
martedì 6 aprile 2004
Riforme e sviluppo La questione fiscale
Tasse e crescita 1
Sul taglio delle tasse è di nuovo scontro politico, in Italia. Molto influenzato dalla prossima scadenza delle elezioni europee e amministrative. Il tema, però, è estremamente serio e importante. Non solo per il reddito disponibile dei cittadini che, ovviamente, è molto influenzato dal sistema fiscale e dai livelli di prelievo nelle diverse aliquote. Anche per l’economia, la questione tasse è essenziale. In un passaggio di crisi strutturale dei sistemi economici dell’Unione europea, il dibattito sul taglio delle tasse diventa essenziale per misurare le capacità di riforma dei governi della Ue, che predicano la necessità di aprire le economie, di renderle più dinamiche e innovative, di favorire la concorrenza - il tutto finalizzato a una maggiore crescita della ricchezza - ma in realtà non riescono ad avere il consenso dei cittadini su riforme un minimo efficaci. La questione è che con meno denaro prelevato dai cittadini, gli Stati avrebbero meno denaro da spendere in Welfare, in opere pubbliche, in stipendi statali ma anche in regalie, in sprechi e in «creazione di consenso». Un taglio delle tasse, insomma, è di solito un primo passo per un taglio delle spese. In America si è fatto con risultati notevoli e qualche contraddizione. In Europa, finora, no. E’ un’altra differenza transatlantica.
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IN EUROPA Francia e Germania, il riformismo fiscale fa paura agli elettori
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Il nuovo ministro dell’Economia francese Nicolas Sarkozy dice che sta lavorando per trovare «i modi per risolvere un numero di contraddizioni non semplici». In effetti, sembra che l’economia europea, non solo quella francese, sia entrata in una zona di confusione senza precedenti. I governi dei maggiori Paesi - in particolare Germania, Francia e Italia - sanno di dover riformare le loro strutture economiche, cioè liberalizzare i mercati, rivedere i meccanismi delle pensioni, ridurre l’imposizione fiscale. Per evitare che nel mondo si perpetui il modello degli anni Novanta: «Una crescita sbilanciata, con gli Usa e la Cina dinamici, da una parte, e l’Europa e il Giappone quasi fermi dall’altra», sostiene Laura D’Andrea Tyson, rettore della London Business School ed ex consigliere di Clinton. Il guaio è che gli stessi governi sanno anche bene che gli elettori non vogliono sentir parlare di cambiamenti previdenziali, di mercati, di concorrenza. Sono ovviamente ben disposti verso tagli delle tasse ma non verso la riduzione del generoso sistema europeo di protezione sociale. Il presidente francese Jacques Chirac, per esempio, è sotto pressione per ridurre le imposte al di là dei piccoli tagli (1,5 miliardi di euro) effettuati finora per poche categorie. E lo stesso Sarkozy sarebbe felice di accontentare Eliseo e francesi: nel 2001 ha scritto un libro, Libre , in cui sosteneva la riduzione del peso fiscale. Il problema è che, già nelle condizioni attuali, senza tagli fiscali, il deficit pubblico francese sarà del 4,1% quest’anno e - dice il quotidiano Le Monde - lo stesso ministero prevede che supererà il tetto di Maastricht anche nel 2005, anno per il quale Sarkozy si è impegnato in sede Ue a stare nel limite del 3%. Le prospettive di tagliare le tasse non sono migliori in Germania. Negli scorsi quattro anni, Berlino ha approvato una serie di piccole modifiche fiscali: poche riduzioni ma molta confusione. Il risultato è un sistema arlecchino che, dice il Consiglio degli esperti economici, «sta velocemente perdendo ogni somiglianza di sistema strutturato e razionale». Sia i socialdemocratici (Spd) al governo che i cristiano-democratici (Cdu) all’opposizione vorrebbero metterci le mani. Gli uomini del cancelliere Schröder, però, vanno con i piedi di piombo: vogliono mantenere la progressività dell’imposizione ed evitare di dover intervenire, per bilanciare le minori entrate, con altri tagli al Welfare State oltre a quelli già effettuati in questi anni di crisi economica. Dall’altra parte, la Cdu di Angela Merkel ha pronto un piano ambizioso che ridurrebbe a tre gli scaglioni del reddito delle persone fisiche (8, 16 e 40 mila euro) ai quali applicare ritenute del 12, 24 e 36%. Ma il piano costerebbe 24 miliardi di euro già il primo anno e ha inoltre l’opposizione dei bavaresi della Csu. Tra veti incrociati e minacce della Corte costituzionale di bocciare ogni riforma se non saggia in termini di bilancio, la Germania è praticamente sicura di non affrontare la questione del taglio delle tasse prima delle elezioni del 2006. Riforma fiscale difficilissima, insomma, nel cuore della Ue. D’altra parte, l’establishment politico, finanziario e intellettuale europeo non è, a differenza che in America, attratto dalla sirena dei tagli alle tasse. Tra l’altro, teme che la curva e le teorie di Laffer in Europa funzionino meno che in America. Queste sostengono che, oltre un certo limite, le imposte hanno l’effetto di scoraggiare l’attività economica al punto da ridurre il monte complessivo delle stesse entrate fiscali. Su queste basi, Ronald Reagan lanciò la sua rivoluzione, negli Usa, vent’anni fa. I risultati sono ancora oggetto di discussione accesa tra repubblicani, entusiasti, e democratici, negativi: la cosa certa è che tra tagli alle tasse, liberalizzazioni e deregulation, negli ultimi vent’anni l’America ha effettuato un balzo non da poco in capacità di innovazione, produttività, creazione di ricchezza. Qualcosa del genere nell’Europa continentale non è mai stato tentato. Sono forse mancati i visionari alla Reagan. Soprattutto, gli elettori non vogliono sentir parlare di cambiamenti, tanto che in Francia il governo ha sconsigliato ai ministri l’uso del termine «riforma». Meno tasse in cambio di meno Welfare è insomma qualcosa che gli europei non hanno ancora accettato. Nel tentativo di inseguire il modello americano, a questo punto, il rischio è però che Chirac, Schröder, Berlusconi prendano scorciatoie e facciano come Bush: continuare a spendere e tagliare anche le tasse. Un modo dolce, se funzionasse, per risolvere «contraddizioni non semplici».
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D. Ta.
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