4/3/2003 ore: 11:46

Alla ricerca del "traditore" - di G.D'Avanzo

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MARTEDÌ, 04 MARZO 2003
 
Pagina 1 e 7
 
IL RETROSCENA
Alla ricerca del "traditore"
 
LA TALPA
 Quel suggeritore nell´ombra dietro ai manovali del terrore
Alla ricerca dell´uomo che ha tradito Biagi e D´Antona
 
Più che un grande vecchio, una figura marginale: ma il suo resta un ruolo chiave
Il capitolo del tecnico che svela agli assassini chi lavora a cosa è ancora tutto da scrivere
Una spia dentro o fuori il ministero del lavoro? Politici e giudici spiegano i loro sospetti
 
 
 
GIUSEPPE D´AVANZO

«C´è un uomo che ha tradito Massimo D´Antona, che lo ha indicato ai suoi assassini. È un uomo che ha toccato le stesse carte e gli stessi documenti che ha toccato il professore. È un uomo che è stato a lui molto vicino». È il 21 maggio del 1999. Le Brigate Rosse, ventiquattro ore prima, hanno ucciso in via Salaria a Roma il giuslavorista, consigliere del ministro del Lavoro Antonio Bassolino. La qualificata fonte, come si dice in questi casi, misura a lunghi passi il suo ufficio al Viminale, ragionando a voce alta. D´Antona, dice, non è un bersaglio scontato, è «un obiettivo raffinatissimo». L´uomo rigira tra le mani le ventotto pagine della rivendicazione del delitto. Picchia sulla copertina l´indice e continua: «Questo documento contiene un´analisi delle politiche del governo, da Amato a D´Alema (siamo nel 1999, ndr). È un´analisi molto attenta delle leggi, delle riforme, addirittura con riferimenti alle "sette deleghe nel collegato ordinamentale nell´ultima Finanziaria su investimenti e occupazione". Be´, questa roba l´ha scritta un addetto ai lavori che è in grado di valutare la «centralità» del ruolo svolto da Massimo D´Antona nella politica del governo e del ministro Bassolino. Noi crediamo che quest´uomo lavorasse o abbia avuto rapporti di lavoro con il professore».
L´«addetto ai lavori», dunque. Dove può nascondersi l´addetto ai lavori? Quel giorno di maggio, l´uomo del Viminale ragiona così: «Abbiamo tre possibilità. Lo cerchiamo all´università. Un ricercatore? Lo immaginiamo seduto di fronte al professore come controparte sindacale. È un dirigente dei Cobas? Vogliamo augurarci che non lavori al ministero del Lavoro, ma dobbiamo cercare anche lì, tra i funzionari e i dirigenti del ministero. Perché un fatto è certo, una buona parte del documento delle Br è stata scritta da un "tecnico" che ha avuto accesso diretto a una documentazione non segreta, ma nemmeno pubblica o di facile e diffusa consultazione».

Ora che il drammatico controllo sull´interregionale Roma-Firenze, la morte di Emanuele Petri e del brigatista Mario Galesi, l´arresto di Nadia Desdemona Lioce hanno confermato agli investigatori che le indagini devono muoversi verso i Nuclei Comunisti Combattenti e nel loro piccolo mondo di irriducibili, irreperibili, latitanti, si è anche riaperto il capitolo del «tecnico» che svela agli assassini chi lavora a che cosa nel tentativo dei governi di riformare il mercato del lavoro. Non è un «grande vecchio», non è un «burattinaio» che con ogni probabilità, e comunque fino a prova contraria, non sono mai nemmeno esistiti. È una figura laterale, magari marginale dell´organizzazione. Mai in prima fila. Mai con la pistola in mano, manco a dirlo. È tuttavia capace di decodificare, per il «partito comunista combattente», culturalmente prigioniero della retorica della «contestualizzazione rispetto alla fase», l´evoluzione del quadro politico e istituzionale.
Il giudice per le indagini preliminari Otello Lupacchini ne è così convinto da scriverlo in un ordine di arresto. «Il documento di rivendicazione del delitto D´Antona evidenzia la capacità dell´organizzazione di acquisire informazioni utilizzando con metodo le molteplici fonte aperte e le notizie dei settori d´interesse. Ne segue la ragionevole ipotesi di penetrazione di uno o più militanti negli ambienti di lavoro del professore D´Antona o quanto meno una conoscenza di tali ambienti da un osservatorio privilegiato». Antonio Bassolino, il ministro del Lavoro che chiese la collaborazione di Massimo D´Antona per «chiudere» il patto di Natale, non ha mai avuto dubbi che un traditore da qualche parte ci fosse. Lette le biografie e le storie dei brigatisti sorpresi domenica su quel treno, la sua convinzione si è irrobustita.
Dice: «So soltanto quel che ho letto sui giornali, ma sono informazioni sufficienti per dire che bisogna risalire lungo la catena di cui Nadia Lioce e Mario Galesi sono soltanto anelli. Anelli importanti perché nella logica di un partito armato è importante chi spara. Ma quel partito non vive soltanto di pistole e assassinio. C´è anche chi ragiona, chi ha il ruolo di raccogliere informazioni e conoscenze, di individuare nella vicenda politica e sociale gli innocenti da annientare. Ecco, bisogna cercare quelle menti perché non ci sono soltanto gli assassini dietro i due documenti che hanno rivendicato la morte di Massimo e del professore Marco Biagi». «Sono rivendicazioni molto sofisticate, soprattutto la prima - spiega Tiziano Treu, anche lui nel passato ministro del Lavoro e soprattutto intellettuale molto vicino a Marco Biagi -. Certamente redatte da chi è a conoscenza della materia lavoristica. E non penso che debba essere necessariamente dentro il ministero del Lavoro. Penso in fondo a un piccolo anello di una piccola catena. Ne ho parlato con gli investigatori quando sono stato ascoltato dopo la morte di Marco e mi è sembrato che anche loro fossero convinti di quella possibilità. Io penso a un intellettuale con consuetudine con il linguaggio sociologico, magari al lavoro in una università, più che a un sindacalista di base. Perché, vede, anche un sindacalista radicale deve per forza misurarsi con la realtà ed essere alla fine anche pragmatico. Il fanatismo ideologico non si misura mai con la realtà. Incuba solitamente in ambienti intellettuali poco riusciti, alquanto frustrati. In ambienti, come dice Pietro Ichino, piccoli, chiusi, ripiegati su se stessi».
Università, dunque, più che ministero del Lavoro. O l´uno e l´altro, perché poi non è un caso raro che si insegni, come D´Antona, come Biagi, all´università e si collabori con il ministro. Tuttavia, l´ipotesi sembra piacere poco agli investigatori che da quasi quattro anni girano intorno a questa inchiesta. Una delle ragioni è una lettera ritrovata in un appartamento di Milano. La spediva un latitante, Giuseppe Maj, un architetto incendiario, teorico del "Partito comunista combattente". «La clandestinità è un passaggio obbligato nella prospettiva insurrezionalista», scriveva. Insurrezione e non la lotta armata invocata e organizzata, aggiungeva con disprezzo, da «questi sindacalisti dei Nuclei comunisti combattenti». «Sindacalisti» perché tutto degli Ncc appare a Maj nella luce del sindacato. Sindacale il linguaggio. Sindacale lo sguardo sulla vicenda politica. Perché escludere - ipotizzano gli investigatori - che sindacale sia anche qualche angolo dell´organizzazione? Soltanto quando le inchieste saranno concluse si potrà dire se quest´ipotesi abbia un fondamento. Intanto, l´intelligence e i nuclei investigativi ci lavorano anche con la collaborazione dei funzionari di Cgil, Cisl, Uil. Se si chiede oggi con quale risultato, bisogna fare i conti con più di un distinguo. Spiegano alcune fonti: «È una questione delicata. La scelta della lotta armata non è una scelta di gruppo, è una scelta individuale. In uno stesso gruppo - è già accaduto nel passato - c´è chi imbraccia il mitra e chi invece magari se ne torna a casa tranquillo al suo lavoro o dalla moglie, dai figli. Ora, detto questo, è naturale che un qualsiasi piccolo sindacalista di un qualsiasi piccolo sindacato di base può entrare in possesso di materiali e documenti che magari pur pubblici non sono a disposizione di tutti. Diventiamo più curiosi quando per esempio quel sindacalista, che non è romano, è a Roma nel giorno in cui arrestiamo due fiorentini che si dichiarano prigionieri politici e militanti dei "Nuclei comunisti combattenti". Poi magari lo vediamo muoversi come un pesce nell´acqua nelle grandi manifestazioni di questi anni. E allora la nostra curiosità cresce...».
È il sindacato dunque la grande casa delle nuove leve del terrorismo? È un´opinione che trova eco nel mondo politico. Se ne fa portavoce Francesco Cossiga. «Non sono d´accordo con chi parla di "antiche Br". Il fenomeno delle Br aveva un retroterra di intreccio tra lotte sociali e lotte politiche, un quadro di forte dialettica con il Pci... Mentre questo terrorismo di oggi è una forma del tutto nuova di estremismo sindacalista, tanto che si potrebbe dire che si tratta delle "nuove Br sindacaliste"».
Sono parole destinate a riaccendere gli animi, a dividere. «Alcune frasi sentite in queste ore sono irresponsabili - si legge sul sito della Fondazione Di Vittorio presieduta da Sergio Cofferati - Il terrorismo è sempre stato e sempre sarà un nemico dichiarato del sindacato e di tutti coloro che hanno a cuore l´ordinamento democratico. È sbagliato, strumentale, falso e per questo oggettivamente di aiuto ai terroristi confondere o anche solo accostare al terrorismo il disaccordo e la pacifica e democratica protesta dei cittadini a scelte politiche non condivise». La ricerca di un traditore, del traditore di D´Antona e Biagi, precipitata nella battaglia politica, rischia di diventare strumentalmente la caccia ai movimenti, alle istituzioni che tradiscono. È una tentazione che, nella confusione che crea, protegge gli assassini e i loro consiglieri e minaccia la coesione che sempre deve preservare un Paese aggredito dal terrorismo.
 
 
 
 

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