14/12/2005 ore: 11:04

"Fiorani" Antonveneta, spuntano i soldi ai politici

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    mercoledì 14 dicembre 2005
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      SVOLTA NELL’INDAGINE ORDINE D’ARRESTO PER I GESTORI MASSIMO CONTI E PAOLO MARMONT CHE È SCAPPATO IN SVIZZERA. LE PERDITE SPALMATE SUI PICCOLI RISPARMIATORI

      Antonveneta, spuntano i soldi ai politici

      Fiorani e Boni in carcere. Spinelli ai domiciliari. Sotto inchiesta anche Vito Bonsignore

      Paolo Colonnello
        MILANO
        «Secondo quanto è stato possibile stimare, Fiorani avrebbe attualmente una disponibilità di 70 milioni di euro già in salvo». Una fortuna «resa possibile grazie alla stabile, radicata e articolata organizzazione» da lui messa in piedi «in Italia e all’estero, in Svizzera, Panama e Jersey, dedita alla spoliazione di risorse della Popolare di Lodi e della Popolare Italiana e all’occultamento dei proventi di riciclaggio».

        Sussurrata, anticipata, denunciata, alle 9 di sera scatta in diretta l’operazione giudiziaria più attesa degli ultimi anni: l’arresto di Gianpiero Fiorani e dei suoi presunti complici, cinque persone in tutto, accusati di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, all’aggiotaggio e al riciclaggio. È la Guardia di Finanza del nucleo Provinciale di Milano ad eseguire i provvedimenti che, appena tre ore prima, aveva firmato il gip Clementina Forleo, su richiesta dei pm Eugenio Fusco e Giulia Perrotti. Un’urgenza che si giustifica con una fuga di notizie nel pomeriggio e soprattutto con «l’inquinamento probatorio» messo in atto dagli indagati fino all’ultimo momento, nonchè il timore che il gruppo stesse organizzandosi in vista dell’assemblea del 28 gennaio della Bpi chiamata ad eleggere il nuovo cda e sulla quale, secondo i pm, si stava pericolosamente allungando l’ombra della vecchia gestione.
          Ne emerge un quadro di spartizioni colossale di denaro grazie al meccanismo dei «clienti privilegiati». I pm hanno coperto con omissis il nome dei politici e della persona che da Roma indicava quali erano quelli da finanziare, come ha raccontato un super testimone, ex manager della Bpl Toscana, spiegando che i finanziamenti venivano fatti per sostenere le scelte dei vertici corrotti di Bpl e che per questa ragione «andava preservata l’italianità della banca». Fatto sta che dagli ultimi atti degli ispettori di Bankitalia, dalle denunce fatte dai nuovi vertici della Bpi oltre che dalle intercettazioni telefoniche è emersa l’esistenza di «una rete di complicità interna ed esterna anche istituzionale». Dalla somma degli elementi raccolti, secondo l’ordinanza, esisteva una rete di complicità «che non era tesa a proteggere l’italianità tout court del sistema bancario ma chi dall’italianità avrebbe continuato a trarre illeciti profitti». Nomi di politici omissati dunque, anche se proprio negli ultimi giorni la Procura ha posto la sua attenzione sui conti aperti presso la Bpl di Luigi Grillo, di Fi, e di Ivo Tarolli, dell’Udc.
            Prelevati dalle loro abitazioni e comprensibilmente sconvolti, finiscono così in carcere l’ex amministratore delegato della banca Popolare di Lodi, Fiorani e il suo braccio destro nell’istituto di credito, Gianfranco Boni. Ma l’ordine di cattura riguarda anche i due gestori del fondo Victoria & Eagle (uno dei principali azionisti della ex Bpl controllato dalla Bipielle Bank Suisse), Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont, quest’ultimo “riparato” in Svizzera. Ai domiciliari invece, per l’età avanzata, rimane Silvano Spinelli, considerato il “tesoriere occulto” di Fiorani. Indagato infine a piede libero Giuseppe Besozzi, l’agricoltore sui cui conti in Bpl passarono 50 milioni di euro per l’acquisto di azioni Antonveneta, considerato uno dei più fidati prestanome di Fiorani.
              Sullo sfondo ci sono i milioni di euro accumulati negli ultimi tre anni dall’ex enfant prodige della Bassa, le creste sui conti di clienti prestanome, gli investimenti immobiliari, il sospetto di decine di altre operazioni poco chiare (su tutte la scalata alla popolare di Crema) oltre a quella, clamorosamente fallita, della scalata Antonveneta.

              In Bpi, sostengono gli inquirenti, agiva «una banca nella banca» che faceva capo allo stesso uomo e controllova, attraverso la sponda svizzera, l’istituto di credito con pugno di ferro. I sistemi per «svuotare in maniera sistematica le casse della banca erano molteplici», scrive il gip, e non sempre passavano attraverso abili operazioni sui conti correnti dei clienti o attraverso sofisticati meccanismi di insider. «In qualche caso gli investigatori hanno trovato ammanchi direttamente nei caveau della banca». In altri, hanno scoperto i magistrati, a pagare le conseguenze di perdite su operazioni illecite, sarebbero stati i clienti minori, totalmente inconsapevoli, sui quali venivano spalmati i costi «attraverso addebiti fittizi anche sulle normali commissioni bancarie».
                La presenza tra i destinatari delle misure cautelari dei due gestori del fondo Victoria & Eagle, accusati in particolare di riciclaggio, la dice lunga sulle possibilità di controllo di Fiorani sulla banca, nella quale era divenuto ben più di un semplice manager: in pratica, il «padrone» della ex Popolare.
                  Non manca nessuno nel provvedimento della magistratura. A pagina 16, si ricorda che Fiorani e soci contavano «sull’appoggio di importanti finanzieri, tra cui Consorte, Sacchetti e Gnutti». Ed è lo stesso Fiorani a scaricare i compagni di scalata, a cominciare da Gnutti, raccontando di aver organizzato la scalata Antonveneta proprio con lui «con il quale aveva progettato di far confluire pacchetti d’azioni in mani amiche, che ovviamente non avrebbero dovuto entrare formalmente nel patto sennò sarebbe scattato l’obbligo di Opa». Poi Consorte: «Anche Consorte viene indicato da Fiorani come soggetto che aveva partecipato alle iniziative acquisendo ulteriori azioni Antonveneta oltre a quelle già in possesso fino al 3,5 per cento». Quindi l’affondo: «Consorte era considerato fidato perchè aveva già collaborato all’operazione Earchimede». Ma ieri la procura ha anche deciso d’iscrive sul registro degli indagati l’europarlamentare Udc Vito Bonsignore, con l’ipotesi di concorso in aggiotaggio. Secondo lo schema ipotizzato dall'accusa, la Gefip, un'holding facente capo allo stesso Bonsignore, avrebbe acquistato nell'aprile del 2005, 2,7 milioni di titoli Antonveneta che avrebbe poi ceduto alla Fingruppo di Emilio Gnutti. Secondo lo stesso Bonsignore «quando ci chiameranno andremo a dimostrare che uomini e strutture hanno agito con correttezza».

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