8/3/2004 ore: 11:52

«Alle donne anche il 20% in meno»

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domenica 7 marzo 2004
INCHIESTA
Stesso lavoro, stipendi più magri «Alle donne anche il 20% in meno»

Torna ad allargarsi la forbice delle retribuzioni: persi due punti in un anno
      ROMA - Le mimose dovrebbero fiorire in busta paga. Che invece le lavoratrici italiane scoprono sempre più «diserbata» e striminzita. Regolarmente più leggera di quella dei colleghi che pure fanno lo stesso lavoro. Le statistiche per una volta concordano: nella categoria dei dipendenti le donne guadagnano fino al 20 se non al 25 per cento in meno degli uomini. Dall’assunzione alla pensione. Qualunque sia la professione la costante è questa: lo stipendio di una donna è e resta più basso. Qualche anno fa la tendenza si era invertita, la forbice ridotta. Adesso c’è un nuovo dietro front: signore, il lavoro vi nobilita, la retribuzione no.

      STIPENDI - Che i cedolini mensili rosa siano più leggeri lo conferma uno studio della Banca d’Italia sui consumi delle famiglie: nel 2000 la retribuzione media annua di un operaio era di 12.000 euro, quella di un’operaia con pari qualifica arrivava a 8.676. Un impiegato si è portato a casa 15.906 euro, la vicina di scrivania 12.205, un dirigente 33.606 euro contro i 21.554 del suo equivalente in gonna.


      SECONDE IN UE - Tutto ciò accade non (soltanto) perché signore e signorine lavorino meno. Sono proprio pagate poco. Lo dice la Commissione Ue nel rapporto sulla «Situazione sociale in Europa 2003». Pagina 32, tabella Eurostat: la retribuzione media oraria lorda di un’italiana è il 91% di quella di un italiano. Nove punti in meno, un anno prima erano 7, cinque anni prima erano 6. La statistica (dati del 1999) comprende tutti i lavoratori dipendenti tra i 16 e i 64 anni in servizio per almeno 5 ore settimanali. Ci si potrebbe consolare riflettendo che le colleghe europee quasi dovunque stanno messe peggio. Siamo seconde. Meglio di noi stanno soltanto le portoghesi col 95%. Più giù francesi (88), danesi (86), finlandesi (81, olandesi (79), ultime a pari merito irlandesi e inglesi col 78 per cento. In media un’europea ha un reddito decurtato del 16% rispetto al collega maschio. Pure in Usa la matematica è questa: le americane guadagnano il 20% in meno dei coworkers, riporta il General Accounting Office del Congresso.


      LAUREATE E MALPAGATE
      - Che aria tira nel mondo del lavoro le donne lo scoprono subito. Si laureano prima dei maschi, con voti migliori, ma trovano impiego con più fatica e minor fortuna. Dicono i dati del consorzio interuniversitario AlmaLaurea che, a un anno dalla tesi, gli uomini guadagnano il 26% più delle colleghe: 1.089 contro 864 euro. Dopo 5 anni si sale al 27%: 1.417 contro 1.115 euro. A parità di posizione le lavoratrici prendono sempre e comunque di meno. «Soltanto» il 7% tra gli imprenditori, fino al 30 per chi è saltuario. Commenta Chiara Saraceno, ordinaria di Sociologia all’università di Torino: «Lo scarto economico a parità di mansioni è più evidente ai livelli più alti, dove lo stipendio è legato alla negoziazione individuale. Nelle professioni intellettuali le donne guadagnano in media 200 euro meno dei colleghi, in quelle tecniche 180. Le diplomate perdono 125 euro al mese». Una indagine della provincia di Bologna su 454 dipendenti donne e 517 uomini ha calcolato che le prime ci rimettono in media 132 euro al mese. Uno studio della Cgil di Torino completa il quadro. Il lavoro fa male alla salute delle donne: il 52% ha mal di schiena, il 44 dolori alle braccia, il 42 alla testa, il 30 l’ansia, il 71 si annoia.


      CHE FORBICE - Uno studio della Cgia (associazione artigiani di Mestre) evidenzia quanto tagliente sia la forbice dello stipendio. Un operaio del settore chimico farmaceutico nel 2003 ha guadagnato 22.970 euro, l’operaia 19.186 (meno 19,7 per cento). Nel settore mezzi di trasporto: lui 21.156 euro, lei 18.516 (meno 14,3). Un impiegato nel settore commercio 24.666 euro, la collega 20.508 (meno 20,3). In banche e assicurazione il gap tra operai è da guinness: 27.098 contro 17.197.


      MANAGER - Sebbene l’Unioncamere certifichi che, a fine 2003, una impresa individuale su 4 è guidata da una donna, ecco che la Federmanager controbilancia con i suoi dati. Su 309 piccole e medie imprese ci sono 118 donne manager. Pagate un 15% meno degli uomini: 76.527 euro l’anno contro 88.308. Il divario sale al 25% nella retribuzione variabile.


      SPIEGAZIONI - Il rapporto 2003 del Cnel conferma le cifre del divario, in più fornisce qualche spiegazione sul perché le donne che lavorano ci rimettano così tanti euro. Inquadramento ai livelli più bassi, presenza più massiccia in settori meno retribuiti (dove maggiori sono le discriminazioni), in aziende più piccole o negli impieghi saltuari. Ma per il 45% il mancato guadagno si deve al minor numero di ore lavorate. Le donne fanno più part-time, gli uomini più straordinari. Non sempre però è una scelta. «Alla partenza una donna ha persino una marcia in più, nel percorso finisce penalizzata», dice Giovanna Altieri, dell’ufficio studi Ires-Cgil. «La famiglia, i figli, sono sulle sue spalle. Le lavoratrici sono per forza meno disponibili a prolungare l’orario o a cambiare sede. E in un modello di lavoro fidelista, fondato sulla presenza in azienda, la lavoratrice ci rimette». Niente straordinari, niente benefit, niente carriera. «Le donne vanno bene per fare i muli, per fare le segretarie, ma dai vertici restano fuori». Più si sale e più si allarga la forbice, conferma Aitanga Giraldi, dipartimento Pari opportunità della Cgil: «I contratti sono impostati ad uso del lavoratore maschio».


      CONTENTE - L’Istat ha radiografato i lavoratori per ruolo gerarchico (dati 2000). Tra gli uomini il 71 per cento è in basso, l’11,8 in alto. Tra le donne in basso c’è l’82,5 per cento, in alto il 4,8. Nonostante ciò più femmine che maschi (11,8 contro 10,7) si dichiarano soddisfatte del proprio lavoro. Forse non hanno ancora fatto bene i conti.
Giovanna Cavalli


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