15/12/2005 ore: 11:53

"Votare" I segreti della legge, dalle liste alla Lombardia «rossa»

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    giovedì 15 dicembre 2005

    Pagina 7 Primo Piano

    COME CAMBIERA’ IL PARLAMENTO - ALLA CAMERA E AL SENATO UNA SOLA SCHEDA: SOLO I PARTITI DA VOTARE, NIENTE PREFERENZE E NIENTE NOMI

    I segreti della legge, dalle liste alla Lombardia «rossa»

    analisi
    Fabio Martini

    ROMA
    La novità più incisiva consiste nel ritorno all’antico, al sistema proporzionale della Prima Repubblica, ma nella riforma elettorale voluta dal centrodestra sono molte le innovazioni e le sorprese anche rispetto a quanto già collaudato in Italia e altrove.
      Vista dall’elettore
      Con il nuovo sistema si «risparmia» una scheda: una sola per la Camera (invece delle attuali due) e una per il Senato. Per entrambe le Camere, l’elettore non voterà più per il candidato (di coalizione) del proprio collegio e per uno dei partiti in lizza, ma potrà esprimere la sua preferenza soltanto per una lista. Dunque non è più possibile votare per la coalizione e neppure esprimere preferenze per i singoli candidati. Le liste dei partiti infatti sono bloccate, composte da un elenco di candidati che però non compariranno sulla scheda elettorale. Dunque l’elettore non potrà verificare i nomi dei candidati, a differenza di quanto accade nei due sistemi analoghi vigenti in Europa (Spagna e Germania) e di quanto accadeva anche in Italia col precedente sistema elettorale, che per la parte proporzionale bloccata prevedeva un massimo di quattro candidati tutti presenti sulle schede elettorali. Con queste novità il peso dei singoli candidati diminuirà seccamente e dal punto di vista politico-elettorale il partito forse più danneggiato è quello guidato da chi, Pier Ferdinando Casini, la riforma elettorale ha più voluto. Ma l’Udc voleva il proporzionale abbinato alle preferenze, non concesse da Berlusconi perché nel Mezzogiorno i notabili centristi ex dc hanno una proverbiale capacità nell’intercettare il voto di «territorio». Con il nuovo sistema, dal punto di vista degli elettori, la massima visibilità sarà assicurata ai capolista, prevedibilmente sostenuti da un battage anche locale.
        Vista dai partiti
        Ciascuna coalizione dovrà obbligatoriamente presentare al Viminale il proprio programma elettorale e dichiarare il «nome e cognome» di colui che è stato individuato come «unico capo della coalizione». Una sostanziale indicazione del premier ma che nella forma lascia intatte le prerogative del Capo dello Stato circa la nomina del Presidente del Consiglio. I partiti potranno presentare candidati nelle 26 circoscrizioni attuali della Camera (più la Val d’Aosta) e nelle 20 Regioni per il Senato: in ognuna delle due Camere lo stesso candidato potrà presentarsi ovunque. Un’opportunità di cui potrà giovarsi non solo il capolista (si sa già che Berlusconi guiderà le liste di Forza Italia in tutte e 27 le circoscrizioni, mentre per Prodi la discussione è aperta) ma anche altre personalità. Con un ulteriore effetto «oligarchico»: le candidature multiple permetteranno ai partiti di giostrare sul meccanismo delle opzioni, con una quasi totale prevedibilità per i gruppi dirigenti, che potranno vanificare la maggior parte degli esiti imprevisti e non graditi. E tra gli effetti del nuovo sistema ce ne potrebbe essere uno, inizialmente sottovalutato da alcuni partiti dell’attuale maggioranza: le liste che esprimono il candidato premier (Forza Italia e sull’altro fronte l’Ulivo alla Camera) potrebbero finire per assorbire gran parte del voto d’opinione; i partiti di appartenenza ideologica (Rifondazione) o territoriale (Lega) di solito possono contare su uno stabile elettorato di appartenenza, mentre i più penalizzati dalla riforma rischiano di essere quelle forze politiche (Udc, ma anche An) che scontano l’assenza del voto di preferenza e di liste bloccate corte, con candidati riconoscibili sulla scheda. La nuova legge esenta dalla raccolta delle firme i partiti già costituiti in gruppi parlamentari, ma anche quelli collegati ad almeno due di tali partiti, una normativa che sembra quasi fatta apposta per penalizzare l’unico nuovo soggetto in campo: la Rosa nel pugno che dovrà raccogliere un minimo di 97.300 firme alla Camera e almeno 59.750 al Senato.
          Il premio-bonsai
          L’originalità del nuovo proporzionale all’italiana sta nel sommare un premio di maggioranza e una serie di soglie di sbarramento. Vince le elezioni la coalizione che ottiene più voti, sommando quelli ottenuti dai singoli partiti. Se la coalizione con più voti non raggiunge 340 seggi alla Camera (o il 55% in una Regione al Senato) scatta un premio a suo favore sino a raggiungere quella soglia. Tra le soglie di sbarramento, la più significativa è quella che impone ad un partito coalizzato di superare il 2% per ottenere seggi in Parlamento, anche se è previsto il ripescaggio per la «migliore» forza politica che non abbia ottenuto quella percentuale minima. Al Senato la ripartizione dei seggi avviene a livello regionale, con un premio che gratifica la coalizione che ha ottenuto più voti. La modestia del premio elettorale è spiegata da un solo dato: con la vecchia legge elettorale, sulla base dei risultati ottenuti alle Regionali 2005, l’Unione avrebbe conquistato 380 seggi, mentre con la riforma potrebbe fermarsi a 347 (340 con il premio, i preventivabili 6 su 12 dall’estero, più l’eletto valdostano).
            Roccaforti capovolte
            La ripartizione proporzionale produrrà una rivoluzione geo-politica nelle roccaforti dei due schieramenti. Il paradosso più grande lo dimostrano le proiezioni sulla base delle Regionali 2005: alle prossime Politiche la regione più «rossa» sarà quasi certamente la Lombardia, destinata ad eleggere 44 deputati dell’Unione, ben 29 in più rispetto al 2001, mentre l’Emilia-Romagna che 4 anni fa era la regione-leader del centrosinistra (con 35 deputati), ora è retrocessa al quinto «posto». Stessi sommovimenti nella Cdl: il triangolo Piemonte-Lombardia-Veneto nel 2001 elesse 148 deputati, stavolta potrebbero essere «soltanto» 103, ben 45 in meno.
              La bomba aostana
              Il più serio dubbio sulla costituzionalità della legge lo ha individuato ieri notte il professor Stefano Ceccanti: dopo aver notato che gli elettori della Val d’Aosta non erano computati per il premio di maggioranza, ieri notte il costituzionalista ha scoperto che nella legge truffa del ‘53 anche i voti valdostani concorrevano al premio.

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