31/5/2006 ore: 11:48
"Elezioni" Nel giorno della festa Fassino rimase solo
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Pagina 5 - Primo Piano retroscena RICCARDO BARENGHI Felice di essere rimasto fuori dal governo certo non lo ?, ma alla fine Piero Fassino se n’? fatta una ragione. Che si chiama Partito Democratico. A questo punto ci crede davvero, anzi ci deve credere per forza se vuole darsi un ruolo politico per i prossimi anni. Gli altri leader del suo attuale Partito e di quello che (forse) verr? sono tutti impegnati altrove, chi al governo, chi nelle istituzioni, chi fa il sindaco. Lui invece ? rimasto l? dove stava anche se non era questo il suo programma: ha dovuto cedere il passo a Massimo D’Alema che si era sacrificato gi? due volte, sull’altare della presidenza della Camera e su quello del Quirinale. L’ha ceduto con qualche amarezza visto che il suo programma era tutt’affatto diverso: fare il vicepremier insieme a Rutelli, forse anche il ministro, e restare contemporaneamente alla guida dei Ds. Ed essere cos? l’uomo che dal governo e nel Partito avrebbe fatto nascere – sempre insieme a Rutelli – il nuovo soggetto politico. Non ? andata cos?, oggi lui resta s? leader della Quercia ma la vera leadership ? tornata nelle mani di D’Alema: vicepremier, ministro degli Esteri, capo delegazione del partito. La Quercia al governo ha la sua faccia, non quella del segretario. Tuttavia, siccome in politica la necessit? diventa virt?, Fassino si sta convincendo che il ruolo di ?costruttore? del nuovo partito non solo ? pi? coerente con il lavoro che il segretario dei Ds sa fare e ha svolto negli ultimi cinque anni (rianimare una Quercia uscita a pezzi dalla sconfitta del 2001), ma ? anche una sfida politica di grande valore. Se infatti riuscisse a far camminare il progetto fino a farlo diventare realt?, in Italia nascerebbe un nuovo soggetto politico che segnerebbe una novit? rilevante, diciamo pure storica. E lui ne sarebbe il protagonista. Tre punti in pi? Ma non ? affatto detto che ci riesca, e il primo a saperlo ? proprio lui. Certo, il segretario della Quercia pu? contare sui risultati elettorali: alle politiche l’Ulivo ha preso tre punti in pi? della somma dei partiti e alle comunali i sindaci di centrosinistra hanno raccolto voti che non avrebbero avuto se non si fossero presentati proprio come leader ?locali? del Partito che non c’?. E infatti ? proprio sui sindaci che Fassino intende fare leva perch? diventino – come peraltro gi? stanno facendo per conto loro Veltroni, Chiamparino e Cofferati – i prototipi locali del nuovo soggetto. Sapendo per? che oggi fanno i sindaci e possono pure dargli una mano, ma un domani potrebbero diventare suoi concorrenti per la leadership. A cominciare ovviamente da Veltroni, che il Partito Democratico lo sogna da quando era piccolo, ma senza escludere Chiamparino (il suo exploit elettorale lo lancia sulla ribalta nazionale) e forse lo stesso Cofferati. Comunque per ora Fassino non pu? che contare su di loro e sulla cosiddetta societ? civile, o popolo dell’Ulivo che dir si voglia, che nel voto ha indubbiamente dato una spinta al progetto. Tutt’altro discorso ? riuscire a far s? che la spinta diventi organizzazione e che le organizzazioni esistenti siano disponibili ad aprirsi mettendosi in gioco fino a ?sciogliersi? in una Cosa nuova. Le resistenze sono e saranno fortissime, gi? Rutelli frena perch? teme l’annessione e non ha intenzione di lasciare campo libero al suo amico Piero; tutti gli altri sono impegnati nei loro ministeri o nei loro incarichi istituzionali. C’? da governare il Paese insomma, Fassino si calmi che il Partito Democratico pu? attendere. Una situazione che ovviamente mette il cattivo umore al segretario dei Ds, al quale non sfuggono le accuse che nei corridoi o – peggio – nei salotti della politica gli vengono mosse. Un paio di sere fa per esempio, a cena dalla signora Sandra Verusio c’erano tra gli altri i coniugi Ciampi, i Rutelli, i Reichlin, gli Amato, i Della Valle. Si ? parlato anche di Fassino (assente naturalmente), e non troppo bene. A parte le allusioni poco simpatiche a quanto sarebbe depresso per essere rimasto fuori dai giochi, si sottolineava la sua gestione non proprio ottima della fase post-elettorale (la doppia bruciatura di D’Alema per esempio). Fino a ironizzare sulla sua proposta di fare le primarie per scegliere il leader del Partito Democratico, proposta liquidata in un battibaleno. Un clima che rende l’idea di quanto sia difficile il compito che tocca al leader della Quercia. Rimasto solo a gestire un partito che ha ceduto al governo i suoi migliori dirigenti, costretto a superare diffidenze e ostacoli che gli vengono messi tra le gambe dai suoi stessi ?alleati? della Margherita, preoccupato dalla sinistra interna che minaccia scissioni. C’? dunque pi? di una ragione se – come dice chi lo incontra spesso – ?in questo periodo non ha la faccia dei tempi migliori?. |