19/2/2007 ore: 12:45
"BuoniPasto" La seconda guerra dei ticket restaurant
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Pagina 17 - Cronache Il caso Il Tar annulla il compromesso Sciopero in vista dei ticket restaurant
E’ scoppiata la seconda guerra dei buoni pasto, con minaccia di sciopero del ticket a tempo indeterminato da parte dei ristoratori, e a farne le spese saranno i 2 milioni e 500 mila lavoratori italiani che ogni giorno contano su questa indispensabile risorsa alimentare per sopravvivere (bene o male, dal punto di vista della qualità e della quantità) alle esigenze della pausa pranzo. La prima crisi si è scatenata nel 2005 e ha portato i bar, i ristoranti e le pizzerie a rifiutare i buoni presentati dai lavoratori come se fossero diventati carta straccia, e questo per ben due settimane, con un maggior costo stimato dai consumatori dell’Adoc in 74 euro per lavoratore coinvolto; un fastidio non indifferente già per chi gode di lauti stipendi e può pagarsi un’alternativa, e addirittura un incubo per tanta gente che fatica a far quadrare i conti a fine mese e aspirerebbe a mangiar fuori decentemente con modica spesa. La pace venne faticosamente raggiunta grazie a un decreto del 18 novembre del 2005, che però il Tar del Lazio ha azzerato pochi giorni fa riportando l’intera vicenda al punto zero. Al di là delle persone direttamente coinvolte il settore è importante anche a livello di economia generale perché movimenta ogni anno 2,5 miliardi di euro in 100 mila esercizi convenzionati. La Fipe-Confesercenti (che federa i ristoratori) fa sapere che contro gli ultimi cambiamenti sfavorevoli delle regole ci sarà almeno un giorno di sciopero ma se necessario anche molti di più, fino all’ipotesi di serrata del buono pasto «sine die», per chiedere in particolare di ripristinare tempi certi di pagamento - da riportare entro i 45 giorni obbligatori - e garanzie di solvibilità da parte delle società emettitrici dei buoni. Se i problemi non si risolvono, dicono gli esercenti, «il business diventa ingestibile a meno di rimetterci e allora il servizio deve essere sospeso in tutta Italia». Un’altra richiesta è abolire le gare online al massimo ribasso, vietate nel 2005 e tornate legali da una settimana, col rischio che comportano di abbassare il costo nominale dei ticket scaricando la differenza di valore reale sulle spalle dei ristoratori in forma di pesanti commissioni. Le federazioni locali della Fipe sono molto arrabbiate e si stanno già mobilitando per conto loro in vista della protesta; l’unico spiraglio è che la data degli scioperi prossimi venturi non sono ancora state fissate. C’è anche da dire che la federazione delle società emettitrici dei buoni, la Anseb (a sua volta affiliata a Confesercenti) chiede alle imprese sue associate di sospendere l’applicazione della sentenza del Tar. Ma a rivolgersi alla giustizia amministrativa è stata una società non aderente all’Anseb, la Repas Lunch Coupon (uno dei maggiori operatori nazionali con quasi il 5% del mercato) ed essendosi questa azienda presa il disturbo e la fatica di intentare causa non sarà motivata a fare marcia indietro dopo averla vinta. Quanto al ricorso al Consiglio di Stato annunciato dalla Fipe avrà tempi lunghi. Il business dei buoni pasto ha quattro protagonisti: il datore di lavoro, l’impiegato che mangia, la società che emette i buoni e il ristoratore. Il datore di lavoro prospetta le proprie esigenze alla società emittente, questa propone la soluzione più adatta e il datore di lavoro stabilisce il valore del ticket da elargire ai suoi dipendenti. La società emittente cerca e mette a disposizione una rete di punti di ristoro convenzionati. Il dipendente consuma il pasto in uno di questi pagando con il buono pasto, infine la società emittente si occupa del rimborso al ristoratore. I conti non sono più tornati quando (fra il 2003 e il 2005) le imprese emettitrici hanno cominciato a indire gare al ribasso per i buoni pasto; gli operatori hanno vinto queste gare impegnandosi a far mangiare i lavoratori a poco prezzo e per rifarsi hanno rialzato le commissioni (dall’1% medio originario a punte del 12 per cento) a carico dei ristoratori, che quindi hanno finito per pagare di tasca loro le riduzioni di prezzo. Tutto questo è stato poi vietato dal decreto del novembre 2005, ora annullato in diverse parti. I bar, i ristoranti e le pizzerie si possono difendere entro certi limiti abbassando la qualità e la quantità di ciò che mettono nel piatto ai lavoratori, ma questa strada non può essere percorsa al di là di un certo punto, perché finisce per ledere l’immagine del ristoratore, e allora ecco che l’operatore preferisce uscire dal mercato e non accettare più alcuna convenzione. |