4/1/2007 ore: 11:53
"Inchiesta" Carrozzone Cnel
Contenuti associati
Pagina 8 - Politica L’Italia degli sprechi Billè, agli arresti, ha conservato la carica per mesi Nel Cnel, il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, c’è maretta. E nemmeno poca. Organo costituzionale istituito nel 1957, il Cnel è il parlamentino economico che su richiesta del governo, delle Camere o delle Regioni esprime pareri e promuove iniziative legislative in campo economico e sociale. È composto da 121 consiglieri che, in teoria, dovrebbero rappresentare il tessuto produttivo del Paese: organizzazioni datoriali, sindacati, rappresentanti delle libere professioni, volontariato. Dovrebbe essere la forma più avanzata della concertazione, il luogo in cui - lontano dai riflettori e dalle necessità mediatiche - i protagonisti della vita economica italiana possono discutere con serenità, ragionare. In realtà, negli anni, si è trasformato in qualcosa di diverso e non sono pochi, oggi, a considerarlo un costoso carrozzone di cui si può fare a meno. Non ultimi i senatori Ds Cesare Salvi e Massimo Villone che insieme a Valdo Spini, deputato sempre della Quercia, nel novembre scorso ne chiedevano addirittura la soppressione contando di recuperare miliardi di euro. I soldi Il Cnel nel 2007 riceverà dallo Stato tra i 15 e i 16 milioni di euro, ma di questi solo il 7-8% verrà speso in consulenze e convenzioni per la ricerca nel campo dell’economia e del lavoro, che è poi la funzione principale del consiglio. La maggior parte del denaro serve - come si dice - a «far girare la macchina». I 70 dipendenti del Cnel costano. La Corte dei conti, nel luglio scorso, ha attribuito ai dirigenti del Cnel il titolo di dirigenti meglio pagati di tutta l’amministrazione pubblica: in media 88.564 euro lordi l’anno (a cui va aggiunto il premio di risultato, attribuito ogni anno). Ogni consigliere, per il solo fatto di esserlo, percepisce un’indennità di 2000 euro lordi al mese indipendentemente dal fatto di svolgere o meno qualsivoglia attività in consiglio. E di assenteisti ce ne sono moltissimi visto che all’assemblea plenaria dovrebbero sedere i segretari nazionali dei sindacati di Cgil, Cisl e Uil, quelli delle associazioni di categoria come Confindustria, Confcommercio, Coldiretti. Tutti volti che, dalle parti di villa Lubin, non si sono mai visti. C’è anche chi, come l’ex presidente nazionale di Confcommercio Sergio Billè, risulta nel libro delle firme dell’assemblea generale del 25 novembre scorso. In questi mesi non si è mai presentato. Anche perché per molti mesi è stato ristretto agli arresti domiciliari. Giovanni Pomarico, che dovrebbe prendere il suo posto, dice che «la revoca c’è stata a fine novembre, ma si sta aspettando il decreto di sostituzione». I membri Dando una scorsa all’elenco dei membri del consiglio, si può trovare di tutto. Ci sono consiglieri che hanno visto nascere il Cnel, come Raffaele Vanni, 79 anni, espressione della Uil, sulla poltrona dalla prima legislatura targata 1958. O rappresentanti di organizzazioni dal gusto retrò come Carlo Costalli del Movimento cristiano dei lavoratori. Stare all’interno del consiglio, però, è una necessità cui è difficile rinunciare. È un «parcheggio» di prestigio per grandi organizzazioni (l’ex segretario nazionale della Uil Pietro Larizza è stato presidente della VI legislatura ma tra i consiglieri di oggi ci sono anche l’ex liberale Antonio Patuelli). Molti contributi, poi, vengono erogati solo ad associazioni e organizzazioni rappresentante nel Cnel. Forse anche per questo, di recente, i rapporti si sono fatti tesi. Le libere professioni «Il Cnel è strutturato su basi che andavano bene negli anni Cinquanta, quando esistevano solo i datori di lavoro o i rappresentanti dei lavoratori - dichiara Roberto Orlandi, agrotecnico e membro del consiglio -. La situazione è bloccata, ingessata perché tutto è nelle mani di Confindustria e dei sindacati. E ogni membro risponde a ferree logiche di appartenenza». Alla miriade di associazioni di agricoltori, artigiani e quant’altro, fanno da contraltare le misere quattro poltrone delle libere professioni. Ma oggi il mondo produttivo è cambiato. I professionisti si sentono sottostimati visto che i quattro dovrebbero rappresentare 1.850.000 professionisti. Le libere professioni hanno capito di avere scarso margine di manovra quando hanno chiesto, sull’onda delle liberalizzazioni di Bersani, di istituire un gruppo di lavoro ad hoc. Lo hanno ottenuto solo dopo molte resistenze. E alla fine, cosa del tutto insolita, la presidenza è andata a qualcun altro. Allora è iniziata la guerra di logoramento. La battaglia L’opposizione delle libere professioni, seppur esigua nel numero, è pesante considerato l’ormai endemico assenteismo che caratterizza le riunioni del Cnel. In novembre la prima vittoria: di fronte al testo della futura Finanziaria, le libere professioni riescono a spaccare gli schieramenti in consiglio. Confindustria e sindacati fanno quadrato e approvano il documento così com’è nella tradizione del Cnel fin dalla sua nascita. Ma non ci sono i numeri perché questo documento rappresenti la posizione ufficiale e concorde del consiglio. In Parlamento giungono due pareri diametralmente opposti. Il verbale incriminato Sul finire di novembre, nuova stoccata. Si sta votando comma a comma il nuovo regolamento. Arrivati alla nuova regola che stabilisce che solo 10 consiglieri possano chiedere la verifica del numero legale, le libere professioni si oppongono perché in quello stesso momento quel numero legale non c’è. Il presidente Marzano chiede di soprassedere. Le libere professioni accettano. La norma passa e i professionisti chiedono che i voti vengano verbalizzati secondo un nuovo comma approvato poco prima che prevede la conta degli astenuti e l’indicazione nominale dei contrari. Ci si rende conto che questo significherebbe dimostrare la mancanza del numero legale. Si sorvola. Le libere professioni s’infuriano e inviano una lettera al presidente Marzano: o si cambia linea, o parte una denuncia per falso ideologico. In dicembre, nella nuova assemblea, è lo stesso presidente ad annullare la votazione avvenuta nella sessione precedente e a rinviare l’approvazione del nuovo regolamento al 2007. Non male per un organo costituzionale. |