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04.07.2003 Adesso è possibile licenziare un gay di Massimo Solani
«Faccio un esempio: se lei mi chiede se un maestro omosessuale può fare il maestro, la mia risposta è “no”». A parlare così era il non ancora vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini durante la puntata del Maurizio Costanzo Show dell’8 aprile del 1998. E a poco più di cinque anni di di distanza quelle parole sono diventate legge. Il Consiglio dei ministri, infatti, ha approvato ieri il decreto legislativo per l’applicazione della direttiva europea (la 2000/78) contro le discriminazioni sui luoghi di lavoro. Una norma, quella europea, che era stata studiata per evitare che sui luoghi di lavoro fossero messi in atto comportamenti discriminatori «basati su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali». Peccato però che il governo, nell’approvazione del decreto legislativo, abbia inserito una indicazione che di fatto stravolge l’intenzione della direttiva europea lasciando campo aperto ad interpretazioni quanto meno sospette. «Non costituiscono atti di discriminazione - si legge all’articolo 3 comma 3 del decreto - quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa». Una formulazione volutamente «fumosa», che a ben vedere non tutela assolutamente nessuno sul luogo di lavoro e che difficilmente potrebbe essere utile ad evitare discriminazioni.
Fatta la legge, insomma, trovato l’inganno. E da quanto trapelato a Palazzo Chigi, sembra che sia stato proprio il ministro del Welfare Roberto Maroni, e la Lega tutta con lui, ad aver voluto l’aggiunta del comma in questione. Una presa di posizione che avrebbe irritato non poco anche il ministro per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo, che ha dovuto capitolare però davanti alle insistenze «celoduriste» del Carroccio
Il decreto concepito in questa maniera, ha quindi denunciato l’Arcigay, «stravolge in maniera sostanziale lo spirito della direttiva comunitaria, introducendo in modo palesemente anticostituzionale, l’ipotesi di licenziamento sulla base dell’orientamento sessuale». Una aggiunta al testo originario della direttiva che ha gravemente allarmato l’associazione omosessuale che ha deciso di indire una manifestazione di protesta per domani sotto Palazzo Chigi, nel giorno del Gay Pride capitolino. «Secondo questo assurdo testo - ha commentato infatti il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice - un gay potrà essere licenziato se considerato non adatto a svolgere un lavoro a causa della sua omosessualità. Un provvedimento degno dell’Iran di Khamenei, lontano anni luce dalla volontà del legislatore europeo».
Una indignazione che non riesce a nascondere nemmeno Franco Grillini, deputato Dei Democratici di Sinistra. «D’ora in avanti per un datore di lavoro sarà possibile discriminare per omosessualità, per religione, per handicap - ha commentato - Si tratta di un fatto di gravità inaudita tanto più se si considera che l’Italia sta guidando il semestre europeo, di un’Europa, dove undici paesi su quindici hanno una legislazione che tutela le persone omosessuali dalle discriminazioni sui luoghi di lavoro e, persino, riconosce i diritti delle coppie omosessuali. Ancora una volta - ha concluso il parlamentare - questa maggioranza di centrodestra si dimostra radicalmente insensibile alle istanze delle minoranze sociali promuovendo una legislazione discriminatoria totalmente fuori dal quadro giuridico europeo».
Così come concepita però, la norma non prepara il campo soltanto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, ma lascia rischiosamente poco tutelate tutte le categorie di lavoratori e soprattutto i disabili. Una condizione contro cui hanno espresso un giudizio fortemente negativo anche Cesare Damiano, responsabile Lavoro dei Ds e Elena Cordoni, capogruppo Ds in Commissione Lavoro alla Camera. «Noi riteniamo che le scelte del governo non vadano nella direzione prevista dalla direttiva - hanno spiegato in un comunicato - ma in quella opposta: anziché tutelare i lavoratori dalle discriminazioni per motivi di religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale, la formulazione prevista introduce un concetto di deroga al principio antidiscriminatorio qualora si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Una scelta - hanno concluso - che rappresenta un nuovo attacco ai diritti che pone anche un problema di legittimità costituzionale».
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