22/2/2007 ore: 10:41
"Governo" D’Alema: che cosa ha detto
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Pagina 4 - Politica Ruolo forte dell’Italia all’Onu e discontinuità. Non è bastato su Vicenza: «Revocare la decisione atto ostile con gli Usa» Con una premessa che alla luce del risultato finale, suona come un messaggio a futura memoria. «Non possiamo permetterci di essere né cinici né sognatori. Non rinunciamo alla nostra ispirazione ideale, ma neppure possiamo fare a meno di un lucido realismo». Coerenza. Con il programma dell’Unione. Con gli interessi nazionali. Con una chiara scelta europeista e multilaterale. La politica estera dell’Italia, dice D’Alema, ha «due punti di riferimento»: il rifiuto della guerra previsto dall’articolo 11 della Costituzione e, parallelamente, «la scelta di fare dell’Italia un soggetto attivo» nelle organizzazioni internazionali, prima fra tutte le Nazioni Unite. Affronta di petto tutte le questioni più spinose, D’Alema. E lo fa senza ambiguità. Rivendicando coerenza. E chiedendola ai senatori della maggioranza. Ai quali si rivolge così: «È venuto il momento delle assunzioni di responsabilità ed è per noi fondamentale misurare il consenso di quest’aula, condizione preziosa per andare avanti con il lavoro». Parole chiare per invitare ad un voto chiaro i senatori dissidenti ai quali chiede «non un’adesione entusiastica ad ogni passaggio, ma la valutazione di un impegno complessivo e dei valori a cui questo impegno si ispira». Non usa giochi di parole quando afferma che «il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan sarebbe un atto unilaterale che allontanerebbe l’Italia dall’Unione europea e che ci isolerebbe». «Chi mette sullo stesso piano - spiega D’Alema - la vicenda irachena e quella afghana, sbaglia. Ci sono differenze profonde di carattere giuridico. Di carattere politico e di fatto». Scandisce le parole guardando verso i banchi dell’aula di Palazzo Madama dove sono seduti i senatori della sinistra radicale che più hanno manifestato, sull’Afghanistan come sulla base di Vicenza, la loro distanza dalle scelte del governo. «Il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq - aggiunge D’Alema - è stato un atto politico che ci ha rimesso in sintonia con l’Unione europea. Il ritiro dall’Afghanistan sarebbe un atto unilaterale che ci isolerebbe». Restare «è una scelta difficile ma solo essendo lì possiamo chiedere di essere relatori per le missioni in Afghanistan nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e batterci per la Conferenza internazionale di pace. Se non ci fossimo non potremmo più avere il diritto di esercitare il nostro peso. Solo restando in Afghanistan «è possibile continuare a sviluppare l’azione per la pace per cui l’Italia è impegnata». Quindi si dedica a smontare ogni ipotesi di «continuità» tra il Governo Prodi e quello Berlusconi, sottolineando che mentre l’intervento in Afghanistan è nato in un quadro multilaterale e di «verità accertate», come la presenza di Al Qaeda nel Paese, in Iraq è stato costruito sulla base di una «menzogna», cioè la presenza di armi di massa mai trovate. Alleati ma non succubi dell’iper potenza mondiale, gli Usa. Nel nome del multilateralismo. In Iraq, in Libano, nel riproporre con forza la centralità della questione palestinese per un Medio Oriente pacificato, in Afghanistan. Non si lascia tirare per la giacca né da chi vorrebbe che sottolineasse la «continuità» con le scelte di politica estera del passato governo; né ammicca ai «discontinuisti» a tutto campo. Essere leali alleati degli Stati Uniti non significa chiudere gli occhi di fronte ai tragici fallimenti dell’unilateralismo, della guerra preventiva, dell’esportazione forzata della democrazia. «Non c’è il minimo dubbio che di fronte alla politica neoconservatrice di Bush si è diviso l’Occidente e si è diviso il campo democratico occidentale, si sono divise le grandi democrazie: è stata una ferita profonda che ha diviso anche la politica estera italiana. E questa è la verita, lo scenario reale», rileva D’Alema. Una realtà che «ha indebolito l’Italia in un’Europa più debole e ne ha fatto smarrire la voce in un sistema dell’Onu già largamente emarginato. Era questa la situazione quando siamo arrivati al governo». Ma oggi «il contesto è diverso e più favorevole al multilateralismo efficace, riconosce D’Alema, e per l’Italia, osserva, «la situazione ottimale è quella in cui Ue, Onu e Nato si potenziano a vicende a favore di soluzioni pacifiche», non «il disequilibrio quando ciascuna delle nostre priorità entra in conflitto con le altre», come accaduto dopo l’11 settembre. Vola alto D’Alema. E nel «giorno della verità» affronta di petto, nella replica, la questione-Vicenza. «Io ritengo che se il governo revocasse la decisione su Vicenza sarebbe un atto ostile nei confronti degli Usa», sottolinea il titolare della Farnesina. «Io non ho mai nascosto - prosegue - di condividere le parole del premier che si è assunto al responsabilità primaria di confermare la disponibilità italiana agli americani». Ma al tempo «senza smentire l’orientamento preso, il governo ha posto agli Stati Uniti l’esigenza di una valutazione più approfondita sulle preoccupazione del Consiglio comunale e sulle istanze di coloro che sono contrari». Coerenza. Lealtà. Autonomia. Capcità di ascolto e di decisione. Sono i principi che hanno fondato l’azione di politica estera in questi mesi. E che dovrebbe guidarla in futuro. Un futuro che si perde nella «giornata nera» di Palazzo Madama.
u.d.g.
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