22/4/2022 ore: 14:10

Ora ci si mette anche il Ministro del Turismo

Non si tratta di precarietà, sfruttamento e compensi indecenti: il problema del settore, secondo Garavaglia, è il reddito di cittadinanza ​

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Last but not least, si potrebbe dire. Dopo mesi di polemiche sul potere che il reddito di cittadinanza avrebbe di allontanare i giovani - e non solo - dal lavoro, polemiche ormai usurate come un legno in riva al mare dopo un lungo inverno, il mantra ritorna e a recitarlo è proprio il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, che punta le sue osservazioni verso il bacino della stagionalità, dove il presunto opportunismo degli sfaticati mantenuti dallo Stato si annida pericolosamente, mettendo a repentaglio le sorti del Turismo nazionale.

A stimolare questa presa di posizione ufficiale è stato l'intervento di Fratelli d'Italia al question time alla Camera. Ma sullo sfondo ci sono probabilmente anche i nuovi - si fa per dire - peana di qualche chef, più o meno stellato, tornato a puntare il dito contro le mollezze di generazioni "choosy", come si sarebbe detto tempo addietro, che alla "dedizione" al lavoro preferirebbero i weekend con gli amici.

"Nei prossimi mesi di quest'anno serviranno circa 250mila lavoratori per il settore del Turismo" dichiara il ministro Garavaglia, citando i risultati di un'indagine di Unioncamere e Anpal.

Un vuoto sul quale "incide il reddito di cittadinanza, soprattutto nei casi di rapporto di lavoro temporaneo stagionale in cui l'ammontare dei redditi e l'instabilità del rapporto di lavoro non risultano sempre allettanti di fronte al reddito di cittadinanza percepito".

Eppure anche in queste ultime parole, a ben vedere, ci sarebbe un barlume di realtà, un accenno anche se di sfuggita ai problemi veri sui quali questa diaspora professionale si fonda.

"L'ammontare dei redditi", "l'instabilità del rapporto di lavoro", che per il ministro sono solo "poco allettanti", sono invece per la Filcams Cgil la punta di un iceberg oscuro, che affonda la sua vasta base su un robusto impasto di lavoro nero, di grigiume dei contratti a metà che dichiarano solo una parte delle tante ore lavorate, di orari infiniti e straordinari non riconosciuti, riposi settimanali ignorati con sprezzo, come se riposarsi fosse un insulto all'efficienza e alla disponibilità - devozionale, appunto - che un impiego stagionale per sua natura dovrebbe richiedere: hai la fortuna di lavorare questi quattro o cinque mesi, non puoi perdere neanche un minuto a riprendere fiato, lo farai dopo.

Una fatica enorme, quindi, e uno straniamento dalla sfera personale ai quali non corrispondono compensi adeguati. Un panorama nel quale, nota la Filcams, l'applicazione corretta del contratto nazionale di categoria è un fenomeno di proporzioni ridotte rispetto alla consistenza dei rapporti di lavoro che la stagione chiede di attivare.

Tra il reddito di cittadinanza e uno stipendio dignitoso, che tenga nella giusta considerazione la mole di lavoro e l'intensità dell'impegno che richiede per permettere alla macchina del Turismo di funzionare a pieno regime, la differenza sarebbe cospicua e non indurrebbe a esitazioni i più.

Tra il reddito di cittadinanza e le attuali forme di reclutamento di lavoratrici e lavoratori stagionali, che secondo qualcuno dovrebbero essere anche lieti di avere l'opportunità di imparare qualcosa alle dipendenze di illustri datori, lo scarto invece in molti casi è esiguo.

Ma non fermiamoci ai conteggi, il numero di ore lavorate e le cifre dei compensi, proviamo ad andare anche oltre, verso il rispetto della dignità delle persone che lavorano: perché è lì, soprattutto, che si concentra il grande vuoto, è lì che quei 250mila si perdono, per non farsi trovare.

"Non dimentichiamo che dietro questa pigra interpretazione riproposta dal ministro c'è una categoria di lavoratori provata da condizioni professionali insostenibili e da una inveterata precarietà di sistema" commenta Fabrizio Russo, segretario nazionale Filcams Cgil. 

"Siamo costretti a ripeterlo ancora una volta: quello che manca non è la voglia di lavorare, ma un'offerta occupazionale che non violi i diritti basilari di lavoratrici e lavoratori e permetta loro di vivere dignitosamente".