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venerdì 30 settembre 2005
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LA LUNGA TRATTATIVA SCONTRO SULLE RENDITE. ANCHE L’UDC CERCAVA PIU’ FONDI DA DARE ALLE FAMIGLIE
Tremonti a muso duro con Alemanno Poi convince Fazio a disertare il Cipe
retroscena UGO MAGRI
ROMA Una volta funzionava così: Giulio Tremonti litigava coi ministri e Silvio Berlusconi provvedeva a mediare, un gioco delle parti ad alto rischio. Quest’anno il premier non ha toccato palla, con il ministro dell’Economia che ha fatto praticamente tutto da sé, scontri e ricuciture. Nella lunga notte di trattative, tra le sette di mercoledì sera e l’alba di giovedì mattina, Tremonti è stato protagonista ben oltre il suo mandato istituzionale, prendendosi tutte le responsabilità del caso, alternando le celebri impuntature professorali con fasi di ascolto e disponibilità che hanno spiazzato gli interlocutori. «Tenace e professionale», lo gratifica Michele Vietti, che da lunedì scorso non l’ha mollato un attimo. Talmente duttile da parlare perfino col suo arci-nemico, Antonio Fazio, in una telefonata che i testimoni definiscono «affabile».
E’ andata così: la Finanziaria si porta appresso la Relazione previsionale e programmatica che dev’essere approvata dal Cipe. E’ uso invitare Bankitalia, e di solito partecipa il governatore in persona. Come evitare un nuovo incidente, dopo quello di domenica scorsa? Tremonti ha messo sapientemente in moto Ivo Tarolli, senatore Udc, molto vicino al governatore: «Chiamalo, per favore, e digli che sarebbe meglio se alla riunione del Cipe mandasse un altro...». E mentre Tarolli parlava con Fazio, Tremonti ha avuto uno scatto: «Dài, passamelo un momento». Il ministro e il governatore si sono parlati qualche minuto in modo, pare, sereno e disteso. Col risultato che Fazio ha spedito al Cipe, in sua vece, Pierluigi Ciocca, vice-direttore generale di Bankitalia.
Non altrettanto soft Tremonti s’è mostrato con Gianni Alemanno, plenipotenziario di An al tavolo del negoziato. Tra loro, verso le tre di notte, sono volate scintille. E qui il ministro dell’Economia ha sfoderato l’arma un tempo inimmaginabile, il nuovo asse con Gianfranco Fini, che gli ha permesso di mettere alle corde il rivale. Anche qui, una premessa: come frenare le richieste dei ministeri e tagliare 6 miliardi e mezzo dalle loro disponibilità? Vestendo i panni di salvatore della patria, chiamato suo malgrado in una condizione di emergenza. Che pertanto fa come dice lui e non si discute.
Appena Alemanno ha tirato fuori il fascicolo con le richieste dei ministri di An (Agricoltura, Ambiente e Comunicazioni), Tremonti ha detto che era inutile, non ce n’è per nessuno, i ministri staranno in carica fino ad aprile, se va bene, dunque non si agitassero tanto con richieste impossibili. «Io rappresento un partito», ha alzato la voce Alemanno, «o ne tenete conto oppure mi alzo e me ne vado». Il professore ha fatto spallucce: «Se c’è qualcuno che se ne va sono io, faccio il ministro dell’Economia per puro spirito di servizio, ho una Finanziaria da portare a casa in meno di 80 ore, se voi insistete vado dal presidente del Consiglio a dirgli che se ne trovasse un altro...». Argomenti ripetuti al telefono ieri mattina con Fini, che gli ha dato ragione.
L’altra impuntatura ha riguardato le rendite finanziarie. Stavolta al fianco di Alemanno c’era l’Udc, che cercava di allargare le entrate per dare più soldi alle famiglie. Appena però Tremonti ha sentito parlare di tasse sui capital gains, è scattato come una molla: «Non se ne parla nemmeno». Un riflesso ideologico, secondo i centristi. Ogni insistenza è risultata vana. E quando ieri sera la questione è riaffiorata in Consiglio dei ministri, il professore non ha nemmeno dovuto ripetersi poiché Berlusconi ha tagliato corto: «Ho detto pubblicamente che le rendite non si tassano, non posso rimangiarmi la parola».
Alla fine Tremonti pareva soddisfatto dell’opera sua, sebbene sia il primo a rendersi conto che questa Finanziaria è un’incompiuta: non si sa ancora bene dove prendere i denari per le iniziative sociali, certo non dalla vendita degli immobili che sono quelli di sempre, per cui alla fine si ricorrerà al solito condono (che aleggia sebbene al tavolo delle trattative la parola non sia mai stata pronunciata). I ministri torneranno all’assalto nelle prossime settimane reclamando emendamenti di spesa, e non sarà facile resistere. Già ieri in Consiglio dei ministri è stato tutto un pianto greco, con il siciliano Enrico La Loggia alla testa delle prefiche, siamo o non siamo nell’anno elettorale?
Quanto sia ancora in fieri questa Finanziaria lo sa bene il leghista Roberto Calderoli, che s’è visto cambiare sotto il naso un paio di passaggi cui teneva molto. Nel primo caso ha fatto reinserire i tagli nella Sanità per quelle che chiama «regioni canaglia» (Lazio e Campania: ricevono più di quanto danno). Nel secondo caso ha dovuto fare addirittura una scenata a Gianni Letta, che gli aveva fatto cassare dai funzionari il taglio di stipendio a deputati e senatori. «C’è un sospetto di incostituzionalità», ha provato a difendersi Letta. «Tu non ti devi permettere e basta», ha urlato così forte Calderoli, che hanno tremato i vetri di Palazzo Chigi.
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