11/5/2004 ore: 11:43
"Part-time 1" Antidoto alla disoccupazione
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Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro, ha prodotto uno studio sul part time in Europa, che incrociato con i più recenti dati di Eurostat fornisce un panorama piuttosto chiaro. Olanda su tutti. Il part time occupa il 18,2% dei lavoratori dei primi 15 Paesi Ue, in aumento di circa quattro punti rispetto al 14,2% del 1992. I soggetti più interessati sono le donne, con il 33,5% sul totale, contro appena il 6,6% degli uomini. In Olanda la quota è del 45% (addirittura il 74,2% tra le donne), seguita da Gran Bretagna (25,5%) e Svezia (22,9%), mentre Belgio, Danimarca e Germania hanno una quota vicina al 20 per cento. Agli antipodi ci sono i Paesi mediterranei — Italia (8,6%), Spagna (8,2%) e Grecia (4,2%) —, dove la quota è addirittura scesa tra 2002 e 2003. Tra i nuovi Paesi solo Polonia e Lettonia superano il 10%, mentre Ungheria e Slovacchia sono in coda con quote inferiori al 5 per cento (vedi grafico). I Paesi con la quota maggiore di part time coincidono con i mercati del lavoro maggiormente flessibili e con tassi di disoccupazione minori rispetto alla media. Proprio in questi Stati è maggiore la quota di chi afferma di lavorare part time per scelta, mentre negli altri aumentano coloro i quali vedono il part time come surrogato di un lavoro a tempo pieno che non c’è. Questo numero è particolarmente alto in Italia (31,1%), Finlandia (31,5%) e Grecia (44,2%), contro l’8,3% della Gran Bretagna, il 7,2% del Lussemburgo e solo il 2,3% dell’Olanda. Sul totale, il part time è una scelta per il 32% delle persone, mentre lo "subisce" il 40%, sommando quelli che ambiscono a un posto fisso (14%) e coloro che devono occuparsi di bambini o anziani (26 per cento). Sono numerosi i fattori che determinano l’utilizzo del part time: l’organizzazione del mercato (flessibilità, pressione fiscale, welfare), possibilità per i datori di lavoro di abbassare i costi fissi, l’espansione del terziario (settore di maggior presenza del part time), abitudini e possibilità economiche delle famiglie. Terziario e stagionali. Lo studio rileva come i lavoratori part time siano più presenti nella sanità, nell’istruzione e nei servizi (22,6% del lavoratori), contro il 16,9% degli occupati in agricoltura e solo il 6,9% nell’industria. In particolare, le strutture che ospitano gli stagionali, come hotel e catering, contano rispettivamente una quota del 28% e del 23,1% sul totale. Proprio a causa dei settori in cui sono impiegati, tra i lavoratori part time si riscontra molto ricambio di personale. Circa il 28% ha un contratto a tempo determinato, il 25% un contratto tramite agenzia interinale e il 16% lavora a tempo indeterminato. Le retribuzioni si assestano su un livello medio-basso. Il 32% degli uomini e il 47% delle donne impiegati part time hanno dichiarato di trovarsi nella fascia più bassa di salario mensile, rispetto all’azienda in cui lavorano, ma quasi tutti (l’87%) godono di una retribuzione fissa. Nonostante il livello dei salari, il grado di soddisfazione dei lavoratori part time è piuttosto buono. L’81% degli uomini e l’88% delle donne si è dichiarato soddisfatto o abbastanza soddisfatto della sua condizione |