7/5/2007 ore: 11:01
"il manifesto" lettere al giornale
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Pagina 11 - scritto&parlato Cari compagni, sono stato sempre con voi, fin da quando, ancora ragazzo, diffondevo il giornale durante le manifestazioni degli anni '70 e condividevo con voi la militanza, fino ai tempi più recenti in cui ho sostenuto, nei modi che ben sapete, quello che per me era ben più che un quotidiano da leggere. Non sempre sono stato d'accordo con ciò che scrivevate, ma questo è il bello della dialettica. Il dileggio della Cgil è per me però insopportabile, come insopportabili sono le affermazioni fatte da Valentino Parlato su un compagno della Segreteria confederale che, per nome e per conto dell'organizzazione, sedeva nel Cda della cooperativa. Gli errori, magari con fatica si possono scusare, gli anatemi, la reiterazione di giudizi e categorie che non appartengono alla parte migliore della storia della sinistra del secolo scorso, no! Continuare a considerare vicende come queste errori, magari veniali, per riparare i quali è sufficiente scusarsi, è il segno di un modo di fare politica che non posso più né condividere né apprezzare. Carlo Podda, segr. gen. Fp-Cgil
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Inaccettabile Caro Parlato, oltre a essere il segretario generale nazionale di una categoria della Cgil (Flc Cgil), sono anche lettore de il manifesto da quel lontano 28 aprile. Ti scrivo per dirti che non ci sono parole per giustificare, anche solo lontanamente, l'uso del logo della Cgil per la pubblicità apparsa sul quotidiano il 1° maggio. Dico ciò per il rispetto dei fatti relativi all'impegno della Cgil contro la precarizzazione, per le regole di correttezza che governano l'uso dei simboli altrui e perché trovo davvero inammissibile la logica della doppia morale, esplicita in quella pubblicità, che viene veicolata con l'autorevolezza del giornale. Ti dico anche che considero la tua intervista a La Repubblica del 3 maggio inaccettabile per i giudizi che esprimi su Paolo Nerozzi. Che la sua scelta di uscire dal Cda del giornale porti te a esprimere giudizi gratuiti sulla sua collocazione politica («era di sinistra ora è di destra») o circa il fatto che non ti sei mai fidato di lui fa parte di una cultura politica che avevo capito tu, in particolare, e noi tutti avessimo deciso di combattere con decisione, non ora ma diversi decenni fa. ***
Sono una lettrice non abitudinaria del manifesto e solo oggi ho letto dello scivolone commesso dalla redazione con la pubblicazione delle due false pubblicità. Tutto vero quello che è scritto sulla pubblicità fasulla che vi riguarda. Lavoro all'Enea con contratto a tempo determinato (fortunatamente per me) e quindi ho avuto modo di conoscere e di lavorare con precari di tutti i tipi: borsisti, assegnisti di ricerca, lavoratori a contratto biennale, triennale e annuale, cococò e poi chissà quanti altri ce ne saranno. Per loro la Cgil ha fatto ben poco, per non dire nulla. Capisco che ci sia stato uso improprio del logo, che la destra gongolerà sull'errore del manifesto, sulla spaccatura che c'è a sinistra, ecc., ma parlare di diffamazione non direi proprio. Prima di passare a forti azioni legali pensate a quanto di vero e di produttivo avete fatto per i precari di tutti i tipi e di tutte le tipologie di lavoro. E poi un po' di ironia, per favore. Accettate le scuse del manifesto e state sicuri che non ricapiterà più. Cordiali saluti. ***
Dopo aver visto l'inserzione autogestita da un gruppo di precari che fanno parte di City of Gods, free press precaria, per me la modalità scelta da questo gruppo di precari è esecrabile sotto tutti i punti di vista: il primo riguarda il fatto che ci si attesta dietro un cosiddetto «gruppo di precari» non meglio e non altrimenti identificabili, molto simile all' «uomo qualunque» di non così lontana memoria; il secondo riguarda la scelta di utilizzare uno spot pubblicitario che è, per scelta, confondibile con uno spot effettuato dalla Cgil; il terzo, ma credo e mi auguro che per questo si muoverà l'ufficio legale dell'organizzazione, il fatto che qualcuno decida di poter utilizzare impunemente il logo della Cgil e prendersi gioco di 5 milioni di iscritte e iscritti a questo sindacato che ha segnato nel corso di questo ultimo secolo la storia democratica del nostro paese. Chi vi scrive è iscritta alla Cgil da circa 15 anni, ha rivestito incarichi politici in questa organizzazione, ne conosce dal di dentro difetti e virtù, e per ragioni che attengono più alle sue posizioni politiche espresse in seno all'ultimo congresso che non alle sue capacità lavorative nell'ambito del settore in cui ha operato, oggi lavora presso l'ufficio stampa dell'Agenzia delle entrate, essendo rientrata dal distacco sindacale e ritornata alla sua amministrazione di appartenenza, cosa non usuale. Il manifesto è stato fin dal suo esordio il «mio» giornale, l'ho visto nascere, l'ho sostenuto in mille battaglie di sopravvivenza, che sempre si sono succedute nel corso della sua esistenza: ricordo lo sconcerto che suscitò la scelta di aderire a forme di pubblicità per sostenere i costi di mantenimento del giornale (ricordate la prima pubblicità quella del tonno Riomare, il tonno extraparlamentare?), il dibattito che si scatenò sulle pagine del giornale su questa scelta/costrizione. Allora ne compresi, insieme a molti altri compagni, l'inevitabile necessità per non soccombere alle regole del mercato, ma oggi devo dirvi che non vi capisco più. Si possono sostenere con forza idee contrarie all'attuale o pregressa posizione della Cgil, ma mi aspetto che un giornale come il manifesto lo faccia attraverso i propri articoli, scritti dai propri giornalisti, e da questi firmati; non posso accettare che ci si trinceri dietro due pagine autogestite di cui non si verifica il contenuto e, anzi, si giustifichi tale presenza attraverso un trafiletto in corsivo che recita «in queste pagine troverete inserite pubblicità ribelli tese a sovvertire l'immaginario dominante»: questa posizione non fa onore a il manifesto che ha sostenuto nel corso di questi anni battaglie importanti e sempre a viso aperto, esercitando in molti casi quella giusta pressione democratica che è stata per molti di noi l'esempio che abbiamo perseguito nel tempo. Mi auguro che questo mio scritto susciti una discussione sul giornale, sul ruolo importante e difficile della comunicazione, ma anche sulle regole che a questa sottendono, poiché ritengo che il manifesto debba poter continuare a far sentire la propria voce rispettando tutti e ciascuno, ma in modo aperto, senza fraintendimenti e non rendendosi strumento di chi decide, anche coerentemente con le proprie idee, di non riconoscersi nelle posizioni espresse dalla più grande organizzazione sindacale europea trincerandosi dietro scritti e spot pubblicitari alquanto velleitari. ***
Gentile redazione del manifesto,alla luce delle polemiche e delle prese di posizione che sono seguite alla pubblicazione dell'inserto di due pagine sulla MayDay milanese all'interno del manifesto del 1° maggio, in qualità di autori dei contenuti e delle pubblicità ivi espressi, vorremmo specificare alcune cose. In primo luogo, il subvertising è patrimonio dei movimenti sociali in molti paesei, compreso il nostro, e delle nuove forme di comunicazione in un contesto di crescente concentrazione e manipolazione dell'informazione. Vogliamo anche ricordare che la MayDay rappresenta, almeno dal punto di vista simbolico, il 1° maggio della condizione precaria, che è condizione strutturale, esistenziale e generalizzata. E vogliamo ringraziare il manifesto per lo spazio che ci ha concesso, perché le due pagine del giornale del primo di maggio sono state una delle poche occasioni per una presa di parola diretta dei precari su un giornale nazionale. Abbiamo anche ideato e prodotto una free-press precaria, City of Gods, che continueremo a fare perché pensiamo che la presa di parola dei precari non debba rimanere un fatto isolato. Agenti dell'Intelligence Precaria ***
Con l'ultimo «incidente» ho avuto la conferma che il manifesto è diventato il quotidiano dei Cobas, dell'ineffabile Casarini, di Toni Negri, Oreste Scalzone e via peggiorando. La linea politica del giornale è stata recentemente approvata a larghissima maggioranza. Tanti auguri, in attesa di tempi migliori. Con molta tristezza. Antonio *** |