"Commenti&Analisi" Le tre Italie dei previlegi (F.Giavazzi)

mercoled' 9 luglio 2003
Dietro lo scontro sulla previdenza
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LE TRE ITALIE DEI PRIVILEGI
di FRANCESCO GIAVAZZI
Per capire quali sarebbero gli effetti di un'ulteriore riforma delle pensioni, occorre muovere da un'osservazione semplice. Relativamente alla loro posizione previdenziale i cittadini italiani si dividono in quattro gruppi: il Nord, il Sud, chi, nel 1995, al momento della riforma Dini, aveva maturato almeno 18 anni di anzianità contributiva e chi no. La battaglia politica in corso in queste ore non riguarda questioni di principio, ma la difesa, da parte di ciascun partito, degli interessi dei propri elettori. E' per questo motivo che la riforma, come ha spiegato ieri su queste colonne Massimo Gaggi, ha aperto uno scontro politico tanto aspro tra gli stessi partiti della maggioranza che, almeno riguardo alle pensioni, spesso rappresentano interessi diversi. La divisione Nord-Sud riguarda le pensioni di anzianità, per lo più un fenomeno del Nord, e quelle di invalidità, più diffuse nel Mezzogiorno. I numeri sono simili: 4,3 milioni di pensioni di invalidità, 3,5 di anzianità. Sebbene molto diversi, questi due tipi di previdenza hanno un'origine simile: per anni hanno supplito all'assenza di forme più moderne di ammortizzatori sociali. Con un effetto disastroso sul mercato del lavoro: infatti, mentre i sussidi di disoccupazione sono limitati nel tempo e quindi non tolgono l'incentivo a cercare un lavoro, le pensioni, di entrambi i tipi, sono permanenti. Con un'aggravante in più nel caso delle pensioni di invalidità: infatti, mentre le regole per ottenere una pensione di anzianità sono chiare, l'invalidità è attribuita al termine di un processo che parte con le commissioni mediche e spesso finisce con un giudice che decide sulla base della relazione di un perito e, analogamente a quanto accade con i giudici del lavoro, le sentenze raramente sono contrarie al lavoratore (il numero di pensioni di invalidità nel Molise è pari al 13 per cento di tutta la popolazione, inclusi i bambini). Chi, nel 1995, aveva più di 18 anni di contribuzione non è stato toccato dalla riforma Dini: la sua pensione continuerà ad essere determinata con il metodo retributivo e cioè sulla base dello stipendio percepito nell'ultima parte della vita lavorativa. Un forte privilegio rispetto ai più giovani, la cui pensione dipenderà (esclusivamente per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il '95) solo da quanto hanno contribuito. I privilegi si possono sommare: il caso più fortunato è quello di un lavoratore che aveva più di 18 anni di contributi nel 1995: ha diritto alla pensione di anzianità e per di più calcolata con il metodo retributivo. Un minimo di equità suggerirebbe che a questo cittadino dovrebbe almeno essere prospettata una scelta: o usufruire dell'opportunità di andare in pensione presto, ma con una pensione legata, almeno in parte, ai contributi versati, oppure godere del metodo retributivo, ma rinunciare, almeno in parte, all'anzianità. Gli unici che non mi sembrano rappresentati da alcun partito sono i giovani che si affacciano oggi al mercato del lavoro: non solo le loro pensioni saranno calcolate esclusivamente sulla base dei contributi versati, ma, per consentire allo Stato di pagare le pensioni privilegiate dei loro nonni, per anni dovranno pagare tasse salate. Osservava Alberto Alesina ( La Stampa , 28 giugno): speriamo almeno che questi nonni li compensino con eredità generose. giavazzi_f@yahoo.com
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