14/1/2004 ore: 10:43

Adecco, quando il lavoro interinale fa crack

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14.01.2004
scandali
Adecco, quando il lavoro interinale fa crack
di 
Roberto Rossi

MILANO «Non siamo come la Parmalat». Non sarà certo come il caso della società emiliana, ma le ombre che avvolgono il gruppo svizzero Adecco, il colosso mondiale del lavoro interinale, hanno qualcosa di molto simile con il crack del gruppo di Collecchio.
Se non fosse per il fatto che anche per Adecco i guai sono nati da problemi di bilancio, la cui pubblicazione è stata rinviata a tempo indeterminato. In verità l’azienda svizzera l’ha chiamati «imperfezioni
materiali nei controlli interni». Imperfezioni, che altro non sono che irregolarità contabili, avvenute nella divisione del Nord America.
Manco a dirlo la società è stata oggetto di una forte speculazione nella borsa elvetica. Speculazioni che Adecco ha cercato di placare. Al New York Times, per esempio, il direttore finanziario di Adecco, Weber, ha precisato che i problemi nei conti riguardano questioni procedurali piuttosto che irregolarità. Il rinvio «non significa che ci sono irregolarità contabili - ha precisato Weber - ma è il contesto dei controlli che non è buono. Non è una questione di errore ma di giudizio». Weber ha citato infatti un «diverso approccio da parte delle
delle società di revisione».
Intanto, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la Sec, la commissione di vigilanza sulla Borsa Usa, ha aperto due inchieste sul rinvio della presentazione del rapporto. E anche le agenzie di rating non sono rimaste immobili. Moody’s ha abbassato il giudizio a «Baa3» annunciando un ulteriore possibile declassamento.
Anche Standard&Poor’s ha abbassato il rating portandolo a «BBB» mentre Goldman Sachs ha sospeso il giudizio in attesa di chiarimenti sul rinvio della pubblicazione del rapporto d’esercizio annuale. Il gruppo, che invia 650mila lavoratori temporanei al giorno a clienti come Renault, ha annunciato, inoltre, che posticiperà la diffusione degli utili 2003.
La compagnia franco-svizzera, il cui revisore di conti a Ernst & Young, ha nominato poi anche un consulente indipendente per condurre l’indagine. La posticipazione degli utili ha innervosito ulteriormente gli investitori. E la ragione è semplice se si pensa che in poco tempo sono esplosi in Europa scandali come Parmalat e Royal Ahold. Ma le similitudini con Parmalat non si esauriscono solo nei problemi di bilancio. Anche nello sviluppo industriale Adecco ha seguito, involontariamente, il modello emiliano. La società nasce, infatti, nel 1996 con la fusione tra il numero due e il numero tre del settore di allora, la francese Ecco e la svizzera Adia. Ne scaturisce un
colosso da 32 miliardi di franchi di fatturato (qualcosa come 9.920 miliardi di lire sempre nel 1996), cinque in più di quelli realizzati da Manpower, il diretto concorrente. Con la fusione il gigante era controllato al 28% da Philippe Foriel-Destezet (fondatore e presidente di Ecco, della quale detiene il 45,6%) e al 22% da Klaus Jacobs (presidente di Adia, di cui aveva in portafoglio il 52,8%). Il restante 50% era finito sul mercato.
In appena sei anni Adecco vola raggiungendo nel 2002 un fatturato di circa 25 miliardi di franchi (ora impiega 28mila persone e dispone di 5.800 uffici in 68 territori nel mondo e oltre 100mila clienti). Un fatturato è spiegato anche con una serie di acquisizioni. Un’espansione geografica che ha avuto costi alti e che assomiglia
molto a quella effettuata dalla società di Collecchio. Basti pensare che solo nel 1999 la società ne ha concluso tre. Il più importante il passaggio di due delle tre divisioni dell’americana Olsten, società che vantava una buona posizione sul mercato d’Oltreoceano e alcune postazioni europee. La transazione costa al gruppo franco-elvetico 1,6 miliardi di dollari (circa 2.900 miliardi di lire). Una cifra rilevante
che teneva conto anche dei 750 milioni di dollari di debiti della Olsten. Ma le acquisizioni fanno lievitare anche l’indebitamento.
Per finanziare il quale anche Adecco, come Parmalat, ricorre al mercato dei bond. L’ultimo nel luglio scorso. Un bond convertibile da 900 milioni di franchi (600 milioni di euro circa). La società nega che
il denaro raccolto possa essere utilizzato per specifici obiettivi di acquisizione. Forse serve per rifinanziare il debito. Come per Parmalat.



   

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