"Lavoro 1" La disoccupazione al 7,4%, mai così bassa dal ‘92
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 martedì 21 dicembre 2004
RILEVAZIONI ISTAT: IN ITALIA GLI OCCUPATI HANNO TOCCATO QUOTA 22 MILIONI E 485 MILA UNITA’ La disoccupazione al 7,4%, mai così bassa dal ‘92 Nel terzo trimestre di quest’anno creati 93 mila posti. Il Sud soffre ancora
Raffaello Masci
ROMA Gli occupati aumentano, i disoccupati diminuiscono. Il dato è in sé positivo. Tuttavia, se c’è una scuola di pensiero (governativa) che esalta la performance attribuendola all’efficacia delle nuove norme in materia, ce n’è un’altra (di opposizione) che sottolinea come il minor numero di disoccupati dipenda in buona parte dalla contrazione della forza lavoro, da uno «scoraggiamento» cioè che induce molti - ormai sfiduciati - a sottrarsi alla competizione per un posto.
In mezzo sta l’Istat, con la fredda sequenza dei suoi numeri, secondo i quali nel terzo trimestre di quest’anno gli occupati sono stati 22 milioni e 485 mila, cioè lo 0,4% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Dato che in numeri assoluti vuol dire 93 mila posti in più, per la quasi totalità coperti da uomini.
Quanto ai disoccupati, l’Istat ci informa che sono un milione e 800 mila, cioè 137 mila in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, percentualmente -7,1%.
Il tasso di disoccupazione nazionale è del 7,4%: performance eccellente visto che bisogna tornare ai primi anni ‘90 per trovare un valore analogo.
Ultimo dato di riferimento, quello geografico: al Nord la disoccupazione è pressoché solo fisiologica, e cioè al 4,1%, al Centro è del 6%, ma al Sud sfiora il 15%. Sappiamo anche che cresce il lavoro autonomo (+1,3%) e quello in agricoltura (+2,2%), mentre cede - come accade da un po’ di tempo ormai - l’industria (-2,6%).
I dati sono in sé confortanti e il governo è estremamente soddisfatto di questa dinamica. Ma la disputa sorge su un elemento di scarso impatto per i non addetti, ma sostanziale per i tecnici: la forza lavoro, la base cioè su cui si calcola occupazione e disoccupazione. Se in totale è aumentata del 2%, nel Nord la crescita è stata del 15% e nel Centro del 12%, al Sud - dove si concentra gran parte della disoccupazione - è invece crollata del 25%. Nel Meridione ci sarebbe cioè una grossa fetta della popolazione in età attiva che non si considera più «forza lavoro»: è uscita dal mercato. Per sfiducia? Per sfinimento dopo lunga ricerca? Questo è quello che sostiene l’opposizione.
«Il dato diffuso dall’Istat - ha commentato il vicepremier Marco Follini - è confortante, il piu basso dal '92, e indica che le riforme del mercato del lavoro hanno dato risultati».
Domenico Siniscalco, titolare dell’Economia, è di identico avviso: «I dati Istat sono la dimostrazione che le riforme strutturali realizzate stanno ottenendo risultati».
Il ministro del Welfare e del Lavoro, Roberto Maroni, argomenta questa tesi: «Negli ultimi tre anni - ha detto - la disoccupazione in Italia è diminuita costantemente nonostante una situazione economica internazionale molto negativa. Questo governo ha avuto il merito di riformare il mercato del lavoro dando vita ad una legge che già da oggi dimostra tutta la sua validità».
«Questa nuova attitudine del mercato del lavoro a recepire i pur timidi segnali dell'economia - ha aggiunto il sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi- va ora incoraggiata con la decisa applicazione della Legge Biagi nonostante molti contratti di lavoro vengano utilizzati per ridurne la portata ed alcune Regioni siano intenzionate a varare leggi che intendono in parte contrastarla».
Fin qui il governo. Di tutt’altro sentire l’opposizione e il sindacato. «Il tasso di disoccupazione - ha commentato il responsabile economico dei ds Pierluigi Bersani - cala perché cala in modo impressionante il numero di chi cerca attivamente il lavoro; questo, al netto dei possibili effetti dei nuovi criteri di rilevazione Istat, segnala un grave scoraggiamento delle fasce più deboli della popolazione, soprattutto del sud e delle donne. Se ben letti, i dati sulla forza lavoro si intrecciano con quelli di una crisi economica industriale che mantiene l'occupazione ripartendola diversamente e pagandola meno, e proiettando comunque sul futuro una sensazione di sfiducia».
«L’andamento dell’occupazione non dipende dai provvedimenti del governo - rincara l’ex ministro del lavoro Tiziano Treu, della Margherita - il calo della disoccupazione non è un segnale di per sé sufficiente per trarre indicazioni confortanti».
Più secca Marigia Maulucci, segretaria confederale della Cgil: «Non è vero che diminuisce il tasso di disoccupazione. È vero piuttosto che aumenta il tasso di sfiducia soprattutto di donne e giovani, soprattutto meridionali, nella possibilità di trovare un lavoro, che, dunque, non viene più neanche cercato».
L’Isae, l’istituto di analisi economica del governo, conclude con un parere tecnico e critico: «I dati diffusi dall’Istat disegnano un quadro di frenata della crescita occupazionale».
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