12/3/2007 ore: 11:30

"Intervista" Andrea Pininfarina: «Governo fermo»

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    sabato 10 marzo 2007
      Pagina 13 - Primo Piano


      Andrea Pininfarina
      Vicepresidente Confindustria

      «Governo fermo,
      sull'economia tempo scaduto»

      Pininfarina: i riformisti trovino coraggio. Dove sono i tavoli su produttività, lavoro e pensioni?

      Raffaella Polato


      MILANO — Guglielmo Epifani è «stufo di andare a Palazzo Chigi per cene riservate ma inconcludenti, che non portano mai a nulla». Andrea Pininfarina, vicepresidente di Confindustria, non sceglie le stesse parole del leader Cgil. E diversi sono anche gli argomenti, con obiettivi in alcuni casi ovviamente opposti. Il concetto però è identico. La sferzata, al governo, arriva pure dagli imprenditori. E pesante.
        «Stufo» anche lei, ingegnere?
          «Io ho la fortuna di non essere invitato di frequente a Palazzo Chigi. Ma battute a parte: il rischio di immobilismo è evidente. Il governo si limita a gestire l'ordinaria amministrazione. Va avanti. Però senza il coraggio di affrontare i veri problemi».

          Che sono?
            «Sempre gli stessi. Economia. Crescita. Siamo in una fase di ripresa, sarebbe un delitto sprecarla. E sì, si fanno tante parole: ma poi, nei fatti, la voglia di sostenere lo sviluppo non si vede. Pensi ai "tavoli" cui, si era detto, sarebbero stati chiamati subito imprese e sindacati».

            Sono tre: produttività, lavoro e pensioni, burocrazia. Ufficialmente sono aperti...
              «Ufficialmente? Del tavolo sulla produttività non c'è traccia. Doveva affrontare temi vitali per la crescita del Paese. Doveva essere avviato in fretta, eravamo tutti pronti. Risultato? Niente in vista. Si sta prendendo, e perdendo, tempo».

              Ragioni, secondo lei?
                «Le evidenti difficoltà politiche. Gli equilibri precari della maggioranza».

                Quindi nessuna chance che si possa aprire concretamente il secondo tavolo, quello che dovrebbe ridisegnare il mercato del lavoro e soprattutto le pensioni?
                  «In teoria la riforma delle pensioni, lo "scalone", è l'ottavo dei dodici "inderogabili" temi presentati dal governo dopo la crisi. In pratica, siamo arrivati al punto che anche la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo delle pensioni, necessaria a frenare la crescita della spesa sociale, è materia di discussione. Dimenticando che è una legge dello Stato. E le leggi dello Stato non dovrebbero essere negoziabili: dovrebbero essere applicate».

                  Via almeno allo «scalone», intanto?
                    «Secondo noi non sarebbe economicamente sostenibile un'altra soluzione. Ma il governo faccia quello che deve fare: decida. Qui andiamo avanti a dichiarazioni varie che hanno un solo effetto: creano incertezza e confusione. Tra i lavoratori e tra chi il lavoro lo dà. Siamo molto preoccupati».

                    E non solo dai capitoli produttività e pensioni, par di capire.
                      «Per la verità il capitolo è uno solo: lo sviluppo del Paese. Certo l'elenco delle tematiche forti è lungo».

                      Prego.
                        «Decreto correttivo della delega ambientale, innanzitutto: così com'è, è folle, sembra un incentivo alla delocalizzazione. Tav: la revoca dei contratti di alcune tratte non fa ben sperare. Concessioni autostradali: al di là della vicenda che ha dato il via alla revisione, l'accordo Autostrade-Abertis, uno Stato può cambiare in corsa le regole del gioco? Come per il trattamento fiscale del leasing immobiliare, c'è una certa tendenza a interventi retroattivi. Ma così si danneggia l'immagine dell'Italia all'estero. E si scoraggiano gli investimenti stranieri. Si vanificano missioni come quella appena fatta in India».

                        Quelli che ha citato sono tutti provvedimenti presi dal governo in carica.
                          «E sono indicativi di forti orientamenti ideologici anti-impresa. Che non sono la maggioranza, nel governo. Ma che finiscono con il prevalere grazie al gioco degli equilibri precari».

                          Il «potere ricattatorio» della sinistra radicale, come lo chiama spesso anche Confindustria?
                            «Nei fatti è così».

                            Quella stessa «ala sinistra», però, vi ributta in faccia l'accusa: nessun governo vi ha mai beneficiato tanto.
                              «Già, la storia del cuneo fiscale. È paradossale. A parte il fatto che non è un "regalo" alle imprese ma un intervento per recuperare la competitività del Paese, è comunque poco meno della metà di quanto promesso in campagna elettorale. Per di più è ancora sub iudice alla Ue. E rimane il solo contraltare alle molte penalizzazioni».

                              Lo sa, vero, cosa dirà qualcuno domani? Si ricorderà l'astensione decisiva di suo padre, Sergio, il giorno in cui andò sotto il governo. E si concluderà: ecco la prova che Romano Prodi l'ha fatto cadere Confindustria.
                                «È tanto assurdo pensare che noi si sia potuto influenzare il giudizio autonomo di un senatore a vita, che posso rispondere solo con una battuta: ci hanno dato spesso del "potere forte", ma ci hanno fatto fare un bel salto affiancandoci a Stati Uniti e Chiesa».
                                  Lei disse, in pieno dibattito sulla Finanziaria: «Ho fiducia nel senso di responsabilità di chi ci governa». Pochi mesi dopo: l'ha persa del tutto?
                                    «La fiducia nelle persone c'è ancora. È il livello di responsabilità politica della coalizione, che è molto basso. Per il solito problema: governo e forze riformiste sono soggetti al potere di ricatto delle componenti radicali».

                                    Che cosa la convincerebbe, che uno scatto ci può ancora essere?
                                      «La convocazione immediata dei tre tavoli citati, più quelli su ambiente e farmaceutica. E l'indicazione chiara di dove dovrebbero andare i "recuperi" fiscali: imprese e lavoratori».

                                      Tempi?
                                        «Molto scarsi, ormai. A un anno dalle elezioni, si sta già parlando di nuovo di urne. E questo è deleterio per tutti. La priorità dell'agenda politica deve tornare a essere l'economia, non la riforma elettorale. Che va fatta, per garantire la governabilità. Ma, e qui parlo a titolo personale e non da vicepresidente di Confindustria, l'unica possibilità di cambiamento salvaguardando il bipolarismo è il referendum».

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