19/6/2002 ore: 17:57

Una piccola-grande ricerca che produrrà dialogo

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mercoledì 19 giugno 2002


Indagine della Filcams di Bergamo sulle condizioni di lavoro nella Grande Distribuzione
Una piccola-grande ricerca che produrrà dialogo

Nedo Bocchio

BERGAMO - “Io che lavoro in un supermercato... – Indagine sulle condizioni di lavoro nella grande distribuzione a Bergamo”, a cura di Gloria Volpato e Silvia Zanolini, è una ricerca che si presenta in vesti dimesse e con lo spirito di chi sta dicendo: «vedete un poco questa piccola cosa», eppure ha già lasciato il segno sulle persone che hanno accolto l’invito della Filcams, nella Sala Borsa Merci di Bergamo, per la presentazione della ricerca. Non è stato un vero e proprio convegno; piuttosto, un supplemento d’indagine; una partecipazione firmata – l’esatto contrario dei lavoratori che hanno compilato il questionario in forma rigorosamente anonima – e in grado di dare sostanza, direttamente sindacale, alla lettura che ognuno è autorizzato a ricavarne. Così, erano presenti dirigenti degli ipermercati nei quali l’indagine è stata condotta e dirigenti Filcams e confederali di Bergamo, del regionale Lombardia, il segretario generale della Filcams nazionale, Ivano Corraini.

La ricerca ha toccato cinque ipermercati della provincia di Bergamo, iper forti nel reparto food e iper specializzati nel non-food; quasi tutti di impianto recente e con tassi ridotti di sindacalizzazione; in compenso, magazzini dove il personale impiegato è in genere giovane. Già le risposte date alle domande che tentano di delineare un profilo degli intervistati sono di estremo interesse. Alla maggioranza delle persone che hanno risposto [chi è interessato troverà l’intera indagine on-line] può essere attribuito questo profilo: giovani tra i 21 e i 35 anni, in stragrande maggioranza femmine, sposati, metà senza figli e metà con figli: uno o due figli di cui il primo non ha più di cinque anni. Questi lavoratori – o meglio: queste lavoratrici – sono impiegati nelle mansioni di hostess di cassa e di rifornitore al banco e dichiarano per l’81,5 per cento un contratto a tempo indeterminato, mentre il 17,8 per cento è a tempo determinato. Interessante sapere che, pur in presenza di contratti part-time, il 77,8 per cento non svolge qualche altra attività. Altrettanto interessante è che i lavoratori a tempo indeterminato sono in azienda da 1 a 15 anni e i lavoratori a tempo determinato sono impiegati con contratti superiori ai 18 mesi.

La ricerca delinea un quadro sufficientemente preciso? Vi sono comprese tutte le coordinate per ritenere l’indagine specchio della Grande Distribuzione Organizzata? Le ricercatrici, con raro coraggio intellettuale, nel testo della ricerca dichiarano: «Abbiamo richiesto la compilazione del questionario da parte del 20 per cento dei lavoratori di ciascun negozio (ad esclusione di impiegati, dirigenti, capi reparto e capi servizio). È evidente che, con queste premesse, la ricerca non può vantare alcuna “scientificità” dal punto di vista statistico; ci sembra però che i 297 questionari che abbiamo analizzato siano comunque un campione significativo e degno di interesse».

Altroché, se è significativo. Lo è in quanto “ voce” di un gruppo di lavoratori. Lavoratori che si sono espressi parlando al sindacato; dicendo in negativo e in positivo “come sentono” il loro lavoro.

Ivano Corraini, nell’intervento conclusivo ha detto che questo tipo di ricerca non va sotto il titolo di «ricerca scientifica sul lavoro», ma sotto quello di «stimolo all’azione sindacale».

Riflettendo sulle caratteristiche della ricerca e sugli strumenti d’ indagine utilizzati, vale a dire il questionario, Volpato e Zanolini scrivono: «Il punto di vista che i lavoratori esprimono con le loro risposte ci accompagna a una lettura della situazione ancora diversa, sia rispetto a quella “battagliera” dei sindacati che a quella “arroccata” dell’azienda. Queste contraddizioni rimandano a posizioni statiche che i diversi attori sembrano avere nei confronti della realtà che condividono; si è cercato dunque di dare un contributo in funzione di una visione più dinamica del contesto, senza cercare di limare le contraddizioni e di costringere i dati in un quadro coerente, apprezzando e valorizzando gli spunti di riflessione che proprio l’incoerenza, in quanto ci spinge a non irrigidirci nelle teorie “da sposare”, ci permette».

Questo non solo non è poco, ma è un punto di partenza, è una situazione da interpretare sotto il punto di vista “politico” – e come si sa, il punto di vista politico non soggiace al valore “scientifico” e “statistico”. Si potrebbe dire, riguardo a questa indagine: «Toh, chi si rivede: l’intervista, il questionario, l’indagine sul corpo vivo del lavoro».

Il sindacalismo italiano, e europeo e perfino americano, deve molto a questi strumenti “non scientifici” di conoscenza e di intervento politico. C’è stata una fase di passaggio e di ridefinizione delle politiche sindacali in cui questi strumenti hanno dato il meglio.

Basti intanto sottolineare che il confronto è già iniziato. Lì, nella sala della Borsa Merci, aziende e sindacati hanno avviato il balletto del confronto. «Questa cosa si può fare»? « Forse, vediamo».

«La competizione nel settore – ha detto Corraini – può essere tutta giocata sulla compressione dei costi o sull’esaltazione della qualità e del servizio. Io, come sindacalista, scelgo la seconda via. Voi, aziende, cosa scegliete»?

E ancora: «Dalle risposte emerge una contraddizione, che a mio avviso è apparente. Alla domanda su perché si è scelto il commercio come settore di lavoro, la risposta è: perché è flessibile. Poi però si dichiara una certa insoddisfazione in quanto a orari. Ebbene, nell’immaginario il terziario è flessibile e per i giovani “flessibile” non è una parolaccia, ma quando si capita dentro, la realtà è diversa, perché l’articolazione degli orari è fatta sulle necessità delle imprese e le esigenze dei lavoratori vengono compresse.

«Ma non è possibile – chiede e si chiede Corraini – ritenere ciò un problema da superare? Non pensate sia possibile, rivedendo i modelli contrattuali, quelli del confronto con l’azienda (non gli assetti generali della contrattazione), pensare all’autodeterminazione dell’orario e trovare spazi per la soddisfazione del lavoratore? E sul salario, riusciamo a riconoscere la partecipazione al lavoro dell’azienda, al buon andamento del negozio e non solo all’andamento generale dell’impresa»?

Un dirigente di Auchan-Rinascente aveva spiegato come, a suo avviso, il gruppo di lavoro sarà il futuro della Gdo: 10-15 persone che decidono il proprio orario di lavoro. «Questo – ha detto – che è il sogno di sempre, può essere possibile con tanta comunicazione e tanta formazione».

Per il momento il seme è gettato, il dialogo è già iniziato, e se così è, grazie a una “piccola ricerca”, ben tornato questionario.

Il materiale della ricerca