7/6/2006 ore: 12:03

"ConfInd" I fischi non servono (S.Bragantini)

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    mercoled? 7 giugno 2006

    Pagina 36 - Opinioni
      I fischi non servono
      (neppure a Varese)

      di Salvatore Bragantini
        Certo, il segretario della Cgil la prende alla lontana, ricordando che gli operai hanno salvato gli impianti dai nazisti nel ’43-44; sarebbe stato pi? efficace parlare, a chi non coltiva la memoria, del contributo dato dal fattore lavoro negli ultimi quindici anni al risanamento delle imprese, e dell’ingente spostamento di reddito verso il capitale che ne ? derivato. Ma la reazione dell’assemblea degli industriali di Varese, che ha indotto Epifani a chiudere anzitempo l’intervento, ? di quelle che non facilitano il lavoro dei tanti che, specie nelle imprese, si oppongono al declino del Paese. Non si capisce se il bersaglio di questi malumori profondi sia Epifani, il sindacato in generale o la Cgil, i lavoratori da questi rappresentati, o il nuovo governo. Forse tutti assieme, in una generica insofferenza verso gli altri, che pare anni luce lontana da chi invita sempre a fare squadra, come Montezemolo, altro bersaglio possibile dei fischi varesini.

        Alcune circostanze vanno per? ricordate, a chi non tollera la menzione del contributo fondamentale dato dai lavoratori delle fabbriche alla salvezza del Paese: se l’uditorio facilmente si irrita, non parliamo di fisime come la resistenza partigiana, il sostegno nella lotta al terrorismo degli anni ’70 et similia , bens? di cose che dovrebbero destare l’attenzione di chi non va oltre il particulare . Si tratta di circostanze che, se non si vuol solo chiedere sempre tutto agli altri, senza mai dare qualcosa in prima persona, dovrebbero vedere imprese e sindacati affiancati nel chiedere sviluppo ed equit?; cosa che, davanti a certe reazioni, purtroppo pare difficile attendersi.

        Davvero i varesini mugugnanti pensano che non solo lavoratori dipendenti e sindacati, ma tutti coloro che sperano nella ripresa, possano trovare normale che il grande travaso di redditi sopra richiamato non sia seguito da una ripresa degli investimenti industriali, alla rincorsa della perduta competitivit?? Pensano che sia logico chiedere al lavoro sempre pi? flessibilit?, se la stessa flessibilit? ? rifiutata per la propriet? delle imprese? Questa ? refrattaria, lo ricordava pochi giorni fa Mario Draghi, all’apertura a nuovi soci, e alla connessa domanda di trasparenza e redditivit?: i costi di tale rifiuto in termini di mancata crescita sono ingenti, e molto superiori a quelli connessi ai vincoli del famigerato articolo 18. O magari si pensa che sia possibile campare in una grande citt?, con famiglia a carico, con 1.500 euro al mese, e anche meno? E che livello di consumi si pensa possa essere sostenuto, con tali redditi? Si trova forse ragionevole che un’intera generazione sia privata della possibilit? di programmare il futuro, dovendo per sempre passare da un lavoro precario all’altro? O si pensa che in un Paese ricco come l’Italia sia tollerabile vedere che meno di 50 mila persone, la gran parte lavoratori dipendenti, dichiarano redditi annui oltre 200 mila euro? Non viene da ridere? E cosa farebbero i mugugnanti, al posto di chi resta cornuto e mazziato?

        Se non su tutti, su molti dei temi cruciali sopra accennati gli interessi dei lavoratori e degli imprenditori dovrebbero essere simili, eppure i fischi di Varese dicono un’altra Italia, che ? irrazionale e protestataria, che chiede sempre e non d? mai, ma che pur esiste. Come affrontarla?
          L’unica possibilit? pratica ? che da parte dei tanti imprenditori di rilievo che disapprovano i fischi ingenerosi di Varese, si levi un richiamo autorevole ai colleghi. Essi dovrebbero pubblicamente ricordare agli smemorati che l’uscita dalle nostre difficolt? - molto aggravate di recente a causa di un governo, quello di centrodestra , incurante del bene pubblico e sostenuto dalla miope Confindustria di D’Amato - passa necessariamente da una convergenza nei fatti fra lavoratori e imprese, su una linea di rigore e sviluppo. Una linea che accoppia la ricerca della massima concorrenza in tutti i settori al riconoscimento delle inderogabili necessit? delle imprese che tale concorrenza devono affrontare. Una linea che deve essere percepita da tutti come equa nella ripartizione di sacrifici e vantaggi; in tale prospettiva, un sindacato sicuro e affidabile ? compagno di strada necessario. Difficile capire a chi convenga, se non ai fautori del ?tanto peggio tanto meglio?, assecondare il malcontento dell’Insubria.

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