"Intervista" Mundell «Libertà di licenziamento e in pensione a 70 anni»
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intervista Roberto Ippoliti
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(Del 18/1/2002 Sezione: Economia Pag. 2)
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«Libertà di licenziamento e in pensione a 70 anni» |
Mundell: per recuperare competitività l´Italia deve cambiare le regole del Welfare e del mercato del lavoro. Inutili piccoli ritocchi Sullo scenario europeo bene le industrie, deludenti le banche |
ALTRO che ritocchi. L´americano Robert Mundell, premio Nobel per l´economia nel 1999, docente alla Columbia University definito il «padre intellettuale» dell´euro, è drastico: sostiene la necessità di cancellare l´articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Ovvero è convinto che non basti affatto, per rendere più competitive le imprese italiane, prevedere le limitate deroghe decise dal governo Berlusconi alla possibilità del reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa (sostituito con un indennizzo). Deroghe contestate dalla Cgil, dalla Cisl e dalla Uil in lite con il ministro del lavoro e delle politiche sociali Roberto Maroni. A Roma per una lezione all´università Luiss Guido Carli, nell´ambito di una manifestazione della Confindustria, Mundell rivela le sue opinioni in questa intervista.
Professore, quale impatto sta avendo l´euro sull´economia europea?
«E´ prevedibile un aumento notevole della produttività in Europa. Adesso c´è un sistema monetario più efficiente. C´è più o meno un unico mercato dei capitali. Ogni cittadino ha in mano una valuta che conta a livello mondiale e ogni paese ha una migliore politica monetaria. Il patto europeo di stabilità e di crescita assicura una migliore politica finanziaria».
Con quali risultati?
«Tutti i paesi, tranne la Germania, hanno tassi più bassi. Dieci anni fa, nella maggior parte del paesi meridionali, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, i tassi superavano il 10%. Ora tutti i tassi europei sono sotto il 5%. Ecco gli effetti: minore costo dei capitali, maggiore stabilità per le aspettative, forte diminuzione del debito pubblico».
L´Europa cambia davvero?
«Si è anche ridotta la pressione salariale da parte di tutti i sindacati europei. Le organizzazioni dei lavoratori hanno capito di dover trattare le retribuzioni in euro con una prospettiva di stabilità. Sanno che i governi nazionali non possono più fare ricorso alla svalutazione e all´inflazione. Inoltre in Europa i prezzi sono comuni. Le differenze possono essere determinate solo dai costi dei trasporti e dalle tasse».
E non dal costo del lavoro?
«Alla fine i salari saranno uguali. Il processo di omogeneizzazione sarà più rapido del previsto. Paesi come l´Irlanda aumenteranno velocemente il loro livello. La Grecia avrà ancora problemi essendo molto indietro. La tendenza è l´equilibrio».
Apprezza pertanto la consapevolezza dei sindacati rispetto alla nuova realtà?
«E´ la premessa. I salari saranno negoziati in euro. I sindacati sanno che non c´è l´arma della svalutazione quando avviano la contrattazione».
Lei ritiene necessari interventi per la previdenza?
«L´Italia deve cambiare il sistema previdenziale. Ma a prescindere dall´euro: dovrebbe farlo anche se non fosse stata introdotta la moneta unica. Come è possibile permettere di andare in pensione a 55 anni quando si vive 80 anni? In un paese in provincia di Siena, dove ho una casa, una persona, Silvano, mi ha detto di essere in pensione. "Com´è possibile?" gli ho chiesto. E lui mi ha detto di aver maturato il diritto a 50 anni avendo 35 anni di contributi. E´ inammissibile. Come si fa a pagare la pensione a quest´uomo pieno di risorse? A Silvano non servirebbe nemmeno la pensione: ha aperto una pasticceria fra le migliori della zona».
Sono necessarie misure drastiche secondo lei?
«Ho descritto un caso estremo. Ma un paese non può permettersi di concedere la pensione a 55 anni nè a 60. L´età pensionabile deve essere portata almeno a 65 anni o anche a 70. A New York come professore universitario sono come il papa: non è prevista la pensione».
E secondo lei servono anche regole diverse per il mercato del lavoro?
«Certamente. Si deve eliminare la legge che impedisce i licenziamenti, ovvero l´articolo 18».
Eliminarlo del tutto?
«Sì, completamente».
Sono insufficienti le modifiche contenute nel disegno di legge delega di Maroni?
«Ho sentito fare alcuni calcoli. In Italia ci sono 250 mila leggi, in Gran Bretagna 5 mila. Credo che dopo 5-10 anni dovrebbe esserci un meccanismo automatico di autodistruzione: le leggi non rinnovate dovrebbero decadere. Ma c´è una legge da distruggere per prima: l´articolo 18».
Le imprese europee e le italiane in particolare si stanno adeguando alle nuove esigenze di competitività?
«Sono un po´ deluso dal sistema bancario. Avrei immaginato più fusioni di carattere internazionale, con la creazione di un sistema creditizio europeo. Ma le concentrazioni sono avvenute perlopiù tra banche nazionali, come è il caso di Intesa o dell´ipotizzato accorpamento Montepaschi-Bnl. Per la prima volta al vertice della Deutsche Bank non c´è un tedesco: ma è uno svizzero del cantone tedesco».
L´industria allora si è evoluta di più?
«Le imprese europee e le italiane cercano il mercato europeo».
Conviene agli Usa il dollaro forte rispetto all´euro?
«No, sarebbe un male. Sarebbe meglio per gli Stati Uniti la parità tra euro e dollaro o anche l´euro più forte».
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