12/11/2021 ore: 16:48

Lavoro sommerso e illegale, una piaga italiana

Contenuti associati

Tre milioni e seicentomila posizioni irregolari. Nel 2019 (ultimo dato disponibile nelle ricerche periodiche dell’Istat) il lavoro nero, illegale o sommerso pesava per circa 185 miliardi di euro, la tendenza porterebbe per quest’anno il valore delle irregolarità a circa 203 miliardi, più del 10 per cento del Pil. Risorse che sfuggono al controllo di fisco e previdenza, senza portare un solo centesimo nelle casse statali e anzi, arricchendo illecitamente chi le gestisce.

Il Rapporto sull’economia non osservata, che l’istituto nazionale di statistica redige ogni anno, fotografa un paese dove il malaffare la fa ancora da padrone, patria di “furbetti del quartierino” (per usare un eufemismo) se non di veri e propri delinquenti. Vittime dell’economia sommersa e illegale: elusione ed evasione di tasse e contributi contraddistinguono la prima; la seconda con attività fuori legge quali spaccio di droga, prostituzione, vendita di prodotti e servizi in mano alla criminalità organizzata.

A farne le spese, oltre alle casse statali, sono quei tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori costretti (quando proprio non ricattati) ad accettare impieghi sottopagati, senza contratto, privati di diritti e tutele.

Il settore dove il fenomeno si manifesta più prepotentemente è quello dei servizi alle persone (35% del valore totale), seguito da commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (21,9%) e dalle costruzioni (20,6%). Soldi sottratti illecitamente allo Stato privando i cittadini di servizi e infrastrutture e togliendo risorse, soprattutto, a politiche attive per un lavoro “buono”.

Nel lavoro domestico le situazioni più pesanti

È il comparto del lavoro domestico quello dove le irregolarità si manifestano con numeri preoccupanti. Secondo stime Istat sarebbero almeno un milione e 200mila i lavoratori, in gran parte stranieri, irregolari in un settore che ne occupa circa 2 milioni: il 60% di tutti gli assistenti familiari sarebbe irregolare, il 40% di tutti i lavoratori irregolari in Italia. Irregolarità che si ripercuotono sulla qualità del lavoro.  Senza contratto, colf e badanti prestano la loro attività senza regole, senza diritti, senza tutele.

È in questo quadro che le parti sociali del contratto nazionale del lavoro domestico hanno chiesto al Governo di intervenire, riscrivendo le regole di un settore importante per le altissime potenzialità di inclusione, di assistenza, di cura. Richieste condivise con i sindacati anche dalle associazioni delle famiglie che qui occupano il ruolo di datori di lavoro. Contro l’illegalità gli interventi dovrebbero andare nelle due direzioni, verso le lavoratrici (quasi il 90% dell’occupazione è femminile) riconoscendo ad esempio malattia e maternità, e verso le famiglie, consentendo agevolazioni fiscali legate alla regolarizzazione dei propri assistenti.

“Senza un intervento deciso e complessivo su questi punti – spiega Emanuela Loretone, che per Filcams Cgil cura il settore – non si sostiene un pilastro portante per il welfare familiare. La domiciliarità delle cure ad anziani, a disabili, dovrà rappresentare la nuova frontiera della politica sociale, che abbia come asse portante un lavoro tutelato e di qualità”

Turismo e ristorazione fucine di irregolarità

Non è un mistero, ed è opinione comune, che nei settori del turismo e della ristorazione si ricorre a rapporti di lavoro quantomeno “in grigio”, approfittando della stagionalità per portare gli addetti ad accettare contratti part time con orari a tempo pieno. A questo proposito è di quest’estate il rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) che fa riferimento alle ispezioni e ai controlli effettuati nelle aziende turistiche e della ristorazione. Ebbene: su circa 200 aziende controllate solo il giorno di Ferragosto su tutto il territorio nazionale, il 70% è risultato irregolare, una percentuale che non cala a fronte di oltre 10mila controlli effettuati nei mesi estivi. Sette aziende su dieci hanno visto la presenza di lavoratori in nero, con violazioni in materia di  busta paga e di tracciabilità dei pagamenti con irregolarità in merito alla sicurezza del lavoro, a forme spurie di cooperative, agli orari di lavoro, all'illecita somministrazione di manodopera e ai trattamenti contrattuali applicati ai lavoratori.
“Non può evidentemente essere questo il modello di riferimento per la ripresa – dichiara Fabrizio Russo, segretario nazionale Filcams –; la ricostruzione fornita dall’INL, seppure ancora parziale, ci consegna una situazione di ulteriore degenerazione in termini di condizioni di lavoro per gli occupati del settore anche rispetto alla già difficile fase precedente all’emergenza”.

“Non si esce dalla crisi violando la legge e non rispettando i Contratti Nazionali”, prosegue Russo, “ed è ora che politica ed istituzioni, a partire dal Governo, facciano la loro parte rispetto ad una ‘vertenza Turismo’ che va affrontata definendo misure straordinarie in considerazione della portata della crisi che il settore sta ancora attraversando, partendo dall’avvio tempestivo di un confronto con le parti sociali alla luce di quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in tema di politiche attive, sostegno all’occupazione e lotta al lavoro sommerso”.

A parlare chiaro sono i dati che evidenziano quanto il lavoro nel Turismo sia il più precario: il 41% dei lavoratori rispetto al 22% del totale dell’economia nazionale; così come è forte l’incidenza della stagionalità, il 14% rispetto al 2% del dato di riferimento a livello nazionale.

Precarietà e instabilità contrattuale sono le caratteristiche di un comparto nel quale più del 55% dei lavoratori a chiamata presta attività nella filiera del Turismo e della Cultura. Lo dimostrano anche i dati relativi alle assunzioni a tempo indeterminato, nettamente inferiori nel Turismo e nella Cultura rispetto agli altri settori: il 59% a tempo indeterminato contro l’82% del totale economia. Il lavoro nel Turismo è anche “il più nero”: sempre secondo i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, il 46% delle violazioni totali, mentre un altro 12% riguarda l’orario di lavoro.

A tutto ciò si aggiungono le basse retribuzioni (nel Turismo e della Cultura sono pari ai 2/3 del totale economia), l’orario di lavoro ridotto (il 54% di part time contro il 29% del totale economia) e la dequalificazione professionale (82% di qualifiche “operaie” contro il 53% del totale economia).

“Un nuovo modello di Turismo è possibile”, conclude Russo, “inclusione, sostenibilità e legalità, nel perimetro del rispetto della legge e dei Contratti Nazionali di settore; solo così sarà possibile gestire la ripresa per un rilancio del settore”.

Salari e occupazione: Italia fanalino di coda dell’Eurozona

A completare il quadro arriva anche una recente ricerca della fondazione Di Vittorio su “Massa salariale e occupazione”: i dati sono impietosi quanto prevedibili, nel raffronto tra il 2019 e il 2020, anno della pandemia, ma raggiungono vette drammatiche per il nostro Paese se raffrontate con quelli registrati nell’Eurozona.