«Dialogo sociale indispensabile»
 Giovedí 03 Luglio 2003
ITALIA-LAVORO |
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«Dialogo sociale indispensabile»
 Parlano Angeletti, Parisi, D'Alema e Maroni MASSIMO MASCINI
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ROMA - È indispensabile la concertazione? E qual è stata la concertazione doc, quella del 1993, quella del 1998 o quella di questi ultimi anni? E il dialogo sociale è altra cosa? Dieci anni dopo lo storico accordo del 1993, che dettò le nuove regole di relazioni industriali, gli interrogativi sulla concertazione sono ancora tutti in piedi. L'ultimo libro di ricostruzione del fenomeno concertazione, il bello e utile volume «La politica sospesa», di Antonio Messia e Antonio Passaro, Tullio Pironti editore, presentato ieri al Cnel, che ricostruisce dieci anni di confronto sociale, non svela l'arcano. E del resto tutti i protagonisti di questo dibattito non si sono trovati d'accordo tra loro, anzi hanno mostrato di avere idee a volte opposte sul significato stesso della parola concertazione. L'unica cosa su cui si sono trovati d'accordo è stata sul successo dell'accordo del 1993. «Ha funzionato in pieno - ha detto Stefano Parisi, direttore generale di Confindustria - l'inflazione si è dimezzata, i salari di fatto sono stati salvaguardati, la finanza pubblica si è risanata, anche l'occupazione è andata bene». Per Massimo D'Alema quello è stato un «grande momento della storia del Paese». Ma anche Roberto Maroni, ministro del Welfare, ha acconsentito sulla riuscita dell'operazione. Altra cosa è capire se in quell'occasione si fece concertazione e se varrebbe la pena rifarla. Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, non ha dubbi. Fu concertazione, anche se la spinta più forte venne dal timore di un tracollo economico, ed è bene che non si perda l'abitudine a concertare, perché senza il consenso delle parti sociali non si riesce a governare l'Italia. «Non possiamo lasciare libertà al mercato - ha detto - ma della concertazione dobbiamo cambiare obiettivi, guardando ai problemi della crescita, e strumenti». Parisi non è sicuro che quella fu concertazione. E non solo perché l'accordo del 1993 non cita mai la parola concertazione, quanto perché non si concerta facendo assieme la politica economica, questo fu possibile solo in quell'occasione perché la situazione era disperata. A suo avviso dialogo sociale o concertazione che sia, il dato di base deve essere la capacità delle parti sociali di pensare e decidere guardando al di là degli interessi che ciascuna parte rappresenta. Solo in questo modo è possibile assumere un ruolo adeguato. E poi è necessario che le parti sociali siano autonome dalla politica. Come esempio negativo il direttore generale di Confindustria ha citato il comportamento di una parte del sindacato negli ultimi anni, che ha impedito di trattare con il Governo. «Un problema - ha detto - che si sta superando con Epifani alla guida della Cgil». Sull'opportunità della concertazione non ha dubbi D'Alema. Ma questa è sempre scelta politica di partecipazione, ha insistito, non presa d'atto di una necessità o di una volontà politica. L'esempio positivo è a suo avviso quello che fece il suo Governo nel 1998 quando decise di cercare il consenso del sindacato. Questo, ha detto, ci ha impedito di fare importanti modernizzazioni del Paese, ma ha avuto anche risultati positivi. Luci e ombre, mentre la politica dell'attuale Governo, ha aggiunto, è buio completo. «A noi mancò il consenso - ha detto - ma era stata una scelta precisa. Del resto, a decidere sono sempre i risultati e questo Governo non ne ha avuti di positivi. A rischio c'è la stessa moderazione salariale». Maroni naturalmente non è stato d'accordo. «Noi - ha detto - abbiamo dialogato con il sindacato, su temi rilevanti e con successo. Con la legge Biagi abbiamo riformato il mercato del lavoro, con risultati in un tema sul quale il centrosinistra ha colto solo obiettivi parziali». Ma, ha aggiunto, questo è stato dialogo sociale, un sistema in cui il Governo presenta dei progetti, sente su di essi le parti sociali e poi decide sulla base di interessi generali. Le parti sociali hanno invece il compito di trattare tra di loro, raggiungere se possibile accordi da presentare al Governo che, se li condivide, li traduce in progetti di legge. Ma questo, ha specificato, è il dialogo sociale, non la concertazione.
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