"Europa" La forza decisa di Parigi (M.Calcaterra)

Sabato 26 Luglio 2003
MONDO |
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LA V I A DI RAFFARIN
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Riforme, la forza decisa di Parigi |
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di MICHELE CALCATERRA
Dialogo e consenso. È su questi due pilastri che si poggia la politica del Governo francese di centro- destra, guidato dal premier Jean-Pierre Raffarin, ma ispirato dal presidente Jacques Chirac. Una politica che ha permesso di centrare importanti successi sul fronte interno della lotta alla criminalità, ma anche delle riforme strutturali, come quella sul sistema pensionistico, e sul fronte internazionale per quel che riguarda la visione di un mondo multipolare da contrapporre a quello unilaterale professato dagli Stati Uniti. Il fine tessitore di questa tela è stato sicuramente Chirac, ma l’esecutore è stato Raffarin che ha intuito che nel Paese esisteva una profonda frattura tra la Francia cittadina, soprattutto quella della capitale, e la Francia rurale, quella definita "d’en bas". La Francia vera, quella contadina e operaia, la Francia delle periferie-dormitorio, la Francia degli immigrati, la Francia degli esclusi, di quelli che vivono (e sono tanti) con i sussidi statali e non trovano un lavoro. La Francia di tutti i giorni che alle elezioni presidenziali della primavera 2002 aveva votato, in segno di protesta, per la destra estremista di Le Pen, che aveva tradito (dopo essere stata lei stessa tradita) la sinistra socialista di Jospin e che andava recuperata. Per questo Raffarin ha inventato la politica del "terrain", della vicinanza e del monitoraggio costante del territorio, in modo da dare maggiore coesione all’Esagono, da ascoltare le sue differenti e "multicolori" voci e da rispondere di conseguenza. La prima fase è stata dunque quella di dare carta bianca al Ministro degli Interni Nicolas Sarkozy per lottare contro la criminalità e la crescente insicurezza del Paese. Poi è stata la volta della riduzione delle imposte, una mossa popolare che ha strappato larghi consensi, ma che ha permesso di rilanciare i consumi e sostenere così l’economia. Nella seconda fase, il premier si è spinto nel delicato terreno delle riforme, avviando e concludendo nel giro di appena sei mesi quella sulle pensioni. Scardinando un principio sacro in Francia, quello dell’intoccabilità della casta dei funzionari che si è dovuta piegare alle regole comuni e adeguarsi a quelle del settore privato. Una riforma, quella sulle pensioni, che non era riuscita negli ultimi vent’anni a nessun altro Governo, sia di destra che di sinistra. Ora è la volta della terza fase, quella dell'avvio delle altre principali riforme strutturali (previdenza, sanità, decentralizzazione delle competenze dello Stato a Regioni e Dipartimenti) e del rafforzamento della Francia in aree come quella dell'istruzione, della ricerca e dell'innovazione tecnologica, necessarie per ridare slancio al Paese, renderlo più competitivo e concorrenziale soprattutto con gli Usa. Non senza però una pausa di riflessione e di consolidamento di qualche mese che si rende necessaria per "digerire" le pensioni, ma anche per ricucire il dialogo con i partner sociali che non è stato nel recente passato nè facile, nè privo di qualche tono un po' troppo forte. Le regole di fondo, come detto, sono dialogo e consenso. Tanto che senza di queste il premier non fa alcun passo. Raffarin non vuole infatti cadere nell'errore di Lionel Jospin che ha fatto prevalere il dirigismo di Stato alla concertazione ed è inciampato nella legge delle 35 ore lavorative settimanali e in quella di cosiddetta "modernizzazione sociale" che ha reso le relazioni industriali difficili e il mercato del lavoro ancor più rigido di prima. Per questo Raffarin chiede ora un po' di tempo prima di avviare un nuovo ciclo di riforme. Del resto non sono queste le priorità del Paese. La Francia ha infatti bisogno di rilanciare la sua economia, gli investimenti e soprattutto di creare nuova occupazione. In questo campo, finora, il bilancio del Governo è stato alquanto deficitario e il premier ha quindi urgenza di ritrovare consensi e di ricreare fiducia. Senza di questa è infatti impossibile invertire l'attuale ciclo congiunturale negativo, ridare ossigeno all'economia e tamponare l'importante falla apertasi nei conti pubblici.
MICHELE CALCATERRA
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