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Il Welfare Usa vede la bancarotta |
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di MARCO MARGIOCCO
Molti europei pensano, sbagliando, che gli Stati Uniti abbiano una spesa sociale minima e neppure confrontabile con quella europea. Ma molti americani ritengono che la loro spesa sociale stia lentamente minando la contabilità nazionale, con l'ombra della bancarotta fra una generazione. E la parte più decisa del partito repubblicano, i neoconservatori alleati con gli antistatalisti alla Milton Friedman e tutti i numerosi discepoli americani di Friedrich A. Hayek sospettosi del moloch statale, sta adottando una strategia d'emergenza. Negli Stati Uniti, dicono le statistiche Ocse, la quota di ricchezza nazionale gestita dalla mano pubblica (federale, statale e locale) è nettamente inferiore, il 30% del Pil circa contro una media del 44% in Europa; e i trasferimenti e altre spese sociali, il passaggio cioè attraverso la leva fiscale e i bilanci pubblici da chi ha di più a chi ha di meno o comunque riceve, sono pari all'11% negli Usa e a una media del 18% del Pil nei Paesi dell'Unione europea. Ma nonostante questa parsimonia, anche il sistema pensionistico pubblico americano, la Social Security (Ss), pure attualmente in robusto attivo a differenza di analoghe casse europee già Stato-dipendenti, presenta sul lungo termine la certezza di spaventose voragini finanziarie, a parità di contributi e di trattamento. In Europa 12 Paesi, con l'Unione monetaria, hanno accettato di porre i propri bilanci sotto la disciplina di Maastricht e del Patto di stabilità proprio in previsione dello shock che arriverà dalla spesa pensionistica e sanitaria, che comunque andrà ridotta. Negli Stati Uniti invece gran parte dell'attuale vertice repubblicano accetta dal governo Bush deficit dei conti federali di proporzioni eccezionali, sotto l'effetto congiunto di una minore imposizione sovrapposta a un'economia più lenta che già aveva falcidiato il gettito. I più forti tagli fiscali degli ultimi 40 anni sono stati studiati da Gorge W. Bush per rilanciare l'economia e quindi generare sufficiente gettito. Ma che questo accada o no, l'aver affamato la spesa federale prima che gli squilibri della spesa sociale si facciano sentire e rendendo quindi molto difficili travasi di risorse a pensioni e sanità è già, per molti repubblicani di osservanza neoconservatrice, un risultato utile. Il messaggio per gli americani è chiaro: non pensate che la fiscalità generale possa salvare un sistema destinato alla bancarotta. Quella di affamare il bilancio per costringere a porre un limite agli impegni automatici di spesa, cioè alla spesa sociale, era già una strategia sussurrata 20 anni fa all'epoca di Ronald Reagan, e rivelata dal suo primo responsabile del Bilancio, David Stockman. Altri conservatori, successivamente, ne hanno parlato, riconoscendovi uno dei pilastri meno propagandati ma più utili dell'era Reagan. Un repubblicano insospettabile come Peter G. Peterson, già ministro del Commercio con Richard Nixon, oggi presidente della Federal Reserve Bank di New York, sostiene adesso che la strategia non è affatto sepolta. «Per numerosi repubblicani, tutto questo taglio di imposte è soltanto tattica - ha scritto Peterson domenica 8 giugno sul New York Times -. Conosco vari repubblicani, persone brillanti e ideologicamente decise, che in privato mi vanno dicendo come ciò che si sta dicendo in pubblico sulle tasse (che non solo stimoleranno l'economia, come è evidente, ma stimoleranno la ripresa al punto da generare un gettito superiore ai tagli, ndr) naturalmente non è del tutto credibile. Ma, dicono, è l'unico sistema per ridurre la spesa pubblica: disboscare le entrate e sperare che i democratici, come re Salomone, accetteranno equanimamente di ridurre le spese e non sceglieranno invece di punire i nostri figli sommergendoli di debiti». Che è invece ciò che preoccupa Peterson, presidente anche della Concord Coalition, un centro d'opinione di cui fanno parte tra gli altri l'ex presidente Fed, Paul Volcker e l'ex ministro del Tesoro, Robert Rubin, e che propone di riformare la spesa sociale rendendola sostenibile ma senza ricorrere a tattiche di "terrorismo budgetario" che potrebbero sfuggire di mano. Con tre successive leggi, nel 2001 nel 2002 e l'ultima firmata il 28 maggio scorso, il governo di George W. Bush ha dato il via a una riduzione delle tasse pari a circa 1.300 miliardi di dollari in dieci anni, mentre il saldo delle politiche fiscali di Reagan ridusse nei primi anni 80 circa 100 miliardi, in dollari costanti 2003, in quattro anni. Il confronto è tecnicamente difficile, e conviene misurare in base al Pil, per avere un'idea: l'1,4% per Reagan nel 1982 e il 2% per Bush nel 2003; oppure in percentuale sul bilancio federale: il 5,3% Reagan, l'8,1% Bush e l'8,8% Kennedy (nel 1964, con una legge del '63), quest'ultimo il taglio record dopo quello di Andrew Mellon negli anni Venti. L'obiettivo è stimolare la crescita. L'effetto a breve-medio è una drammatica inversione nel saldo federale. Secondo il Congressional Budget Office quello che doveva essere nel periodo 2004-2013 un surplus cumulativo di 891 miliardi diventerà un "buco" di 1.820. Che potrebbero essere invece 3.120 secondo la Concord Coalition, convinta che i "sunsets", cioè i graduali abbandoni di tagli fiscali già programmati, non verranno in realtà fatti scattare dal Congresso. Alla fine, di fronte a una voragine del genere, il finanziamento di pensioni e sanità pubbliche sarebbe improponibile. L'equilibrio entrate-uscite della Ss salterà (in vari Paesi europei è già saltato) nel 2018 e nel 2013 per la Hospital insurance (Hi) del Medicare (assistenza agli oltre 65enni) finanziati da lavoratori e imprese. L'insolvenza, quando finiranno cioè le riserve del sistema, è prevista nel 2016 per la Hi e nel 2041 per la Ss. Nel 2042 lo squilibrio entrate-uscite della Ss sarà di 366 miliardi, poco meno dell'attuale spesa annua del Pentagono, e non ci saranno più accantonamenti. Pensioni e sanità pubbliche hanno comunque uno squilibrio, sull'orizzonte dei prossimi 75 anni, di ben 24mila miliardi di dollari secondo la Concord Coalition. I dati ufficiali dei responsabili della Ss, fatti su una diversa base, parlano di un buco di 10mila e 500 miliardi. Per assicurare la tenuta di lungo periodo del sistema occorrerebbe quindi accantonare almeno un intero anno di Pil americano. E questo mentre per la prima volta anche molti Stati sono massicciamente in rosso per il calo del gettito e la devolution di parte della spesa sociale, con un deficit complessivo non lontano nel 2003-2004 dai 100 miliardi più un pregresso di 50. La quota di risparmio necessaria ad assicurarsi la vecchiaia, dicono gli esperti Usa, dovrebbe essere pari al 16-20% del reddito medio. «Risparmiate il più possibile» è il consiglio che viene dato agli americani, che invece risparmiano pochissimo. La fiducia degli americani nel sistema, non nel Governo ma nell'America come principio di ordine e benessere, resta per ora robusta.
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