoche. Chi, ad esempio, avesse siglato anni fa un accordo aziendale in Starwood difficilmente potrebbe riconoscersi o capire i contenuti di quello importante realizzato qualche settimane fa, se non acquisisse la consapevolezza della situazione in cui versa quella azienda e le difficoltà nelle quali ci troviamo ad operare.
Ed ancor più vale in questa situazione quanto detto in altre circostanze: oggi non basta più dire quello che non va o che si ritiene sbagliato; occorre dimostrare come realizzare risultati più avanzati, ma nei fatti, non a parole.
Quello che ci conforta è che nell’esercizio democratico che ha accompagnato per intero le vicende contrattuali a cui si è fatto riferimento, il giudizio dei lavoratori, espresso attraverso la consultazione è stato ampiamente positivo, confermando sia la maturità degli stessi, che la bontà dei risultati.
Tutto ciò dimostra quanto accademiche possano apparire le discussioni sulla contrattazione e la sua riforma se completamente staccate dal contesto reale. Accademicamente si può teorizzare la nostra contrarietà su deroghe, doppi regimi, indici programmati e quant’altro. Nei fatti, cioè, nella realtà concreta, siamo noi stessi spesso a dover prendere atto che questo campionario di cattiva contrattazione chiede il nostro intervento, sia per limitarne la deriva, che per provare ad orientarla verso sbocchi più positivi, come, per fare un esempio, i processi di stabilizzazione dei giovani assunti a valle dei doppi regimi.
Se, poi, dovessimo pensare al nostro sistema degli appalti, falcidiato dalla spending review, non potremmo che registrare la distanza abissale tra le stesse nostre discussioni spesso astratte e la drammaticità della situazione in tali settori, gran parte delle quali portate ai limiti di una vera e propria sopravvivenza.
Per tutte queste ragioni, dopo il seminario sulla contrattazione svolto dalla Cgil a Milano la scorsa settimana, ai primi di marzo svolgeremo come Filcams il nostro seminario sulla contrattazione, che immaginiamo come occasione per individuare elementi di forza, idee forza alle quali ancorare un progetto contrattuale nella crisi.
L’asse che vorremmo rinsaldare è quello che attraversa i temi della condizione generale di lavoro, la conciliazione dei tempi, la stabilità del lavoro, la sicurezza del lavoro, le condizioni economiche legate soprattutto alla durata del lavoro, all’obiettivo di fare della flessibilità una opportunità per un lavoro dignitoso.
Forse è proprio al tempo della crisi che diventa importante ancorare i sacrifici chiesti, i prezzi da pagare, ad un avanzamento della condizione di chi lavora.
In questo contesto stiamo vivendo la stagione di rinnovo dei Ccnl.
Per le piattaforme recentemente presentate non vi sono molte novità da registrare rispetto all’ultimo Comitato Direttivo. I tavoli del turismo e dei multi servizi sono alle prime battute, sono state presentate le piattaforme e dopo la pausa natalizia dovremmo cominciare ad impostare lo sviluppo del negoziato.
Qui, l’unico fatto davvero rilevante è la posizione assunta da Angem, l’associazione che rappresenta le aziende della ristorazione collettiva, la quale consumato l’ennesimo litigio in casa datoriale, ha sancito la propria fuoriuscita da Fipe, la federazione dei pubblici esercizi.
In ragione di questa scelta l’Angem ha ritenuto di non essere più obbligata ad applicare il contratto del turismo, con il chiaro intento di essere sollevata in particolare dai vincoli derivanti dalla normativa sul cambio di appalto.
Abbiamo già avuto modo di denunciare il carattere esplosivo di questa decisione, soprattutto per il chiaro precedente che potrebbe costituire nel campo degli appalti, dove il rispetto della clausola sociale rappresenta una delle maggiori conquiste realizzate in questi anni.
Anche in questo caso si tratta della disperata ricerca da parte delle aziende dei possibili elementi di sopravvivenza nella crisi, ma che aprirebbe ulteriormente la già critica strada caratterizzata dal ricorso al massimo ribasso, ai subappalti, al lavoro nero.
Dopo la denuncia fatta unitariamente ed una lettera di diffida dei segretari generali, l’Angem in questi giorni si è rifatta viva, proponendo una intesa con i sindacati attraverso la quale le aziende ad essa associate si impegnerebbero ad applicare il Ccnl del turismo fino alla sua scadenza, in cambio dell’impegno sindacale ad affrontare separatamente le problematiche sollevate, qualora il nuovo Ccnl del turismo si dimostrasse insufficiente da questo punto di vista.
L’incontro con Angem è stato fissato ai primi di gennaio. Ma possiamo fin da subito affermare che la prospettiva da loro avanzata, cioè, un nuovo Ccnl per le sole aziende della ristorazione collettiva è apertamente in controtendenza con il disegno di razionalizzazione degli assetti contrattuali, rappresenta una ulteriore moltiplicazione contrattuale, figlia di una disgregazione della rappresentanza degli interessi, ormai sempre più diffusa, come dimostrano le vicende di Federdistribuzione e della vigilanza privata.
In ogni caso, resta l’impegno alla mobilitazione del settore, che già vedrà iniziative territoriali in programma questa stessa settimana ed invitiamo tutte le strutture a non dare per scontato che ai primi di gennaio la minaccia di Angem potrà sicuramente rientrare.
L’altro capitolo riguarda il Ccnl della vigilanza.
Anche qui, dopo la recente dichiarazione di negativo esaurimento del negoziato, date le inconciliabili posizioni delle parti, Assiv e Cooperazione si sono rifatte vive e lunedì scorso si è tenuto un nuovo incontro per tentare di individuare una strada che potrebbe portare alla conclusione di questa lunga trattativa.
Diversamente dalla questione precedente, in questo caso il cambio di appalto rappresenta uno dei problemi di rilievo sui quali sembra essere consolidata una soluzione positiva. Mentre su orario, classificazione e salario le posizioni continuano ad essere distanti.
La nostra opinione è che con uno sforzo delle parti su orario e classificazione si possa trovare una mediazione sostenibile, mentre sul salario, pesano anche in questo caso le conseguenze di una situazione di difficoltà delle aziende, che rendono illusorie le richieste avanzate tanto nella piattaforma, quanto nei tatticismi adottati al tavolo.
Un tavolo che risente anch’esso delle conseguenze negative dello sfaldamento del fronte datoriale, con Federsicurezza ormai sempre più interessata a confezionare un contratto separato per i servizi fiduciari con chi dei sindacati fosse disponibile a farlo.
Un tavolo che risente, però, anche di evidenti sottovalutazioni di parte sindacale, o, come minimo, di scarsa determinazione nell’assumere la conclusione di questa vicenda quale una delle priorità dell’agenda sindacale.
Se il settore della vigilanza privata può essere considerato una delle nostre cenerentole, dobbiamo ammettere che anche il sindacato non fa granché per evitare che lo sia davvero e a poco è valso fino ad oggi il tentativo, spesso solitario, della Filcams di costruire una vertenza all’altezza della gravità dei ritardi registrati in questo rinnovo.
L’altro tavolo contrattuale aperto è quello del lavoro domestico, con dinamiche sindacali profondamente diverse da quelle più abitualmente frequentate dal nostro agire quotidiano.
In questo settore, a fronte delle difficoltà che ancora viviamo al tavolo negoziale e di cui parlerà Giuliana, dobbiamo registrare la grande soddisfazione avvenuta proprio ieri, per la ratifica da parte del Governo Italiano della Convenzione Internazionale sul lavoro domestico decente.
Dal 2010 la nostra organizzazione ha seguito il lavoro preparatorio ed era presente il 16 giugno 2011 a Ginevra quando all’ILO fu varata la Convenzione. La gioia e l’entusiasmo delle lavoratrici di tutto il mondo presenti allora a Ginevra è oggi anche la nostra, perché l’Italia ha finalmente ratificato la Convenzione, come settimo paese al mondo e primo paese in Europa. Da mesi le organizzazioni sindacali lavoravano insieme per sollecitare questa ratifica che interessa più di 100milioni in tutto il mondo e oltre 2 milioni in Italia.
L’alto valore dei contenuti della Convenzione in termini di diritti e pari dignità sarà uno strumento importantissimo anche per la trattativa di rinnovo del contratto nazionale del settore aperta da più di un anno che ci auguriamo di poter concludere anche dietro la spinta di questo importante avvenimento.
La vicenda sindacale più recente è stata caratterizzata dall’ennesimo accordo separato sulla produttività.
L’inutilità di questo accordo risulta innanzitutto dal rapido deteriorarsi del quadro politico, che nei giorni immediatamente successivi ha caratterizzato la vita di questo Governo, che ha voluto forzare per il raggiungimento di quell’intesa, anche senza la firma della nostra organizzazione. Se il Governo avesse dovuto rappresentare un interlocutore indispensabile per intervenire sulle diverse diseconomie che contribuiscono ad abbassare la produttività del nostro Paese, ormai se ne riparlerà dopo le prossime elezioni politiche previste a febbraio.
Un accordo inutile anche per i suoi contenuti. Per dirla in breve non c’è alcuna relazione tra la questione produttività in Italia e quanto in esso concordato. Tutti sanno che l’Italia è seconda solo alla Grecia per numero di ore lavorate e tutti sanno che i salari italiani sono fra i più bassi dell’Europa. Non è dunque vero che lavoriamo meno e guadagniamo troppo, non è questa la causa della bassa produttività, che va invece cercata in altri fattori, ben più importanti.
Il crollo degli investimenti privati e pubblici; l’assenza di infrastrutture e servizi; politiche del credito orientate agli investimenti speculativi, invece che al sostegno all’industria; una pubblica amministrazione i cui meccanismi sembrano pensati per scoraggiare l’inventiva piuttosto che incentivarla. E poi, un fisco iniquo e vessatorio, una grande evasione fiscale ed una dilagante corruzione. Sono queste le principali cause che fanno del nostro sistema il fanalino di coda della produttività in Europa e nel mondo.
Eppure, si è voluto intervenire ancora una volta sul fattore lavoro, unico fattore sul quale si è ripetutamente intervenuti dal 1993 ad oggi. Un ventennio inaugurato dalle politiche per la flessibilità del lavoro, che dovevano regalare maggiori opportunità per la crescita economica ed occupazionale e che ci consegnano oggi uno dei mercati del lavoro più precari e destrutturati, con una infinità di tipologie contrattuali, che la riforma Fornero non è riuscita a semplificare e che contribuiscono a fare di quel 35% di disoccupazione giovanile il simbolo della nostra precarietà.
Inoltre, l’accordo sulla produttività, il cui unico risultato sarà quello di ridurre i salari e gli stipendi di chi lavora, interviene nuovamente sulle dinamiche contrattuali, innanzitutto trasferendo quote del salario nazionale al secondo livello, con l’unico scopo di acquisire le risorse destinate dal Governo alla detassazione dei salari di II livello, dimenticando che in settori come i nostri questo livello di contrattazione è una pura chimera.
Infine, non solo gli impegni assunti con l’accordo del 28 giugno 2011 risultano ancora inevasi, ma per i settori a suo tempo esclusi, come il nostro, non è stata decisa alcuna forma di allineamento, risultando ancora un settore totalmente privo di regole.
Sul terreno del merito, dunque, poco o nulla di quell’accordo potrà modificare in positivo le sorti della produttività, né delle dinamiche contrattuali.
Dell’altra parte, resta un mistero come si possa incrementare la produttività del lavoro in piena recessione, senza rilanciare con forza una crescita sostenuta da massicci investimenti ed una chiara scelta di inversione di tendenza nei modelli di sviluppo che hanno segnato il passo, se non addirittura mostrato il loro definitivo fallimento in questi anni. Cose del tutto assenti tanto nelle politiche del Governo, quanto nelle scelte delle imprese italiane.
Per questo è nostro compito tenere alta l’attenzione sui temi del settore terziario e del suo sviluppo sostenibile. Le uniche politiche decise per il settore in questi mesi sono state quelle della completa liberalizzazione degli orari commerciali, che nulla hanno prodotto e potevano produrre in termini di incremento dei consumi e dell’occupazione. L’unica conseguenza è stata il peggioramento delle condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, da noi sempre denunciata nel corso della campagna nazionale La festa non si vende.
Chiudiamo il 2012 senza disporre ancora della sentenza della Corte Costituzionale in ordine ai ricorsi fatti da alcune regioni italiane. In alcune di queste regioni ed in qualche comune, anche per il fatto che le liberalizzazioni non hanno sortito l’effetto voluto, si sta tentando di ripristinare un minimo di regolamentazione. Ma ciò che più ha caratterizzato gli ultimi mesi dell’anno sono stati due fatti: da un lato, la crescita di un movimento spontaneo di delegati, che ha investito alcune realtà territoriali come quella dei Gigli di Sesto Fiorentino, con l’obiettivo di liberare la domenica con la campagna “domenica NO grazie”; dall’altro, la tardiva discesa in campo della Conferenza Episcopale Italiana alla quale si è associata l’iniziativa della Confesercenti, per una raccolta di firme a sostegno di una legge che modifichi quella che ha recentemente liberalizzato. Un’alleanza strana tra il diavolo e l’acqua santa, potremmo dire, ma che noi abbiamo salutato come importante, perché dimostra che la partita non va data per chiusa definitivamente.
Credo assolutamente corretto affermare che in un certo qual modo tutte queste espressioni sono figlie della nostra campagna e se c’è una organizzazione che non può certo essere accusata di immobilismo o di ritardi in questo campo, essa è proprio la Filcams, che da subito si è mossa contro le liberalizzazioni, sia da sola, che con iniziative unitarie, dove ciò si è reso possibile.
Per queste ragioni abbiamo deciso di lanciare ufficialmente con questa sessione del direttivo la seconda fase della campagna La festa non si vende, si vive. Una campagna nazionale per una alternativa ai consumi festivi. Gli obiettivi naturalmente restano gli stessi, ma contestualizzati nel periodo natalizio, a partire dal materiale predisposto, che vi sarà illustrato nel corso del dibattito.
Possiamo dire che rispetto alla fase nella quale fu impostata la prima campagna, questa seconda fase è supportata dalla stessa esperienza contrattuale, che dimostra l’assenza di ogni approccio ideologico o pretestuoso al tema del lavoro domenicale. Diversi accordi sottoscritti nelle aziende hanno dimostrato la possibilità di rendere fra loro compatibili la difesa della volontarietà e la garanzia del presidio, nel quadro di una programmazione delle aperture, ipotesi che entrerebbe decisamente in crisi in un contesto di piena liberalizzazione in periodo recessivo come questo.
Tutte queste riflessioni porteremo nella imminente Conferenza di Programma che la Cgil ha programmato per la fine di gennaio. In quella sede il Piano per il Lavoro costituirà il terreno sul quale la nostra Confederazione chiamerà la politica e le imprese ad un nuovo, grande sforzo per delineare nuove politiche di crescita dell’economia e dell’occupazione.
La Filcams intende contribuire a questa Conferenza portando il contributo autonomo di una categoria, che rappresenta un mondo del lavoro sempre più di frontiera, dovendo dimostrare che il lavoro flessibile, quale inevitabilmente è quello dei nostri settori, può essere declinato non in termini di precarietà, ma quale opportunità per offrire un futuro alle generazioni che si affacciano a questo mondo, oltre a quelle che già lo occupano. Per questo chiediamo a tutte le strutture di avviare o proseguire al loro interno un approfondimento sui temi proposti dal Piano per il Lavoro elaborato dalla Cgil Nazionale.
In occasione della Conferenza di programma abbineremo una riflessione sullo stato della nostra organizzazione. Avremmo voluto svolgere la Conferenza di Organizzazione, ma la scelta della Cgil di tenere la Conferenza di programma ci obbliga a veicolare il nostro dibattito sulle politiche organizzative in connessione con la discussione sulle politiche strategiche della Filcams. D’altra parte così è anche meglio, perché l’organizzazione è il mezzo e la politica il fine.
Ma è importante fare questa discussione, perché il 2013 sarà con ogni probabilità l’anno di inizio della campagna congressuale e la Filcams dovrà arrivarvi trovando tutte le necessarie conferme dell’impegnativo processo di rinnovamento avviato sia al nazionale che in tutti i territori.
Già è per noi motivo di grande soddisfazione poter concludere questo anno con uno dei risultati più importanti di questo progetto, che ha assunto la politica dei quadri e delle risorse umane quale asse centrale del rinnovamento. Infatti, come molti di voi sanno, perché erano presenti, lo scorso 7 novembre, alla presenza del Segretario Generale Susanna Camusso, la Filcams ha inaugurato il Piano nazionale Formazione che avrà nel suo libretto formativo personale l’oggetto prevalente della sperimentazione legata alla certificazione. Siamo la prima struttura ad averlo adottato e se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo dire che il bilancio con il quale si chiude l’anno formativo e ben augurale, come dirà tra poco la compagna Francesca mandato, responsabile del nostro dipartimento formazione e ricerca.
Ma il 2013 dovrà essere soprattutto l’anno nel quale dare nuovo impulso alla costruzione di una nuova rete di delegati. Questo è il vero vulnus della Filcams. Il rischio che diventi una categoria sempre più senza delegati, per effetto della destrutturazione del mercato del lavoro. Ma anche per questo una categoria che deve progettare, inventare un nuovo modo di essere e fare il rappresentante sindacale, in grado, cioè, di rappresentare sempre più i bisogni e le condizioni del lavoro precario. E dobbiamo dire con molto coraggio e molta onestà, che senza una campagna di tale consistenza, in grado di costruire una nuova rete di delegati, il rischio non potrà che essere quello di continuare a vivere con il cosiddetto quadro storico, sempre più residuale e spesso incapace di “sentire” i bisogni nuovi, come in alcune vertenze abbiamo verificato. Ma è naturale che sia così, perché vale la legge dell’organismo, che chiede periodicamente il ricambio dei tessuti organici.
In questo quadro, un appuntamento importante sarà l’Assemblea Nazionale Rls, prevista per i primi del prossimo anno, la cui realizzazione è stata un po’ ritardata per la fase di preparazione delle piattaforme contrattuali del turismo e multiservizi e successiva consultazione. Il tema della salute e della sicurezza vuole per noi rappresentare uno dei punti cardinali di una nuova cultura del lavoro, che tenga insieme lavoro-produzione-ambiente. La vicenda di Taranto dimostra che mantenere in conflitto questi fattori porta alla sconfitta di tutti gli interessi. La cultura della sostenibilità, quindi, della sicurezza deve dunque rappresentare il dna della nostra nuova generazione di rappresentanti sindacali.
Infine, il 2012 si chiude con una notizia davvero interessante. La Filcams marcia sempre verso l’obiettivo di essere la prima categoria fra gli attivi. Già lo siamo diventati nel programma di certificazione degli iscritti adottato dalla Cgil. Vogliamo che il 2013 sancisca questo dato. Certo, i nostri sono iscritti poveri, spesso disoccupati, ma il nostro compito è quello di dare voce a questo mondo di invisibili. Pensiamo di essere sulla buona strada, ma non per questo ci accontenteremo di quanto fin qui fatto.
Con gli auguri di buon lavoro rivolgo, pertanto, a tutti voi, a nome della segreteria e della struttura nazionale, anche i migliori auguri per il nuovo anno. Buone Feste a tutti!