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Sette
lunedì 17 ottobre 2005
Pagina 33
Tar del Lazio inverte la tendenza del riconoscere il risarcimento Inail ricorrendo ad automatismi
Mobbing, un dietrofront sul danno
Il dipendente deve provare il nesso di causalità con il lavoro
di Daniele Cirioli
Il mobbing va provato per essere risarcibile dall'Inail. Va sempre provata, in particolare, l'esistenza di un nesso di causalità con il lavoro senza possibilità di ricorrere ad automatismi. Il principio, enunciato dal Tar Lazio nella sentenza n. 5454/2005, riporta indietro le prassi operative finalizzate al riconoscimento della tutela per danno biologico, perché ha annullato la circolare n. 71/2003 con cui l'Inail aveva individuato gli elementi identificativi del mobbing ai fini risarcitori. Vediamo il punto della disciplina.
Il mobbing nella tutela Inail
L'assicurazione Inail cura le tutele ai lavoratori per i casi d'infortunio e malattia professionale, cui si sono aggiunte le ipotesi di infortunio in itinere e del danno biologico (decreto legislativo n. 38 del 2000). Per anni, il danno biologico, ritenuta sostanzialmente irrisarcibile o quanto meno misurabile con il concetto di equivalenza (non ha valore la ´persona'), è rimasta estranea alla tutela sociale e i lavoratori hanno potuto richiedere ristoro dei danni al proprio datore di lavoro soltanto in via autonoma.
Nel tempo, poi, la materia è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali, nonché di diverse teorie approntate al calcolo del risarcimento. La nuova disciplina, introdotta dal dlgs n. 38/2000, definisce il danno biologico, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, come la lesione all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione medico legale.
L'indennizzo del danno biologico
L'introduzione della tutela del danno biologico ha comportato una trasformazione del sistema indennitario Inail, individuando tre classi di postumi.
La prima classe di postumi comprende le invalidità inferiori al 6% per le quali non è previsto alcun risarcimento. Rappresenta la zona di franchigia e, in tal caso, bisogna osservare unicamente i casi d'evoluzione dell'evento: se c'è aggravamento, il lavoratore può richiedere nuovi accertamenti ai fini dell'indennizzo in capitale o in rendita. I tempi per provvedervi sono fissati in dieci anni dalla data dell'infortunio e in 15 anni dalla data di denuncia della malattia professionale. La seconda classe di postumi comprende le invalidità pari o superiori al 6% ma inferiori al 16% per le quali è previsto il risarcimento in capitale. Rappresenta la zona d'indennizzo in capitale. Una volta che al lavoratore sia stato accertato in sede medico legale che, a seguito dell'infortunio o della malattia professionale, siano residuati postumi di grado pari o superiore al 6% e inferiori al 16%, egli ottiene il diritto al risarcimento in capitale del danno biologico. La misura è stabilita dall'apposita ´tabella indennizzo danno biologico' che richiede la conoscenza del grado d'invalidità e dell'età del lavoratore. La terza classe di postumi, infine, comprende le invalidità pari o superiori al 16% e fino al 100% per le quali è previsto il risarcimento in rendita. I lavoratori ricevono un indennizzo del danno biologico e, in aggiunta, un ulteriore indennizzo per le conseguenze patrimoniali della menomazione.
Il ritorno al passato
La nuova disciplina non ha passato il vaglio dei giudici amministrativi: il Tar Lazio, disponendo l'annullamento della circolare n. 71/2003, di fatto, ha abrogato la possibilità del riconoscimento del diritto al risarcimento del mobbing, automaticamente, in presenza dei requisiti e delle condizioni stabilite dall'Inail. Allo stesso tempo ha confermato la facoltà dei lavoratori di rivendicare sempre il diritto all'indennizzo, provando l'esistenza di un nesso eziologico (di causalità) tra il proprio stato morboso (mobbing) e le situazioni lavorative sofferte.
La sentenza del Tar Lazio, che non è complessivamente un vaglio di legittimità sostanziale, dispone l'annullamento della circolare n. 71/2003 perché tendente alla modifica dell'assetto delle malattie indennizzabile, attraverso la considerazione e il trattamento del mobbing ritenendo, giustamente, che sia questa un'operazione impossibile da praticarsi attraverso quell'atto (cioè attraverso una circolare), non idoneo né tanto meno deputato a recare statuizioni ma soltanto istruzioni.
I giudici amministrativi, tra l'altro, hanno osservato che la circolare non si limita ad offrire agli uffici destinatari solo un complesso di elementi identificativi del mobbing quali, per esempio, un elenco esemplificativo di condotte illecite o no, per meglio uniformarne la capacità d'accertamento e guidarne il discernimento. Ma fa di più, perché indica l'obbligo d'accertare presupposti oggetti della cosiddetta costrittività organizzativa, non solo per riscontrare quanto dichiari l'interessato, ma soprattutto per integrare gli elementi probatori recati da costui in ordine all'esistenza delle condizioni indicate quali forme di siffatta costrittività. Unico aspetto più sostanziale della questione riguarda la definizione di ´costrittività organizzativa', che i giudici laziali hanno censurato perché fornita in assenza non solo di un'esatta definizione normativa e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma soprattutto del doveroso approfondimento scientifico-medico al riguardo. (riproduzione riservata)
La disciplina per il mobbing sul lavoro
Dal 17 dicembre 2003, dopo una prima fase di sperimentazione, l'Inail (circolare n. 71/2003) aveva dato avvio a un nuovo regime di tutela del mobbing sul lavoro, dettandone principi e istruzioni operative al fine di garantire omogeneità e correttezza nella trattazione delle pratiche a livello di tutto il territorio nazionale. L'Inail si muoveva partendo dall'estensione della tutela al rischio legato a patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro operata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 179/1988) nonché dal dlgs n. 38/00. In base a tali disposizioni, sono da considerare malattie professionali (e, pertanto, meritevoli della tutela Inail) non solo quelle elencate nella apposite tabelle di legge, ma ogni malattia a patto che ne sia dimostrata la causa lavorativa. Secondo poi un'interpretazione aderente all'evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi e alla crescente attenzione ai profili di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività della lavorazione in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o meno), ma anche quella riconducibile all'organizzazione aziendale delle attività lavorative. Pertanto, i disturbi psichici possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell'attività e dell'organizzazione del lavoro. Secondo l'Inail (circolare n. 71/2003), tali condizioni ricorrono esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte organizzative, situazioni che definisce e che comprende nell'espressione ´costrittività organizzativa' (marginalizzazione dall'attività lavorativa; svuotamento di mansioni; mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata; mancata assegnazione degli strumenti di lavoro; ripetuti trasferimenti ingiustificati; prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto ovvero esorbitanti e/o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici; impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie; inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti all'ordinaria attività di lavoro; esclusione reiterata del lavoratore da iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale; esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo).
Nel rischio tutelato, sempre secondo l'Inail, poteva essere compreso anche il cosiddetto ´mobbing strategico' se specificamente ricollegabile a finalità lavorative.
Dovevano, invece, ritenersi esclusi dalla tutela i fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento) nonché le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
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