8/5/2003 ore: 11:23

"Cultura&Informazione" «Azzurri» e non «forzisti»

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            8 maggio 2003
            RADIOGRAFIA DI UN MARCHIO CHE NON SFONDA: NELL’ONOMASTICA POLITICA SOLO AI «PISELLI» (QUELLI DEL PSLI) È ANDATA PEGGIO
            «Azzurri» e non «forzisti», stavolta il pubblico non s’adegua

            Filippo Ceccarelli

            TRA le varie preoccupazioni che il presidente Berlusconi ha ritenuto di esprimere ieri mattina, a «Radio anch’io», si segnala quella relativa al modo in cui, ostinatamente, l’informazione si rifiuta di qualificare «azzurri» i deputati e più in generale gli aderenti a Forza Italia.

            A un giornalista che, a proposito dell’onorevole Pecorella, aveva pronunciato la parola «forzista», il Cavaliere ha dunque replicato con cortese fermezza: «Per favore, non usate quel termine; Saponara è un bravo deputato di Forza Italia, ma la definizione di “forzista” non l’accettiamo perché ha una connotazione negativa». Quindi, ha impartito il precetto: «Quelli di Forza Italia vanno chiamati “deputati azzurri”».
            C’è qualche ragione di credere che così non avverrà. Da quasi un decennio l’auspicato azzurro berlusconiano non riesce a varcare la soglia del linguaggio della politica; non entra in circolazione; suona bizzarro, compiacente e comunque artificioso. Non che «forzisti» sia così diffuso, anzi, ma davvero pochi giornalisti usano scrivere o pronunciare al microfono «azzurri». Gli azzurri, senza virgolette, rimangono gli atleti italiani. I calciatori della Nazionale.
            Gli sciatori. Gli olimpionici. Tra loro ci sarà anche qualche berlusconiano. Ma il colore li qualifica nello sport. La politica segue, semmai.
            Il rapporto tra il nome e la cosa (o la persona) è da sempre materia di studi molto approfonditi, oltre che spunto di arte e poesia, dalla Bibbia a Shakespeare. La questione esula certamente l’onomastica politica. Ma per Berlusconi è in ogni caso un cruccio antico. Di solito accompagna e segnala suoi momenti di irritazione nei confronti dei mass media. Era il novembre del 1997 quando, al termine di una lunga tirata al Costanzo Show contro il mondo dell’informazione «tutto squilibrato sull’Ulivo», reo di «emarginare» l’opposizione, di «irriderla» o «stravolgerne» i messaggi, così il Cavaliere completò lo sfogo: «E poi noi non ci chiamiamo “italo-forzisti” o “forzisti”, semplicemente siamo gli “azzurri”. Chiamateci così, azzurro per gli uomini, azzurra per le donne».
            Ora «forzisti» non piacerà. Ma bisogna pur riconoscere che, come appellativo, nella vicenda politica italiana suona sempre meglio di quello riservato nella seconda metà degli anni quaranta ai poveri socialdemocratici del neonato psli, allegramente detti «piselli».
            E tuttavia la norma del Cavaliere restò in sospensione. Il Cavaliere aveva annunviato il battesimo agli albori del partito, nel febbraio del 1994: «Ci sono i verdi: perché non potrebbero esserci gli “azzurri” che oltretutto richiamano immagini largamente condivise dagli italiani?». E invece fu da subito un flop, probabilmente dovuto proprio al fatto che quelle immagini erano troppo «largamente diffuse» fra gli italiani per essere privatizzate. «Da oggi - incalzava Emilio Fede in aprile - gli eletti di Forza Italia si chiamano “azzurri”». Ma il termine non sfondava, era la classica debacle pubblicitaria, una sconfitta in casa.
            Non che la questione fosse in cima all’agenda, ma ad Arcore, a via dell’Umiltà, a via della Pace e poi a Palazzo Grazioli ci provarono in tutte le maniere. Treni «azzurri», cori «azzurri», il traghetto elettorale «Excellent» della Grimaldi Lines ribattezzato «Azzurra» e perfino una nuova canzoncina, subito adottata come inno dai giovani del partito, che s’intitolava «Azzurra libertà». Il testo è un po’ così: «Azzurra libertà/ è il sogno che c’è in noi,/ Azzurra libertà/ Per te ci batte il cuore,/ Azzurra libertà/ Ti difendiamo noi».
            Ma niente da fare. Loro la tingevano di azzurro e la difendevano pure, la libertà, ma la resistenza a tale diffusione cromatica era profonda: Berlusconi voleva far diventare di parte, voleva in qualche modo appropriarsi di qualcosa che al contrario era sentita come comune, pubblica, di tutti. Non solo, ma nel frattempo dilagavano le denominazioni alternative. Nel più aggiornato vocabolario politichese, il «Novelli-Urbani», a fronte di un misero «azzurro», si trova una caterva di «berluschino», «berluschitalico», «berlusco-dipendente», «berluscoidale», «berluscone», «berlusconardo», «berluscones», «berlusconesco», «berlusconi-boys», «berlusconide», «berlusconico», «berlusconista», «berluscoso». Quindi, sempre con usi ed esempi, «forzaitaliano», «forzaitaliardo», «forzaitaliota», «forzaitalista», ««forzitaliastico», «forzitalico», «forzoso», «forzuto»; nonché «italico-forzuto» e «italoforzuto». Sciagura delle sciagure, nel maggio del 1998 una nota dell’Ansa rese noto che il Cavaliere aveva invitato a cena il presidente del Ppe Martens offrendogli «i famosi maccheroni forzisti»: cioè tricolori, pesto, besciamella e pomodoro.

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