9/2/2004 ore: 12:35
"Commenti&Analisi" Pensioni,sempre più forte il partito del non fare (G.Cazzola)
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lunedì 9 febbraio 2004
IMPREVIDENZE.DOMANI L ’EMENDAMENTO AL SENATO
Pensioni,sempre più forte il partito del non fare
Ha il sostegno di pezzi di governo e di sindacato
di Giuliano Cazzola
E se ci fosse davvero un Patto per l’Italia invertito? Se esistesse un accordo per “non fare”? Domani, sull’orario ferroviario delle pensioni è previsto l’ultimo treno: la maggioranza, al Senato ha promesso di presentare un nuovo emendamento che dovrebbe tener conto dei modesti
esiti del dialogo tra governo e sindacati e, più in generale, del dibattito sviluppatosi, recentemente, anche all’interno dell’opposizione. Dal canto suo, il governo non sembra intenzionato a modificare il proprio orientamento, continuando a presidiare il disegno di legge sulla “linea del Piave” del taglio, a regime, dello 0,7% del Pil, rivendicato dal ministro
Tremonti e promesso tanto in sede europea quanto ai mercati. Del resto, per i partiti della Casa delle libertà non è facile scardinare una decisione governativa, che poggia su di uno scambio perverso tra la scelta di non cambiare nulla fino al 2008 (con l’aggiunta del bonus contributivo esentasse) e l’obiettivo di realizzare, dopo, un’importante operazione per
quanto riguarda le regole dell’età di pensionamento; allo scopo di conseguire, così, un significativo risparmio (dal 2008 al 2013 è previsto un ammontare cumulato di ben 36 miliardi di euro, di cui 9 miliardi solo nell’ultimo anno).
I termini dello scambio sono difficilmente modificabili: la maggioranza non è in condizione di rimangiarsi le (incaute) promesse da oggi al 2007 e, nel contempo, è costretta a spostare sulla fase successiva l’intero peso dell’intervento. Magari con una punta di malizia: da adesso al temine della legislatura tutto rimarrà immutato; in seguito, ci penserà il governo in carica. Se nel 2006 vincerà le elezioni, il centro-sinistra dovrà scegliere: o inghiottire, con eleganza, la polpetta avvelenata oppure qualificarsi subito come un esecutivo che cancella una riforma delicata e importante, tutto sommato ben accolta a livello internazionale. Non è un caso che la Margherita si sia convinta dell’esigenza di avanzare delle proposte, ora. Non tanto perché Rutelli speri che le soluzioni suggerite (ben più caute di come sembravano all’inizio) siano assunte dalla maggioranza, quanto piuttosto al fine di conquistare, oggi, il diritto ad agire - eventualmente domani - da partito di governo. In conclusione, è assai arduo, per la maggioranza, uscire dalla trappola che essa stessa ha costruito con l’emendamento di ottobre.
Non è politicamente sostenibile accantonare o ridimensionare i bonus tanto decantati; diventa così obbligatorio partire dal 2008 (quando la riforma Dini andrà interamente a regime relativamente alle pensioni di anzianità) e mettere in conto il “gradone” che si innalzerà la notte di S.Silvestro del 2007, dal momento che la sua “spalmatura” non garantirebbe i risparmi previsti, nei tempi indicati. A meno di non sparigliare il gioco con nuove misure (oltre ad un anticipo dell’innalzamento dell’età pensionabile, l’immediata estensione, pro rata, del calcolo contributivo) assai impopolari ed ora neglette persino dai loro più ferventi sostenitori (la Cgil prima di tutto) in un passato recente. Emerge chiaramente, allora, che la maggioranza dovrebbe prendere
le distanze, in modo clamoroso, dalle posizioni del governo: o modificando notevolmente le proposte oppure riducendo le ipotesi di risparmio.
Ecco perché sentiamo, nell’aria, odore di bruciato e ci spingiamo fino ad immaginare un’intesa tacita a “non fare”. Ne sono certamente protagonisti settori del governo (con An in prima fila: Fini è costretto ad accarezzare per il verso del pelo la Destra sociale unicamente per logiche interne) e
pezzi del movimento sindacale: la Cisl e la Uil sicuramente, divenute più forti e sicure dopo la “copertura” della Margherita. Ma anche la Cgil non ha nulla da perdere. Niente e nessuno le vietano di fare la voce grossa,
di minacciare scioperi e manifestazioni. Ma Epifani non è Cofferati. La sua è una tattica fondata sul detto: «A nemico che fugge ponti d’oro». Ci sono, dunque, tutte le premesse perché il disegno di legge delega,
ancorché emendato domani, resti a bagnomaria, in attesa delle elezioni.
Poi si vedrà. Dopo, tutto è destinato a cambiare. La maggioranza ha troppi grattacapi (si è aggiunto anche l’infortunio sulla legge Gasparri). Ma soprattutto è il quadro politico che scricchiola, tanto da non poter sopportare un ulteriore appesantimento. Del resto, i tempi che ci separano
dalle elezioni sono diventati troppo stretti per poter pensare ad un serio e fattivo impegno ad approvare la delega.
Se sia una tattica conveniente, o meno, è difficile da stabilire. Noi propendiamo per la seconda valutazione. Sulle pensioni, il governo finirà per doversi difendere durante la campagna elettorale, senza nemmeno aver chiuso - nel bene o nel male - un capitolo ormai aperto da oltre due anni. Poi, se le elezioni andassero male, ci sarà certamente qualcuno, nella
CdL, pronto ad imboccare la facile scorciatoia di attribuire alla riforma delle pensioni la responsabilità dell’insuccesso. Maggioranza
nella trappola
che aveva
costruito