4/7/2005 ore: 10:41
Addio al Tfr (2.continua)
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Pagina 15 - Economia INCHIESTA Una certezza, comunque, c´è. Ed è propedeutica alla stessa previdenza complementare: è quella che in un sistema previdenziale pubblico passato dal metodo retributivo a quello contributivo l´assegno pensionistico è destinato ad assottigliarsi. Qui il concetto chiave è tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la pensione e l´ultima retribuzione. Chi è andato in quiescenza nel 2000, infatti, ha ricevuto un assegno superiore al 67 per cento dell´ultimo cedolino. Una percentuale che via via è destinata a scendere negli anni fino a toccare poco più del 30 per cento a metà di questo secolo, nel 2050. Ma c´è di più: a meno di modifiche legislative (difficili da immaginare con i conti pubblici di nuovo in sofferenza) i trattamenti pensionistici continueranno ad essere adeguati alla sola dinamica del costo della vita e non già anche a quello dei contratti, come nei decenni precedenti. D´altra parte è stata proprio questa una delle norme che ha permesso dalla prima riforma Amato (1992) a quelle successive (Dini, Prodi e Berlusconi) di arrestare la crescita della spesa previdenziale, e dunque, di risparmiare. L´effetto di quel meccanismo è che le pensioni liquidate finiranno per perdere anche più del 20 per cento in proporzione all´anticipo con cui sono state erogate. Ce n´è abbastanza per capire che pur continuando a pagare tanti contributi (il 32,7 per cento della retribuzione) i lavoratori italiani avranno una pensione pubblica molto più magra dei loro nonni e dei loro genitori, peraltro in un mercato del lavoro diverso, più flessibile e con meno garanzie. Torna il concetto chiave: il tasso di sostituzione, applicato, in questo caso, alla previdenza complementare. Per calcolare quanto della perdita della pensione pubblica e obbligatoria viene compensato dalla seconda pensione, quella di scorta, individuale. Finanziata - va ricordato - con la rinuncia al Tfr (il trattamento di fine rapporto) per destinarlo ai fondi. Secondo alcune simulazioni elaborate dalla Covip (la Commmissione di vigilanza sui fondi pensione) con quarant´anni di contributi il tasso di sostituzione passerebbe dal 2,3 per cento nel 2010 fino a quasi il 20 per cento nel 2050. «All´aumentare del numero di anni contributivi - si legge nell´ultima Relazione della Covip - il tasso di sostituzione si incrementa, perché il montante destinato ad essere trasformato in rendita aumenta a causa dei nuovi versamenti contributivi, sia per effetto dei rendimenti, che negli ultimi anni di partecipazione, riferendosi all´intero ammontare accumulato fino a quel momento, hanno un peso particolarmente rilevante». L´altro concetto chiave diventa così quello di rendimento dell´investimento. E qui - pensando ancora a Keynes - si può guardare solo a quanto è accaduto negli ultimi anni. Intanto nel 2004 - buon anno per il mercato finanziario - i fondi pensione hanno conseguito un rendimento netto pari al 4,5 per cento per i fondi negoziali e al 4,3 per cento per i fondi aperti. Nel confronto ha perso il Tfr (con la sua rivalutazione standard dell´1,5 per cento più il 75 per cento del tasso di inflazione). Ma non è andata allo stesso modo se si guarda ad un orizzonte appena più ampio. Nel periodo 2000-2004 - complessivamente assai negativo per la Borsa - il rendimento generale netto dei fondi pensione negoziali (dove è preponderante la quota di investimenti in obbligazioni) è stato del 9,2 per cento. Addirittura sottozero è stata - nello stesso arco temporale - la performance dei fondi aperti nei quali è più rilevante l´investimento azionario: - 6,9 per cento. La rivalutazione netta del Tfr, invece, è stata del 15,8 per cento. Ma si tratta di un intervallo temporale ancora troppo breve, poiché su questa materia si ragiona in decenni, non in pochi anni. E comunque non è il caso di avere nostalgie: l´epoca del Tfr si sta inesorabilmente scolorendo, ora si deve pensare alla pensione. (2. continua) |