«Ho iniziato alla Cgil, Camusso? Si contraddice»
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Bonanni: il nostro scopo non è la lotta, ma trattare
ROMA — Come ve li immaginate gli esordi di Raffaele Bonanni, il segretario della Cisl che dice di reclutare i suoi collaboratori nelle parrocchie anziché nei centri sociali come fa la Fiom? Tutto casa e chiesa? Sbagliato. Sentite questa storia. Nonni socialisti, padre comunista convinto (anche dopo la caduta del muro), Bonanni prende la prima (e ultima) tessera di partito, meno che ventenne, nella Fgci, la federazione giovanile comunista. Per sfuggire al rigido padre che lo vuole con lui in negozio si fa assumere come manovale. E subito scopre la vocazione sindacale, organizzando la lotta con i suoi compagni di cantiere «per ottenere una mensa». Ci riesce, ma Bonanni, testa calda già segnalata ai carabinieri, viene licenziato. «Per fortuna era stato appena approvato lo Statuto dei lavoratori, quindi mi opposi in pretura e fui riassunto». Comincia così e precisamente nella Cgil, alla Camera del lavoro di Lanciano, la carriera dell’attuale segretario della Cisl , raccontata dal l o stesso Bonanni in un libro con Lodovico Festa di prossima uscita ( Il tempo della semina, Boroli editore).
In realtà nella Cgil resta poco. Dopo qualche mese Bonanni, che non è riuscito a trovare una collocazione nella rigida divisione per correnti del sindacato rosso, viene convinto da un amico («vieni con noi, che siamo liberi») e passa alla Cisl. Il padre lo censura: «Bravo, vai a lavorare nel sindacato dei padroni». Mezza famiglia gli toglie il saluto. Comprensibile che accetti di andare a Palermo a organizzare gli edili della città. Lo segue la moglie, Teresa, con la quale sta insieme «da una vita: lei aveva 14 anni e io 16». Siamo nel 1973 e Bonanni resterà in Sicilia fino al ’91, quando da segretario regionale della Cisl viene chiamato a Roma da Sergio D’Antoni del quale era stato un seguace nella stagione della mobilitazione antimafia di Palermo.
L’esperienza siciliana, in particolare tra gli edili, segnata anche da momenti drammatici come quando in un cantiere tre mafiosi gli puntarono una pistola alla testa. L’esperienza nel celebre Centro studi della Cisl. Il successivo viaggio in America, dove tra l’altro scopre i guasti dell’assistenzialismo: quando visitò le riserve indiane e scoprì che i mitici pellerossa per i quali aveva sempre parteggiato da ragazzo erano sfibrati da sussidi che in realtà li tenevano fuori dal lavoro e dallo studio. Sono queste tra le principali tappe che hanno fatto di Bonanni un convinto interprete di un sindacalismo che è l’antitesi della lotta di classe professata allora dal sindacato comunista e ancora oggi linea prevalente nella Fiom.
Un sindacalismo che punta sulla contrattazione aziendale, con un obiettivo semplice: «Il nostro compito non è la lotta di classe, la rivoluzione proletaria, il conflitto permanente, è far stare meglio chi rappresentiamo». Una linea la cui affermazione comincia con la vittoria della Cisl nel ’56 nelle commissioni interne della Fiat, passa per il referendum sulla scala mobile, per l’accordo del 1993 sulla contrattazione e infine per quello del 2009 che lo riforma, non firmato dalla Cgil, e per l’intesa sullo stabilimento Fiat di Pomigliano, non sottoscritta dalla Fiom. Bonanni assicura di essersi sinceramente impegnato per non rompere con la Cgil e addebita all’ex segretario di quel sindacato, Guglielmo Epifani, la mancanza di leadership nei confronti dei ribelli della Fiom. E a Susanna Camusso, ora alla guida della Cgil, rimprovera di essersi contraddetta, quando, con un articolo sul Sole 24 ore, per criticare l’accordo ha detto che è costoso per le imprese, ammettendo implicitamente, secondo Bonanni, che quindi è vantaggioso per i lavoratori.
Nell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, abruzzese come lui (di Chieti, mentre Bonanni è di un comune della provincia, Bomba) il segretario della Cisl vede non un padrone, ma uno che mette sul tavolo un investimento da 20 miliardi. La discussione deve partire da qui, cioè da come mantenere questo investimento in Italia. Tutto il resto viene dopo, secondo Bonanni. Per questo gli piace il pragmatismo di Emma Marcegaglia, leader della Confindustria, e l’approccio ai problemi dei ministri Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. Di errori Bonanni ne riconosce solo uno, quello del 2002 sull’articolo 18 dello Statuto, «troppa frenesia» nell’affrontare un tema così delicato. Un rammarico? Portarsi dietro il rapporto irrisolto col padre, che sente di star scontando per la legge del contrappasso con la figlia Raffaella trasferitasi in Brasile per seguire il suo uomo e con Denise, ragazza congolese avuta in affidamento, che ora smania per tornare in Africa. Ma Bonanni, che dal 1987 è membro dei Neocatecumenali, ritrova serenità e fiducia nella fede. E nella Cisl.