20/12/2005 ore: 11:33
"Fazieide" Ascesa e caduta di Antonio da Alvito
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Pagina 1/12 - Economia IL PERSONAGGIO il personaggio A saper leggere la storia, è forse una fine annunciata. Perché Antonio Fazio da Alvito era un governatore straordinario, nel senso di non ordinario rispetto al montante etico dei predecessori. Non aveva le stimmate della grande borghesia etica ed elitaria che dalla fondazione, salvo qualche parentesi durante il fascismo, aveva governato la Banca d´Italia. Uomini come Stringher, Azzolini, Einaudi, Menichella, Carli, Baffi, Ciampi. Non aveva passato, l´uomo di Alvito, problemi con il test del chiodo, quello che Bonaldo Stringher infliggeva ai candidati ai grandi destini di palazzo Koch. I chiodi intrecciati li sciolse - questo era il test - Menichella e poi, via via, con le nuove procedure di un´élite forte, prestigiosa e autoreferenziale, tutti i governatori. Antonio Fazio, l´uomo che Carli considerava soltanto «il giovane economista che aveva elaborato quello che sarebbe diventato il modello econometrico della Banca d´Italia», allievo di Franco Modigliani, ma a digiuno di grandi principi, se non quelli religiosi coltivati nella parrocchia del suo paese, fu incoronato governatore ai tempi di Tangentopoli. Era il 31 maggio 1993. In un salone della Banca d´Italia presidiato da stuoli di carabinieri e con una platea piuttosto rarefatta, perché in buona parte ospite delle patrie galere, il neogovernatore parla di «Etica ed economia», tema che gli resterà caro per tutto il mandato, fino, paradossalmente, all´incedere dei neo - miliardari «furbetti» da lui stesso vezzeggiati e sdoganati, come in odio al vecchio establishment del capitalismo rattrappito. Racconta il neogovernatore che la corruzione ha gonfiato la spesa pubblica, inceppato il mercato e «ostacolato la selezione dei fornitori e dei prodotti migliori», costituendo una vera «tassazione impropria» che è ricaduta sulla collettività. Ma aggiunge che «la rimozione delle pratiche consociative e tangentiste può avere un immediato effetto di freno sull´attività economica». Un vero capolavoro politico: vuol dire che l´economia tangentara va condannata, ma senza dimenticare che è servita anche allo sviluppo. Ora non si può più. Fazio dipinge così una sorta di «keynesismo delinquenziale» che, tutto sommato, ha favorito lo sviluppo del paese nel mezzo secolo democristiano. Perché, allora, sanzionare Gianpiero Fiorani, il banchiere di riferimento timorato, ma un po´ lazzarone, se è lui che serve a difendere l´ «italianità» delle nostre banche, insidiate dai massoni calvinisti del Nord Europa? Il profilo di Fazio è quello perfetto di un governatore democristiano alla fine dell´era democristiana, la scelta meno sediziosa rispetto al potere politico allora apparentemente morente. Gennaio 1993, anno centenario della Banca d´Italia. «Famiglia Cristiana» apre le danze. In un articolo intitolato «La Loggia mette il veto», ipotizza ingerenze laico-massoniche e racconta che il governatore Carlo Azeglio Ciampi, che vuol lasciare a fine anno l´incarico e sotto accusa per non aver avvertito in tempo che il cambio della lira non è più sostenibile, sarebbe intervenuto contro la nomina a suo successore del cattolico Lamberto Dini e, men che meno, di Antonio Fazio. Paolo Cirino Pomicino e Umberto Bossi sparano ad alzo zero su Ciampi. Ma Scalfaro lo incarica di formare il nuovo governo. Così, in un crescendo di retroscena veri o presunti, nell´evocazione di poteri laico-massonici e di pressioni d´Oltretevere, si arriva alla successione di Ciampi. Non Tommaso Padoa Schioppa, che Ciampi preferiva, non Mario Monti, candidato di Andreatta, un democristiano più laico dei laici, ma Antonio Fazio, sponsorizzato da una parte della Dc in disfatta e dalle gerarchie ecclesiastiche, che lo conoscono come superbo cultore di San Tommaso, oltreché sostenitore dei Legionari di Cristo e, se non suprannumerario, autorevole simpatizzante dell´Opus Dei di Escrivà de Balaguer. Ma tutto questo non basta a spiegare l´epilogo alquanto inglorioso di un personaggio che fino a un paio d´anni fa era l´uomo di punta dell´oligarchia cattolica e apartitica, un´autorità morale indiscutibile, gradita sia al Centrosinistra che al Centrodestra. Era il personaggio che, secondo diversi tecnici elettorali, avrebbe potuto raccogliere quattro milioni di voti, sia a destra che a sinistra. Poi gli scandali Cirio, Parmalat, bond argentini, gli scontri con Giulio Tremonti, l´arroccamento in una supplenza pervasiva della politica, le Opa bancarie, gli improbabili immobiliaristi, l´azzimato banchierino di Lodi «amico di famiglia» e dispensatore di costosi regalini, la rinuncia al ruolo di arbitro imparziale che ci ha esposti agli occhi dell´Europa e del mondo come il paese dell´irritualità, delle regole capitalistiche piegate all´incontrollabile potere personale, persino della perenne «pochade» italica. Le condanne generalizzate, le sconfitte su tutti i fronti, anche internazionali, giustificate dalla gravità dei fatti, non sono servite fino all´estrema, generale condanna a piegare l´orso marsicano, nutrito di dottrina e fede, ma di pochi argomenti accettabili. E qui la fenomenologia di Antonio da Alvito fa acqua. Perché è difficile capire come il detentore di uno dei poteri tra i più cospicui del paese possa impaniarsi in una palude familista che a un certo punto non gli consente più di decifrare tra gli affari di Stato e gli affetti suoi e della signora Maria Cristina, figlia di un falegname di Alvito, delle quattro figlie, del figliolo, giovanotto mondano che corre la Millemiglia col raider «Chicco» Gnutti, condannato per insider trading. Un grande regolatore del capitalismo che affida il suo «lobbying» a vecchi arnesi democristiani, come l´esimio senatore Luigi Grillo, che sul conticino della Banca popolare di Lodi fa speculazioncelle da salumiere. Quest´uomo, stretto tra l´ossessione di definire a suo modo l´assetto del sistema bancario italiano e l´affetto per quel «tesoro» di piccolo banchiere di Lodi, è l´autore di un golpe finanziario che voleva ridisegnare gli assetti del capitalismo italiano con l´assalto al cielo delle banche e della Rizzoli-Corriere della sera? Viste le mosse, è difficile crederlo, anche se, come dice sempre il saggio Andreotti, guardando quello che abbiamo intorno, cresce per forza la nostra autostima. Difficile crederlo, compulsando di nuovo le intercettazioni telefoniche dell´estate, nelle quali il pio Fazio appare un uomo tirato per la giacca dai furbetti che, da come ne parlano, sembrano considerare «Tonino», l´ex icona intoccabile della Banca d´Italia, come un vecchio zio un po´ grullo. Uno zio che, dopo cent´anni di storia, lascia purtroppo a palazzo Koch, la Banda d´Italia. |